Simona Siri, Vanity Fair 11/6/2014, 11 giugno 2014
PARLO SOLO DEL FILM
[Intervista a Asia Argento] –
E pensare che mi è anche piaciuto. Incompresa, terzo film da regista di Asia Argento, presentato all’ultimo Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard e dal 5 giugno nelle sale italiane, è commovente e divertente insieme, capace di strapparti grosse risate, ma anche farti venire gli occhi lucidi. E non è poco. Anzi, sarebbe moltissimo e sarebbe bello poterne parlare con chi il film l’ha scritto (assieme a Barbara Alberti) e l’ha diretto, se non fosse per un piccolo inconveniente: non si può parlare con Asia di Asia.
Seguitemi: Incompresa racconta la storia di Aria (la straordinaria Giulia Salerno), figlia di un famoso attore (Gabriel Garko) e di un’artista un po’ squinternata (Charlotte Gainsbourg). I due sono sull’orlo del divorzio – troppo narciso e scaramantico lui, troppo hippie e distratta lei – e a farne le spese sono le tre figlie femmine, Aria, la più sensibile, e le due sorelle. Il tutto si svolge a Roma negli anni ’80, come suggeriscono abiti e canzoni («Parliamo della colonna sonora!», griderà a un certo punto Asia, ma a questo arriviamo tra poco).
Ecco, se la trama vi sembra leggermente autobiografica tranquilli, non avete le allucinazioni. Il problema è che guai a farne menzione ad Asia, andrà su tutte le furie, vi accuserà di essere interessata solo al gossip (quale? Il suo essere figlia di genitori artisti e separati? A casa mia questi si chiamano fatti, il gossip è altro, vedi alla voce Jennifer Lopez, giusto per citare una che nel momento in cui scrivo è nel ciclone dei rumors non confermati) e di essere «parte di quella stampa italiana becera a cui non interessano cose importanti come il fatto che il film è girato su pellicola».
Come avrete capito, questa è la cronaca di un’intervista («tu» compreso) iniziata male e finita peggio. Per la precisione dopo 8 minuti e 2 secondi dal suo inizio. Il giudizio sovrano resta ovviamente ai lettori.
Innanzitutto complimenti per il film: l’ho visto a Cannes e ho molto riso.
«Anche io e Barbara Alberti abbiamo riso molto scrivendolo, alle volte arrivando alle lacrime agli occhi. I genitori sono due personaggi volutamente assurdi e la protagonista, Aria, non li giudica mai, ma noi che siamo adulti riconosciamo in loro tic e manie nostre, ed è qui che scatta la risata».
Il complimento più bello però è che oltre a far ridere, Incompresa riesce anche a commuovere.
«È esattamente quello che volevamo: muovere nello spettatore tutte le emozioni».
Qual è il commento o la recensione che ti ha fatto più felice?
«Recensioni non ne leggo e le critiche e i complimenti non mi fanno né felice né triste. La cosa più bella è stata condividere questa emozione, questa comprensione del pubblico insieme a tutti i bambini del film, agli attori, alla costumista, alla scenografa, tutti quelli che hanno lavorato. Questa è la cosa che mi porto nel cuore».
Quanto ti sei sentita incompresa come regista in passato?
«Forse da alcuni, ma più che altro mi sono sentita incompresa nella vita, come credo capiti a tutti. Chi si sente veramente compreso? Giulio Cesare, forse, prima di essere ammazzato? Nessuno. Io mi sono sentita incompresa né più né meno di te».
Hai dichiarato che questo non è un film autobiografico. Ovviamente vedendolo ci sono certi dettagli che ricordano… (continuazione di domanda troncata dalla furia di Asia: «aspetti della tua vita e sono innegabili, come l’essere cresciuta in una famiglia di artisti, creativa, piena di quadri e di musica...»).
«Ovviamente cosa? Di ovvio non c’è niente. E poi ricordano cosa? Tu mi conoscevi da bambina? Di questo non ho nessuna intenzione di parlare».
Il fatto, per esempio, di crescere con due genitori artisti…
«Allora vuoi dire che i tuoi genitori… ».
I miei genitori facevano gli impiegati.
«E perché facevano gli impiegati ti capivano completamente, non ti sei mai sentita incompresa da bambina?».
No, anzi, ma voglio dire, non tutti abbiamo avuto la stessa infanzia… (continuazione di domanda pensata ma non fatta: «la tua è stata privilegiata»).
«Nel film i genitori sono due artisti perché mi interessava raccontarne l’egocentrismo e l’effetto che questo ha su una bambina piccola, ma sono sicura che questo egocentrismo ce l’avranno avuto anche i tuoi genitori impiegati, o magari una completa attenzione nei tuoi riguardi. È un discorso universale, non ha a che fare con la mia vita, parlare dei cazzi miei lo riduce a un gossip becero tipicamente italiano».
Però nel film la protagonista è figlia di genitori separati… (continuazione di domanda mai fatta: «pensi che sia il divorzio ciò che unisce le infanzie infelici di molti bambini?»).
«Però cosa? Non capisco dove sta andando questa intervista. Perché vuoi parlare del gossip?».
Ma quale gossip? Sto parlando del film!
«Quando parlo con la stampa straniera non mi vengono fatte domande sui cavoli miei... Me, me, me. Vogliamo parlare del film? Ci sono tante cose interessanti da dire, che è girato in pellicola, la colonna sonora. Però se tu vuoi parlare di me io non voglio continuare questa intervista. Hai domande sul film o su di me?».
Veramente stavamo parlando del film, e il film parla di una bambina figlia di genitori separati. E siccome il film l’hai diretto tu…
«Va bene, ciao».
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