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 2014  giugno 11 Mercoledì calendario

CHI ISTIGA CHI


Dunque lo scrittore Erri De Luca verrà processato per istigazione a delinquere, cioè a sabotare i cantieri del Tav Torino-Lione in Val-susa tagliando le reti di recinzione con le cesoie. L’altroieri il gup di Torino l’ha rinviato a giudizio per un’intervista rilasciata all’Huffington Post il 1° settembre 2013 e più volte confermata in dichiarazioni successive. I pm di Torino che sostengono l’accusa, Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, hanno spiegato che quelle di De Luca non sono opinioni innocue e, in quanto tali, tutelate dall’articolo 21 della Costituzione, perchè dopo l’intervista si è registrata in Val Susa un’escalation di sabotaggi e violenze tra le frange estremiste del movimento No-Tav. Dunque esisterebbe un rapporto causa-effetto fra parole e azioni. Il gup ha ravvisato gli estremi per sostenere l’accusa in dibattimento, e ora a vagliarla sarà il Tribunale, dopo aver ascoltato la versione di De Luca. Che, peraltro, è nota. Due parole sui pm. L’inchiesta nasce dalla Procura di Torino quand’era ancora guidata da Gian Carlo Caselli, la cui storia di indipendenza dai poteri forti parla per lui. Anche Padalino, che s’è fatto le ossa come gip a Milano ai tempi di Mani Pulite, ha dimostrato assoluta impermeabilità a qualsiasi pressione, infatti nell’estate ’94, regnante il governo Berlusconi, arrestò il fratello del premier, Paolo, e gli altri manager Fininvest per le tangenti alla Guardia di Finanza. Un discorso a parte merita Rinaudo che, pur mai accusato di reati o infrazioni disciplinari, fu intercettato nel 2005 nell’inchiesta Calciopoli in amabili conversari con Luciano Moggi e i suoi cari, ivi compreso un tizio considerato l’emissario del boss calabrese della Valsusa, Rocco Lo Presti. Una vicenda che avrebbe dovuto consigliarlo di tenersi a debita distanza dalla Valle.
In ogni caso la fondatezza di un processo non si desume dalla biografia del pm, che fra l’altro è solo uno dei tanti e può soltanto proporre una pena ai giudici del Tribunale. Anche la polemica sulla tesi dell’accusa, che insiste sul presunto rapporto causale fra l’intervista di De Luca e i successivi sabotaggi, è campata per aria: è il Codice penale che impone al pm di dimostrare la “pubblicità” dell’istigazione e anche il recepimento dell’istigazione con atti illegali da parte di qualche istigato. Decideranno i giudici se davvero, in una Valle che lotta da 20 anni contro il Tav, ora pacificamente ora con atti violenti e inaccettabili, ci fosse bisogno dell’intervista di De Luca per innescare azioni illecite. Ecco le frasi incriminate dello scrittore: “La Tav va sabotata. Ecco perché le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti. Nessun terrorismo”. Domanda: “Dunque sabotaggi e vandalismi sono leciti?”. “Sono necessari per far comprendere che la Tav è un’opera nociva e inutile... Ora l’intera valle è militarizzata... Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa”. In una democrazia davvero liberale, la legge tutelerebbe chiunque pronunci frasi del genere, comunque le si giudichi. Non perché debba essere lecito istigare al delitto, ma perchè tagliare una rete con le cesoie non dovrebbe essere un delitto perseguito penalmente (indagini, udienza preliminare, tre gradi di giudizio, una ventina fra agenti, magistrati e avvocati coinvolti), ma un’infrazione amministrativa (accertamento del danno da parte della polizia e multa per ripararlo). Curioso che, dopo decenni trascorsi a parlare di depenalizzazioni, sopravviva nel Codice il reato di danneggiamento anche in forme così lievi, così come quello dell’istigazione a commetterlo (anche generica, erga omnes, non indirizzata a una persona in particolare), punito fino a 5 anni di galera). Ma forse non è poi tanto curioso, perchè questi reati consentono di criminalizzare anche i piccoli e innocui sabotaggi che chiunque abitasse in Valsusa o compierebbe o almeno giustificherebbe, dinanzi alla mostruosità di un’opera inutile e devastante da 20-25 miliardi (se basteranno). Un’opera che, come il Mose e tante altre boiate, è essa stessa un’istigazione a delinquere.
Per fortuna De Luca ha reagito al rinvio a giudizio senza i piagnistei e i vittimismi di alcuni suoi petulanti sostenitori, limitandosi a rivendicare il diritto di dire ciò che pensa. Se ora il suo caso, anziché il solito derby innocentisti-colpevolisti, stimolasse una riflessione su certi reati da abolire -non si tratta di violenze contro persone o di devastazioni contro cose di valore, ma di cesoie per tagliare una rete, e non per vandalismo, ma per motivi più profondi, a tutela di beni costituzionalmente ben più rilevanti di una recinzione, come l’ambiente e la salute pubblica – il processo a De Luca sarebbe comunque utile. Perciò va seguito con attenzione. Se poi dovesse arrivare una condanna, a qualcuno tornerebbe in mente ciò che disse e ripeté B. “L’evasione di chi paga il 50% dei tributi è un diritto naturale che è nel cuore degli uomini” (18-2-2004). “Se lo Stato ti chiede più di un terzo di quel che hai guadagnato, c’è una sopraffazione nei tuoi confronti e allora ti ingegni per trovare dei sistemi elusivi o addirittura evasivi, che senti in sintonia col tuo intimo sentimento di moralità e non ti fanno sentire intimamente colpevole” (11-11-2004). “Se mi si chiede il 50% e passa di imposte, mi sento moralmente autorizzato, per quanto posso, a evadere” (17-2-2005). Parole pronunciate non da un intellettuale disorganico, da un rivoluzionario, da un cittadino ribelle, ma da un presidente del Consiglio in carica. Perché nessuno l’ha processato per istigazione a evadere?

Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 11/6/2014