Giuseppe Ambrosiani, Il Tempo 11/6/2014, 11 giugno 2014
GLI ITALIANI PRIMI IN CLASSIFICA COPPI E BARTALI TRIONFANO A PARIGI
Fausto Coppi degno successore di Ottavio Bottecchia e di Gino Bartali, ha dato poche ore fa al ciclismo italiano la quinta vittoria nel Giro di Francia. Le 50.000 persone che gremivano il Parco dei Principi hanno decretato il trionfo del nostro campione e della sua squadra, cancellando, con le accoglienze e con il riconoscimento degli onesti e sereni sportivi, le deplorevoli manifestazioni che sul percorso delle ultime tappe avevano macchiato il buon nome dello sport francese.
Da 20 anni a questa parte mai nessuna barriera aveva ottenuto così completa e convincente affermazione come quella di cui oggi gli sportivi italiani esultando e i nostri vanno giustamente orgogliosi. L’ineguagliato bilancio della difficile impresa iniziata 25 giorni fa e che ci ha portato da Parigi alla Manica, dall’Atlantico al Mediterraneo, dai Pirenei alle Alpi, oltre i confini del Belgio, della Spagnola, dell’Italia e della Svizzera (non vi pare di sentire già parlare di un Giro d’Europa?) è il seguente: primo, secondo e sesto classificato: 5 vittorie di tappa; vittoria di squadra; la rappresentativa nazionale arrivata - caso unico nella storia del tour - al completo al traguardo. È superfluo dire che il successo che più conta è quello individuale. Fausto Coppi ha demolito ogni sospetto che si poteva nutrire (e lo confesso, un po’ l’ho avuto anch’io) sulle sue possibilità in una corsa così lunga e così dura. Non dubitavo, intendiamoci, delle sue doti di resistenza, ma del suo temperamento ipernervoso e ipersensibile, che avrebbe potuto essere il suo tallone d’Achille in quei momenti di difficoltà e anche di sofferenza fisica e morale ai quali nessun atleta, per quanto forte, può sfuggire attraverso le mutevoli vicende di 21 giorni di lotte. Li ha avuti infatti nelle non liete giornate di Saint Malò e anche dopo i Pirenei, che non diedero ai nostri i frutti sperati, e noi passammo ore di preoccupazione, temendo da un momento all’altro una crisi di scoraggiamento, una decisione improvvisa di rinuncia del nostro campione. Per fortuna la coscienza dei propri doveri di fronte agli sportivi italiani, l’orgoglio personale, la valutazione del proprio interesse materiale e la presenza di un maestro e di una guida come Alfredo Binda, evitarono l’irreparabile. E Fausto Coppi, superati i giorni in cui gli parve troppo difficile, se non impossibile, vincere il Tour con già più di mezz’ora di ritardo (i lievi distacchi erano facilmente colmabili nel Giro d’Italia forse gliela fecero considerare irreparabile) ritonificato lo spirito e ridato ai muscoli l’impulso della sua enorme potenzialità nervosa, tornato insomma se stesso, ha rivaleggiato sulle Alpi con Bartali nell’affermare la indiscussa superiorità degli scalatori italiani su quelli francesi e belgi; gli è succeduto come maglia gialla grazie alla sfortuna che ha colpito due volte nel giro di pochi minuti il suo compagno di prodezze, ma se ne è dimostrato pienamente degno, vincendo da gran signore la più pesante tappa a cronometro.
FIGURA DI PRIMO PIANO
Nessuno può azzardarsi a negare che chi ha vinto più tappe (egli ne ha vinte tre), chi ha imposto il suo predominio sui Pirenei e sulle Alpi, e nelle due tappe a cronometro, chi ha tenuto la maglia gialla per le ultime quattro giornate, sia il vero e più meritevole vincitore del Tour. Ha tenuto alla distanza, e la superiorità come scalatore e come passista lo ha fatto proclamare l’atleta più completo e preminente in ogni campo.
Solo in velocità Coppi non ha potuto dimostrare quel che vale, perché anche per le direttive impostegli, che erano di attesa, di prudenza e di risparmio, egli non ha mai fatto parte del gruppo che ha disputato la volata. Dopo una simile dimostrazione che viene a colmare negli archivi personali di Coppi quella lacuna, forse che è l’unica che è un’ombra nel luminoso quadro del correre di Girardengo e Binda, molti si domandano se non è arrivato il momento di mettere Coppi, con il serto di tutte le sue vittorie, i suoi titoli e i records nazionali e mondiali, al vertice della scala dell’Olimpo ciclistico (...).
LA PROVA DI BARTALI
Bartali ha invece dichiarato che farà il suo quinto Tour. Ha preso gusto di veder festeggiato il suo compleanno con una vittoria sulle Alpi. Sui gusti non si discute.
Del resto ha tutte le ragioni per tentare di fare quel che ha fatto This: vincere tre giri di Francia perché tra gli avversari anziani del Tour e tra i novizi di quest’anno non vedo chi potrebbe tenergli testa. Anzi, se si pensa che senza la foratura e la caduta sul S. Bernardo egli sarebbe stato maglia gialla dopo le Alpi e fino a Colmar, che è terminato secondo dietro Coppi nel premio della montagna, nella tappa a cronometro più dura e nella classifica generale, si avrà un’idea precisa della grande prova fornita e delle ulteriori possibilità di questo inesauribile e generoso fuoriclasse che, solo a trentacinque anni ha trovato chi ha saputo emularlo e superarlo, ma non umiliarlo.
Gino è stato magnifico sull’Izoard, sul Monginevro, sul piccolo e sul gran S.Bernardo, ma è stato addirittura stupefacente nella tappa a cronometro di ieri l’altro. Anche in lui si adunano le doti di scalatore e di passista di fondo in misura non toccata da alcuno degli avversari che non sia Coppi. Ma egli ha su di lui un’indubbia superiorità: la calma, la serenità e la fede che temprano il suo spirito e illuminano le sue idee. Essere alla sua età il secondo specialista di corse a tappe - e dietro a un Coppi - costituisce, secondo me, per Bartali un titolo di gran merito.
L’inconciliabilità fra queste due grandi figure del nostro ciclismo si è dimostrata una fola. La rivalità c’era, è rimane, e forte; ma quel che non hanno saputo fare i dirigenti dell’Unione Velocipedistica Italiana a Walkenburg per evitare il disastro che vi è successo, ha saputo farlo Binda, con la sua autorità, con la sua esperienza, con il suo tatto, con la sua premura. L’intelligente ex campione del mondo ha gettato le basi dell’impresa di cui prendeva in mano le redini a Chiavari e che ha poi costruita giorno per giorno, da tecnico riconosciuto e da fine psicologo.
Magni non era venuto al «Tour» con l’illusione di vincerlo. Sa di non essere un arrampicatore irresistibile, e sapeva che il «Tour» si vince in montagna. Egli voleva la bella affermazione che era già andato a cercare nelle Fiandre, e l’aveva trovata; e l’ha avuta anche qui, forse anche superiore al previsto, ma non quella che avrebbe avuta senza la caduta sull’Aubisque. Nuovo a questa gara, egli l’aveva affrontata da principio con prudenza poi s’era rinfrancato, ed ha afferrato nella San-Sebastian-Pau la buona occasione, la grande giornata, e la maglia gialla. Dicevano che a Pau l’avrebbe restituita subito. Invece l’ha portata fino a Briancon, superando giorni di sofferenza inumana e destando ammirazione e simpatie generali per il suo coraggio. Egli ha tenuto alta la bandiera azzurra, mentre quella del tricolore aspettava di sventolare sui Pirenei e sulle Alpi. Questi quattro uomini - tre atleti e un dirigente - sono stati gli artefici maggiori del nostro successo. Ma non bisogna dimenticare gli oscuri sacrificati gregari, che hanno reso possibile la difesa delle posizioni dalle quali, poi, i nostri assi hanno preso lo slancio per il volo vittorioso. Tutti meritano il plauso e riconoscenza (...).
Giuseppe Ambrosiani