Massimiliano Lenzi, Il Tempo 11/6/2014, 11 giugno 2014
SARTRE TRADITO DALLA VANITÀ «ROSSA»
Cinquant’anni fa, era di ottobre, lo scrittore e filosofo francese Jean Paul Sartre rifiutò il Premio Nobel per la letteratura. Era il 1964. Come aveva già spiegato in occasione del conferimento della Legione d’Onore nel 1945 o dell’attribuzione del seggio al Collegio di Francia, premi che la sua patria voleva appiccicargli addosso per farlo laureato, Sartre riteneva che tali onori alienassero la sua stessa libertà di pensiero. La sua indipendenza. Nella lettera inviata all’Accademia di Stoccolma, per argomentare il proprio no, il filosofo francese infatti scriveva: «Il mio rifiuto non è un atto di improvvisazione. (...). Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli, come in questo caso». Eppure, in questo mezzo secolo, qualcosa è cambiato, soprattutto a sinistra. Succede infatti che la sapida lezione di Sartre, nella sua essenza, sia stata dimenticata, anzi sovvertita. Ed oggi gli intellettuali non vedono l’ora di farsi essi stessi istituzione o comunque non la rifiutano la mutazione - ci mancherebbe! Prima di vederne alcuni con nomi e cognomi, una considerazione: la letteratura, soprattutto quella che si fa istituzione, è un Potere con la P maiuscola. Nei giorni scorsi a Roma, a un incontro sul Festival Internazionale di Roma delle Letterature, con la scrittrice Jhumpa Lahiri e lo scrittore francese Eric-Emmanuel Schmitt, quest’ultimo spiegava che «la letteratura non deve essere al servizio di nessun potere, se non di se stessa». Alla domanda se non fosse la letteratura stessa Potere, Schmitt ribadiva che «la letteratura ha influenza ma non è potere. E che paradossalmente dura di più del Potere stesso, gli sopravvive». Il fatto è, però, che quando la letteratura si fa Istituzione si sacralizza, come temeva Sartre, e diventa altro da sé. Prendiamo alcuni esempi. Dario Fo, comico sapido e giullare (comunque la si pensi) nel momento in cui si prende il Nobel perde la propria carica eversiva e diventa - ovviamente tra virgolette - sacro. Tutto ciò che prima dissacrava, pur continuando a farlo, non sarà più la stessa cosa. Dovunque vada Dario Fo oggi è un giullare laureato, con la corona di alloro in testa, e la buffoneria come disincanto alla tirannia diventa dettaglio. Periferia. In questo la lezione di Sartre rivela tutto il proprio futurismo e realismo. Volendo uscire dalla dimensione ristretta dei premi potremmo allargarci alla politica. L’intellettuale che sfronda il potere, lo critica da giornalista e fa i conti solo con il proprio pensiero, una volta diventato/a politico/a, sarà altra cosa, seppur in buona fede. Perché l’istituzione cambia le persone, l’incarico le muta e qui sta il grande rifiuto dell’unanimismo di Sartre. In questi giorni, in Italia, a sinistra non fanno che parlare e discutere della decisione di Barbara Spinelli di andare in Europa a fare il parlamentare e di non mollare, diversamente dagli inizi. Tutti si sono concentrati sul cambio di posizione, ma non è quello il punto perché vivaddio nel mondo è consentito (e a volte pure salubre) cambiare idea. Il fatto è che diventando eurodeputato la Spinelli non potrà più essere la Spinelli di prima. Non perché le sue intenzioni muteranno (non è questo il cuore del problema) ma perché la carica la renderà qualcosa di altro rispetto a quello che è stata sino ad oggi. Lei che vive in Francia e conosce Sartre dovrebbe riflettere su questa trasformazione, farsi Istituzione rende parte del sistema, comunque vada. La questione è eterna perché, ad un certo punto, farsi istituzione diviene una grande tentazione, per tutti. Persino un liberale schivo come il poeta Eugenio Montale, che aveva cantato il proprio distacco da «i poeti laureati» che «si muovono soltanto fra le piante / dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere / mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla» finirà per accettarlo nel 1975, il Nobel. E più laureato di un’Istituzione cosa si può trovare? Noi crediamo che non ci sia nulla di più e per questo, con Sartre, vorremmo che gli intellettuali che hanno l’ambizione di sfrondare il mondo ed i nostri vizi avessero almeno la libertà di rifiutare il vizio peggiore di tutti: farsi istituzione e ricevere premi.
Massimiliano Lenzi