Roberto Giardina, ItaliaOggi 11/6/2014, 11 giugno 2014
PAGA MINIMA, ITALIANI A RISCHIO
da Berlino
Difficile trovare un ristorante tedesco a Berlino. Potete gustare specialità australiane e sudafricane, inglesi (esistono) e finlandesi, avrete l’imbarazzo della scelta per la cucina turca o cinese, e trovate sushi quasi in ogni strada. E l’Italia è in testa: i nostri ristoranti sono oltre un migliaio, ottimi, pessimi, autentici, gestiti da pakistani o libanesi, greci e messicani, perfino da tedeschi.
Se il patron o lo chef è prussiano sarà più rigido di un collega toscano o emiliano. I pregiudizi sono per sempre, impossibile scalfirli, e qualcuno è sempre convinto che i connazionali di Frau Angela cucinino gli spaghetti scotti, o mettano il ketchup in quelli al pomodoro. Falso, sono i più rigorosi, per dimostrare di essere meglio di noi. Servono il cappuccino a mezzanotte insieme con la grappa, ma è colpa dei clienti, e lo fanno anche i ristoratori tricolori. L’incasso über alles.
Mediamente gli italiani della capitale sono almeno sufficienti. Alcuni danno dei punti ai locali di Roma o di Milano. Ingredienti freschi e originali e una cucina molto attenta. E, cosa sorprendente, sono meno cari. Nel miglior ristorante di Berlino, frequentato sempre dall’ex cancelliere Schröder, non superate i 50 euro, senza il vino, per un menu che dalle parti di Piazza Navona costerebbe il triplo. A mezzogiorno, ordinando il menu del giorno, ve la cavate con meno di 20, bicchiere di bianco o di rosso compreso. Neanche in pizzeria a Trastevere.
Ma qualcuno, bisogna ammetterlo, conserva le brutte abitudini di casa. Quando arrivò l’euro, gli italiani furono i primi a raddoppiare, da un giorno all’altro, i prezzi. E fallirono: perché i tedeschi sanno e possono scegliere. Andarono altrove. Oggi non tutti, ma alcuni, esagerano con il lavoro al nero, approfittando dei ragazzi italiani che arrivano nella metropoli alla ricerca di una chance, senza sapere il tedesco. Così, laureati in filosofia o in scienze politiche finiscono a servire gelati all’immancabile Caffè Venezia, o pizze quattro stagioni. Se la cavano con quattro parole, rosso bianco il conto, e fanno colore locale; paradossalmente diventano una garanzia di autenticità.
Ora, la paga oraria minima introdotta dalla Grosse Koalition mette a rischio la ristorazione (non solo l’italiana). I lavoratori sotto questo livello sono almeno 4 milioni, e in genere si tratta di minijob, doppio lavoro a 450 euro mensili. Nei ristoranti, i dipendenti interessati sono 900 mila. La Cdu di Frau Angela chiede di fare qualche eccezione per trattorie, pensioni, alberghi, negozi di parrucchiere, tassisti. Si rischia di perdere posti di lavoro invece di favorire i dipendenti. Andrea Nahles, ministro del lavoro, socialdemocratica, rimane rigida: tutti devono ricevere una paga dignitosa, il che è giusto e indiscutibile, anche se ci vorrebbe un minimo di elasticità.
I furbi italiani rischiano grosso. È prevedibile che nei primi tempi i controlli saranno a tappeto e rigorosi, e verranno alla luce le vecchie cattive abitudini. I dottori in lettere sbarcati dall’Italia dovranno essere pagati secondo la legge anche se servono male a tavola. Se la caveranno le imprese familiari, italiane e turche. Conosco un architetto italiano arrivato negli anni dopo la riunificazione che non è riuscito a fare concorrenza a Renzo Piano, ha aperto un localino con sei tavoli, sempre occupati. Ma fa tutto da solo, ai fornelli e ai tavoli, e cuoce perfino il pane. Vi serve quello che vuole, ma i clienti sono sempre soddisfatti. Gli altri, per mettersi in regola, saranno tentati di aumentare i prezzi: ma la concorrenza è forte, e rischiano di fare la fine dei colleghi che volevano speculare sull’euro.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 11/6/2014