Enrico Franceschini, la Repubblica 11/6/2014, 11 giugno 2014
VIDEOGAME SOCIALCLUB
LONDRA
Una finale dei Mondiali registra sempre il tutto esaurito e la sfida in programma il prossimo sabato 21 giugno a Wembley non fa eccezione: i biglietti sono andati a ruba in un batter d’occhio. Il fatto che le squadre in campo si affronteranno sedute davanti a un computer non sminuisce l’eccitazione dei fan: dalla Cina agli Stati Uniti, milioni di appassionati seguiranno la gara in diretta online; e molte migliaia di più fortunati vi assisteranno dal vivo, guardando riprodotte su un grande schermo, dentro il più celebre impianto sportivo d’Inghilterra, le prestazioni dei loro beniamini. Del resto la League of Legends Championship Series è il più conosciuto evento di e-sport sulla faccia del pianeta. Sport, sia pure con una “e” davanti? Il dubbio è legittimo, visto che in fondo si tratta di una partita a videogiochi. Ma proprio così, electronic sport , lo definiscono gli esperti, i media e i tifosi, perché delle discipline tradizionali ha le stesse caratteristiche: pubblico pagante, sponsor, salari da capogiro per i campioni, perfino bagarini. Per cui se continuate a pensare che i videogames siano un’attività da adolescenti brufolosi, stravaganti e solitari, chiusi nella propria stanza, senza amici, provate a comprare un biglietto per la Wembley Arena (i bagarini ne hanno ancora qualcuno) e venite a Londra per ricredervi.
Altrimenti, può bastare una recente notizia: YouTube sta negoziando l’acquisto per 1 miliardo di dollari (700 milioni di euro) di Twitch, un sito per la trasmissione di videogiochi in streaming. È come un canale YouTube in cui si vedono solo video di gente che gioca ai videogames: sul computer, sulla Playstation 4 o sull’Xbox One. Ogni mese su questa piattaforma digitale appaiono un milione di giocatori guardati da 45 milioni di spettatori. Possono sembrare numeri relativamente modesti nell’universo del web, ma nel 2013 sono raddoppiati rispetto al 2012 e si prevede che nel 2014 raddoppieranno di nuovo. Per questo YouTube (vale a dire Google, che nel 2006 ha acquistato YouTube per 1 miliardo e mezzo di dollari) ha deciso di comprare Twitch. E vuole comprarlo perché è convinto che possa diventare qualcosa di molto più grande di YouTube, come indica una semplice statistica: lo spettatore medio di Twitch guarda 106 minuti di video al giorno e il tempo che passa sul sito è in costante aumento; lo spettatore medio di Youtube e degli altri siti simili di Google guarda video per 11 minuti al giorno e il tempo che ci passa è in graduale declino. Non male per una start-up nata appena tre anni or sono.
Qualcosa sta succedendo nelle nostre case e ai nostri figli, insomma, di cui forse non ci siamo bene accorti. Quando è iniziato il boom dei videogiochi, una quindicina di anni or sono, effettivamente si trattava di uno svago da intraprendere in solitudine. Nell’ultimo decennio questo passatempo è stato trasformato dal web: collegati a internet, i videogamers non sono più soli, giocano partite di gruppo con decine di compagni che magari si trovano dall’altra parte della terra, formano squadre con centinaia di membri, si assegnano ruoli (capo, vice, veterano, novellino), discutono animatamente. A proposito: se sentite vostro figlio discutere, imprecare o gioire in camera sua, non chiedetevi com’è possibile, visto che è solo. Non è solo, almeno digitalmente. Da un paio d’anni il fenomeno ha compiuto un terzo passo: è diventato uno “sport per spettatori”. Alle partite si può assistere dal video o dal vivo (come per qualsiasi altro sport), i giocatori più forti, come LethalFrag, Swiftor o CaptainSparklez, sono autentiche celebrità in grado di guadagnare centinaia di migliaia e talvolta milioni di euro all’anno tra sponsor, pubblicità, premi messi in palio dai tornei e contratti con i canali che ritrasmettono le loro gare o li intervistano perché raccontino i propri trucchi, e fra i tifosi si formano veri e propri fans club che sanno tutto dei loro adorati campioni. Gioco asociale? L’opposto: ormai bisognerebbe chiamarli “social network videogames”, visto che nessuno li fa più da solo e c’è addirittura chi paga per vederli.
«Succede la stessa cosa con il calcio o il basket», dice al Financial Times Ehtisham Rabbani, direttore del settore videogiochi della Logitech, l’azienda di elettronica che sponsorizza le finali della League of Legends e altri tornei (su cui hanno cominciato a farsi pubblicità anche compagnie non collegate al settore digitale, come la Nissan e la Coca-Cola). «Da ragazzi tutti praticano uno sport, poi magari continuano a giocarlo con gli amici una volta ogni tanto, ma ne rimangono tifosi e lo seguono come spettatori. E questa è esattamente la ragione per cui l’e-sport è destinato a crescere spettacolarmente: i videogiochi sono un passatempo per giovani, ma ora quei giovani sono diventati adulti e saranno gli spettatori di domani ». Qualcuno obietta che è uno sport per voyeur ed esibizionisti: ma non si potrebbe dire lo stesso del football, tra ultrà sugli spalti e divi del pallone? Qualcun altro osserva che un giocatore di videogame, sebbene collegato via web con decine di altri giocatori con cui condivide la stessa passione, è comunque da solo in camera sua, perciò resta un’attività solitaria e asociale: ma non è una critica che vale anche per facebook, twitter e ogni altra attività digitale?
Così rendiamoci conto che in questo mese di giugno non ci sono soltanto i Mondiali di calcio in Brasile, ma pure quelli di videogiochi a Londra, e in autunno gli Invictus Games, in Cina, attireranno ancora più spettatori: gli esperti calcolano che sarà Pechino il mercato del futuro per l’e-sport, come per quasi tutto il resto. Certo, le stelle dei videogames non sono ancora ricche e famose come Ronaldo e Messi, ma presto potrebbero diventarlo: due mesi fa un college di Los Angeles ha offerto una borsa di studio di 20 mila dollari ai giocatori migliori di League of Legends, Starcraft II o Call of Duty. «L’e-sport è all’alba di una nuova era», predice Tomber Su, presidente di una lega di videogiochi in California. «Presto i cyber-atleti saranno rispettati dai loro coetanei come gli atleti degli sport tradizionali». Riflettiamoci, la prossima volta che sentiamo gioire nostro figlio davanti al computer insieme ai compagni di squadra, apparentemente solo nella sua cameretta.
Enrico Franceschini, la Repubblica 11/6/2014