Federico Fubini, la Repubblica 11/6/2014, 11 giugno 2014
BANKITALIA HA DECISO “TAGLIAMO GLI STIPENDI” MA TRA VISCO E IL GOVERNO I RAPPORTI RESTANO TESI
Fosse davvero solo questione di soldi, tutto sarebbe più facile per la Banca d’Italia, per il governo italiano e persino per la Banca centrale europea. Invece dietro il denaro e la prossima, imminente riduzione dei compensi ai vertici di Via Nazionale sono in gioco anche e soprattutto questioni più pesanti. Per alcuni sono simboli, per altri semplicemente è l’integrità dell’equilibrio fra poteri: nell’Italia e nell’Europa del 2014 non conta solo quando e di quanto, ma chi decide di ridurre lo stipendio a chi. E perché.
Nelle sue considerazioni finali di una decina di giorni fa il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, si è tenuto attentamente alla larga dall’argomento. La limatura del suo compenso spetta al Consiglio superiore dell’istituto, un organo di garanzia composto di 14 personalità della società civile. Nella sostanza però c’è già la presa d’atto che dovrà succedere: nelle ultime settimane è maturato dentro la Banca d’Italia l’orientamento a una sforbiciata sui 495 mila euro lordi l’anno del governatore, i 450 mila del direttore generale Salvatore Rossi e gli oltre 315 mila dei suoi tre vice. Quei compensi erano già stati tagliati due volte negli ultimi anni eppure, nota Bloomberg, Visco guadagna ancora oltre tre volte più del presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, e il 46% più del presidente della Bce Mario Draghi. Un’ulteriore correzione è matura: in proposito dalla Banca d’Italia si osserva solo che deve decidere il Consiglio superiore, senza smentire.
Ma, appunto, quando in gioco c’è il rapporto fra la Banca d‘Italia e il governo, il problema non sono più solo i lordi in busta paga. Poco importa che essi valgano un multiplo di quelli di altri Paesi più grandi e più ricchi. Sotto pressione finiscono anche i rapporti fra istituzioni portanti del Paese: lo sottolinea indirettamente il parere legale della Banca centrale europea sul decreto del 24 aprile del governo, quello che fissa a 240 mila euro lordi l’anno il tetto per i dirigenti pubblici. Quel provvedimento indica anche che «la Banca d’Italia, nella sua autonomia organizzativa e finanziaria, adegua il proprio ordinamento ai principi» delle soglie agli stipendi pubblici. Per Visco sarebbe un dimezzamento.
La Bce in proposito ricorda tre punti. Dice che il governo può indicare a Via Nazionale solo un «principio» o una «norma di indirizzo », ma non ha diritto di imporre alcunché, perché in Europa le banche centrali sono e restano indipendenti. Aggiunge che qualunque margine derivante da quei tagli agli stipendi non può andare al Tesoro, anzi deve restare dentro la Banca d’Italia. L’istituto non è finanziato dal contribuente ma dall’attività di stampa di euro, dunque qualunque versamento dei propri risparmi di spesa a favore dello Stato sarebbe finanziamento monetario del deficit: la violazione più radicale nell’ordinamento europeo. Infine, l’Eurotower chiede di essere consultata prima e non dopo un decreto d’urgenza che rischia di toccare l’indipendenza di una banca centrale del club dell’euro. È già la seconda volta in realtà che un governo di Roma rimanda la palla a Francoforte dopo aver già deciso: successe anche con la rivalutazione delle quote di Via Nazionale quando a Palazzo Chigi c’era Enrico Letta.
Quella della Bce di Mario Draghi non è una stroncatura del decreto del governo. È un promemoria sui confini che separano istituzioni indipendenti l’una dall’altra. E non sarebbe neppure controverso, se Palazzo Chigi per canali informali non avesse tenuto a far sapere che è stato Matteo Renzi in un incontro a chiedere a Visco il sacrificio di una parte cospicua della sua paga. Visco quel giorno non avrebbe risposto, ma il 30 maggio nelle considerazioni finali ha elencato qualcosa che la Banca d’Italia ha saputo fare e il governo non ancora: un taglio dei costi operativi del 14% in quattro anni, al netto del carovita, e una riduzione di oltre il 10% degli addetti.
La prossima mossa di questa partita a scacchi di fatto è già acquisita. La sforbiciata su Visco e la sua squadra arriverà, ma ignorerà in pieno il tetto di 240 mila euro indicato da Renzi. Sarà un modo, fra l’altro, di dimostrare che c’è un palazzo nel centro di Roma sul quale il premier non detta legge. Questa è una conversazione appena agli inizi, dai toni per niente accesi. Ma lo diventeranno di più se i protagonisti smettono di parlare di simboli, e vengono alla sostanza.
Federico Fubini, la Repubblica 11/6/2014