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 2014  giugno 11 Mercoledì calendario

L’ITALIA HA BUONE CARTE MA ANCORA NON LE USA


L’Italia vive una fase che potrebbe essere il passaggio dalla peggiore crisi del dopoguerra alla ripresa. È compito di tutti impegnarsi a fondo nei diversi ruoli altrimenti il declino proseguirà. Vediamo come e perché.
Europa e Italia. Dalle elezioni è venuto un chiaro segnale che gli italiani vogliono governabilità e governo e che sono tuttora europeisti come lo sono i tedeschi, malgrado la differenza delle situazioni economiche. Ciò ha dato molta forza anche al presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha mosso i suoi primi passi nella politica europea in vista del semestre a presidenza italiana. La sua proposta che prima di decidere sulle personalità ai vertici delle Istituzioni europee bisogna conoscere bene i programmi è una richiesta apprezzabile. Altre due situazioni almeno rivelano che l’Italia è anche un Paese responsabile. La prima è l’impegno generoso con cui stiamo fronteggiando gli sbarchi continui di migranti in Sicilia senza avere un adeguato sostegno nella Ue. La seconda è il grande rispetto manifestato al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dagli altri Capi di Stato o di Governo (e in particolare dal Presidente Obama) alle celebrazioni del 70° anniversario dello sbarco in Normandia. Ciò è dovuto al suo prestigio ma anche al fatto che l’Italia rimane un Paese di rilievo.
Se anche noi apprezzassimo di più le positività del nostro Paese, questi eventi sarebbero maggiormente evidenziati anche dai mass media.
Bce e Draghi. Così come dovremmo essere più consapevoli che è italiana la personalità che dal novembre del 2011 presiede la Bce con quella coraggiosa professionalità che ha salvato l’euro e che si impegna adesso per superare la deflazione. L’opera di Draghi è stata molto difficile perché egli si doveva muovere tra i vincoli ai quali la Bce è sottoposta in base al suo statuto e ai Trattati europei, alla dottrina bloccante o comunque cauta di altre banche centrali e Governi della Eurozona, ai rischi di impugnative presso Corti costituzionali. Eppure con competenza e con saggezza politica, egli ha convinto, sia pure con fatica, i diffidenti.
Il successo di Draghi si può misurare in molti modi, ma il più evidente è il calo dei tassi di interesse e degli spread dal novembre del 2011 a oggi. Le misure decise la settimana scorsa (sui tassi d’interesse, sulla cessazione della sterilizzazione degli acquisti dei titoli di Stato, sul finanziamento alle banche(Tltro) a tassi molto bassi e con specifici vincoli di uso per finanziare le imprese) e quelle preannunciate ma in fase di perfezionamento (acquisto o accettazione in garanzia di crediti, cartolarizzati in Abs, concessi dalla banche commerciali alla clientela) delineano una politica monetaria espansiva fino al 2018. Alcuni non sono soddisfatti perché non c’è la creazione illimitata di moneta stile Usa con il "quantitative easing" della Fed, altri lamentano che Draghi doveva agire prima che la deflazione mordesse.
Non concordiamo su queste e altre riserve che non tengono conto della complessa intersezione tra diritto, moneta, governi e politica che circonda l’euro. L’azione di Draghi, oggi, ci sembra corrispondere a quanto scrisse Luigi Einaudi nel 1936: «La manovra monetaria opera su un congegno delicatissimo complicatissimo: e riesce a quel manovratore il quale alla chiarezza delle idee astratte sa unire, rapidissimo, l’intuito dei fatti invisibili».
Né va dimenticato che la ripresa europea non dipende solo dalla politica monetaria ma anche da politiche economiche (specie per gli investimenti) oggi assenti.
Economia e imprese. Per l’effetto Draghi e per altre concause, il nostro tasso di interesse sui titoli di Stato decennali è sceso al 2,70% allineandosi ai tassi sui titoli Usa e inglesi e con uno spread su quelli tedeschi di 135 punti base. Ciò apre un’importante possibilità per la politica economica e fiscale italiana che non va sprecata come accadde nel periodo 2000-2008 quando lo spread rimase tra i 20 e i 30 punti base e quando il mercato finanziario europeo funzionava senza l’attuale "frammentazione". Poi iniziò l’ascesa dello spread che ruppe la soglia di 100 punti base nell’aprile 2010. Il resto è storia nota. Purtroppo in quegli 11 anni (per quasi l’80% di governi Berlusconi) non sono state fatte quelle riforme strutturali e l’azione di contenimento del debito pubblico. È quanto ci viene spesso rimproverato da Bce, Ue, Ocse.
Per questo nel 2014 si prevede per l’Italia una crescita del Pil solo dello 0,5% (contro il non eclatante 1,1% Uem) con una disoccupazione totale vicina al 13% (con Uem sotto il 12%) e una giovanile vicina al 45% (con Uem sotto il 25%). Non è necessario dettagliare qui i molti dati che dimostrano come le imprese e i lavoratori soffrano e come solo quelle che esportano e si internazionalizzano resistono e crescono.
Vogliamo invece sottolineare che nelle riunioni, fitte in questo periodo, delle Associazioni di imprese, c’è un grande senso di responsabilità ed impegno per contribuire alla ripresa del nostro Paese. I toni di proposta sono forti ma composti nella crescente consapevolezza che ogni Associazione deve esprimere un solidarismo liberale innovativo e un’etica civile. In nome di questi principi le proposte-richieste sono chiare e tra queste spiccano quella su «semplificazione e certezza del diritto», «fiscalità sostenibile», «infrastrutturazione materiale e immateriale». Così come netta è stata la condanna dei casi di corruzione/concussione da cui derivano all’Italia danni incalcolabili.
Una conclusione. L’Italia rimane un Paese importante nella Ue che ha sopportato la crisi senza ribellismo, senza aiuti e con grandi sacrifici, ha ceti produttivi determinati a impegnarsi per il loro Paese e consapevoli che devono innovare di continuo, ha notevoli competenze scientifiche e tecnologiche, ha un patrimonio artistico-culturale unico, ha al governo un ceto politico di giovani che non ha pari nella Ue, ha personalità di comprovato prestigio europeo e internazionale. Ci sono dunque tanti ingredienti per la ripresa purché si ritrovi quello spirito, in Italia e in Europa, che animò la ricostruzione postbellica.

Alberto Quadrio Curzio, Il Sole 24 Ore 11/6/2014