Gabriele Romagnoli, la Repubblica 11/6/2014, 11 giugno 2014
IL MONDIALE DELLE STELLE NASCENTI
Campioni rottamati o in crisi, il calcio confida nelle sorprese.
Quelli che non si sono qualificati, come Ibrahimovic. Quelli che non sono stati convocati, come Tevez. Quelli che si son rotti da tempo, come Falcao, o sulla scaletta dell’aereo, come Ribery. Quelli che hanno la nausea, come Messi. E quelli che sono entrati nel conclave di Rio da papi come Balotelli, Cassano e Pirlo e vedono prendere voti Immobile. Quelli che non si sono qualificati, come Ibrahimovic. Quelli che non sono stati convocati, come Tevez. Quelli che si son rotti da tempo, come Falcao, o sulla scaletta dell’aereo, come Ribery. Quelli che hanno la nausea, come Messi; quelli che la macumba, come Cristiano Ronaldo. E quelli che sono entrati nel conclave di Rio da papi come Balotelli, Cassano e Pirlo e vedono prendere voti Immobile, Insigne e Verratti. Quelli che il calcio è proprio come la politica e la vita: quando il gioco si fa serio, ti rottamano. Per caso o per scelta, Brasile 2014 rischia di essere un mondiale di svolta, più che generazionale, assoluta, di facce nuove e inattese. Diciamolo subito: meglio così. Poi magari il capocannoniere sarà Klose, ma oggi è bello stare qui, sulla soglia di un’altra stanza di vita dedicata al gioco e alle parole che non pesano aspettando l’imprevisto. Non c’è un appuntamento che dia più batticuore.
La “coppa senza stelle” è un po’ un classico, un immancabile rito di passaggio. Basta verificare nell’archivio dei giornali usciti durante le precedenti edizioni. La differenza è che di solito arriva sul tavolo dopo le prime partite, quando i campioni sulla carta deludono (mai uno che parta con il botto) o vengono rispediti a casa. Sale allora al cielo vuoto il lamento del popolo e degli sponsor. Stavolta si comincia subito e da zero. Non solo si certifica che alcune stelle che apparivano luminose sono in realtà morte, ma si cancellano pure quelle di galassie meno esplorate: il messicano Montes, il russo Shirokov, il colombiano Ramirez. Nel pubblico globale si confrontano due reazioni contrarie. Per alcuni è una delusione, come andare a vedere un film con un cast di non protagonisti, ex comparse, debuttanti. Il rischio è che si rivelino più bravi dei premi oscar, così come gli attori delle nuove serie tv rispetto a quelli, consacrati, del cinema. Le nuove generazioni e le seconde schiere spesso invecchiano in sala d’attesa per egoismo dei predecessori. Roma rinnegherà talenti ancora per anni nel nome di Totti e se non era per Obama un americano poteva passare l’intera vita sotto un Bush o un Clinton: otto anni di qua e otto di là. I mondiali ci avrebbero sicuramente rimesso se non ne avessero giocati Pelé, Maradona o Zidane. Ma anche senza Fabio Grosso sarebbe stata tutta un’altra storia.
Di qui l’atteggiamento di quelli affetti dalla “sindrome di Ulivieri”. Quando allenava il Bologna si ritrovò in squadra Baggio. Osservò perplesso la folla osannante che aveva occhi soltanto per lui e tratteneva il respiro anche quando andava a battere un corner. Disse quindi: «Preferirei vincere con un gol di Nervo». Baggio ne segnò 22, Nervo 1. Obiettivamente: indimenticabile. Ci sono calciatori che hanno già avuto tutto, altri che possono prendersi questo treno. E c’è chi tifa soltanto per loro, i numeri 21, gli outsider, i nuovi che avanzano. Noi italiani ne facciamo una mezza religione, di questa forma di ricambio provvidenziale. Mezza perché intrisa di superstizione. C’è andata bene una volta: riproviamoci. Qualsiasi ct si porta in valigia un terzino a sorpresa per farne il “nuovo Cabrini” e un bomber appena esploso che possa essere il “nuovo Schillaci”. Poi certo, per innescarli occorre un segno divino, un infortunio, una latente abulìa del titolare. Come per dare palla a Renzi c’è voluto che Bersani rendesse Tafazzi un dilettante e nell’altra squadra per togliere dal campo Berlusconi che gioca da fermo non si sa, né si vuol sapere, che cosa occorra.
Ma questo che ci aspetta è calcio, non brutta politica. Per un mese anche i talk show dibatteranno la variabile Darmian e le tangenti saranno quelle eventualmente pagate al Qatar per andare a giocare nel deserto. Invece dei soliti noti, scopriremo facce relativamente nuove per quelli che non sono appassionati di fantacalcio planetario. Secondo l’anagrafe molti degli infortunati perdono se non l’ultima occasione della loro vita, la migliore. Vale per Falcao, Ribery e anche per Pepito Rossi. Dispiace per loro, e molto. Ma voltando pagina non è detto non si apra un capitolo più avvincente. Scommettiamo su James Rodriguez, Griezmann e sui tre scugnizzi italiani che sarà opportuno non chiamare più “ragazzi di Zeman” o Prandelli che ha avuto il coraggio di portarli si sente un patrigno. Un giorno anche loro terranno a battesimo una linea di mutande, ma ora che vogliono solo mettersene un paio qualunque e correre sul prato a giocare sono i veri dei del pomeriggio.
Gabriele Romagnoli, la Repubblica 11/6/2014