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 2014  giugno 07 Sabato calendario

SORELLA DOVE VAI IL LATO POP DELLA CASTIT


La sventurata rispose: «Sono Suor Cristina, ho 25 anni. Sono qui perché... ho un dono e ve lo dono».
Si consuma tra queste due frasi – entrambe citazioni – lo scarto tra un immaginario claustrale e claustrofobico e il nuovo, luccicante, arioso mondo delle suore mediatiche. È vero, volendo sottilizzare, che la “sventurata” era Gertrude, ovvero la monaca di Monza, predestinata a una vita di privazioni a cui pure cercò di sottrarsi. Mentre l’altra, quella dotata, è la religiosa più rock del momento. Ovvero Suor Cristina, che risponde a un’incredula Raffaella Carrà durante la sua prima apparizione a The Voice.
Ma, appunto, non è sempre stato così: gettando uno sguardo nel passato è un’impresa trovare riferimenti non avvilenti riguardo alle religiose in gonnella.
La letteratura offre esempi poco rassicuranti. A partire dalla povera Eloisa, ridotta allo stato monacale in seguito alla relazione passionale con il suo maestro Abelardo. Eloisa, in teoria, avrebbe avuto tutte le fortune: avvenente secondo gli standard dell’epoca, come ricorda lo storico Etienne Gilson, «di grande statura e belle proporzioni», poteva vantare dei perfetti denti bianchi in un’epoca di bocche marce, ma soprattutto era intelligente e colta. Doti che non le risparmiarono l’esperienza monacale. Se sulla lussuria e sulla virilità di Abelardo cadde – e non metaforicamente – una sciabola, anche per lei la vita fu più amara di quanto meritasse.
Le sorelle della tradizione letteraria sembrano destinate a sbattere la testa sul classico e becero binomio applicato a tutte le donne: suora o prostituta, non c’è via di scampo. Delle prime si elogia la virtù, l’abnegazione per la fede, il sacrificio per gli altri o per Dio. È così per Ildegarda, visionaria ed erudita, dichiarata dottore della Chiesa da Papa Benedetto XVI; per santa Chiara d’Assissi e per Eustochia, votate alla povertà. C’è poi qualcuno che riesce ad assommare in sé sacro e profano, libidine e pudicizia: è il caso della furba Santa Teresa d’Avila e delle sue estasi su cui ha avuto qualcosa da dire anche la psicanalisi. Benché si tratti di mitologie positive, almeno nelle intenzioni degli agiografi, sono pur sempre storie estreme di donne róse da impulsi irrefrenabili, invasate, esaltate. Ma quando si passa a parlare delle suore che non hanno saputo rinunciare ai piaceri della carne, l’immaginario si fa assai più cruento. Qui c’è solo sdegno e riprovazione per personaggi come M.M., famelica predatrice sessuale che intesse trame di peccato e di voluttà stupefacenti persino per il suo amante Casanova. Va un po’ meglio con Diderot che scrive una satira dei conventi (La monaca) e con l’Aretino, che con divertita malizia racconta di una certa perversa Suor Marta, ma quello nel proibito ci sguazza, si sa. Monache infelici le troviamo anche più avanti nel tempo in Storia di una capinera di Verga o nelle più recenti Lettere di una novizia di Piovene.
Finché – coerentemente con l’evoluzione dell’immagine della donna nei paesi occidentali, si dirà – una nuova schiera di suore e di monache si affaccia, ora sì sorridente, al mondo: sono le suore mediatiche che, in televisione o su internet, mostrano il bright side della vita di castità e di devozione a cui devono corrispondere. In un primo momento, queste suore che cantano, che danzano, che twittano creano qualche dissonanza cognitiva: dove sono finiti i baffi non depilati e quella rabbia da racchia della classe che ha preso i voti perché nessuno la voleva? Eravamo tutti al sicuro delle nostre incrollabili certezze.
In Italia abbiamo iniziato con Suor Paola, solare tifosa della Lazio, inviata di Quelli che il calcio, poi è stata la volta delle suore delle fiction, ovviamente molto telegeniche. C’è stata Suor Anna a segnalare un cambio di tendenza: Anna Nobili, una volta cubista in discoteca, si dedica ormai alla così detta Holy dance. Ma il vero caso è stato Suor Cristina, con il suo viso acqua e sapone e 50 milioni di visualizzazioni totalizzate su Youtube. La sister act nostrana è un fenomeno talmente dirompente da meritarsi un articolo in prima pagina sul New York Times. Ma se noi siamo ancora fermi alla televisione, che evidentemente non è più “cattiva maestra” proprio per nessuno, negli Stati Uniti invece si discute delle suore 2.0. Per esempio The Atlantic propone un ricco profilo di Suor Helena Burns raccontando il suo attivismo sui social media. Suor Helena ha più di 15,900 follower su Twitter e ne rivendica l’utilizzo in quanto strumento di evangelizzazione: «Io voglio usare la più recente, moderna ed efficace tecnologia che mi consenta di raggiungere il maggior numero di persone tramite lo spirito santo». Non a caso, forse, suor Helena fa parte dell’ordine delle sorelle paoline. San Paolo è stato il primo comunicatore della Chiesa, oggi il suo account twitter farebbe faville: «San paolo non aveva paura della tecnologia, non aveva paura dei media. Per lui non c’era dicotomia tra Dio e la tecnologia». Ci sono poi le suore di Imagine Sisters, ovvero un movimento sul web che ha come scopo raccontare e promuovere le loro attività attraverso il ricorso a facebook, Twitter o Tumblr, al grido di #nunsrock.
Insomma, le sorelle sembrano aver strappato il velo (almeno metaforicamente) che le teneva imprigionate: sono brave a comunicare, spigliate, al passo con i tempi, bucano lo schermo. In un discorso del genere, non si può non tirare in ballo Papa Francesco: in fondo è anche grazie a lui – un comunicatore impareggiabile – che la Chiesa cattolica si sta togliendo di dosso quell’alone polveroso che certo non aiutava l’evangelizzazione. E chissà che l’apotropaica e un po’ maligna esclamazione “Suora tua” non si trasformi in un contagioso richiamo rock.