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 2014  giugno 11 Mercoledì calendario

PINKETTS SCOPRE IL MARE A MILANO


A Milano di notte c’è il mare. Parola di Andrea Pinketts, che Milano la conosce bene e la vive soprattutto dopo il crepuscolo, per poi scriverne alla sua maniera. Succede anche nell’ultimo libro, Ho una tresca con la tipa nella vasca (Mondadori, pp. 190, euro 17), non un romanzo, ma una raccolta di racconti, per la verità non tutti ambientati a Milano. Equilibrista della lingua, Pinketts la modella a suo piacimento, attraverso continui giochi di parole, calembour, filastrocche in rima baciata. Il titolo viene dal primo personaggio femminile che il lettore incontra, personaggio ambiguo e anfibio, trattandosi della Sirenetta di Copenhagen. Il protagonista, tal Gennaro, guardaspalle di un boss, se ne innamora e, come un novello Ulisse, se ne lascia incantare. Non potendola però seguire in acqua (non sa neanche nuotare), la tiene nascosta in una vasca di zinco in cantina.
Come si può facilmente intuire, le trame e i caratteri che Pinketts mette in scena hanno sempre qualcosa di surreale e di noir. L’autore ha esordito negli anni Ottanta con romanzi gialli e polizieschi, inventandosi poi un alter ego di nome Lazzaro Santandrea (che fa capolino anche fra queste pagine, essendo Pinketts abbastanza incline all’autocitazione). Delitti e leggende metropolitane si susseguono a ritmo costante, per quanto addolciti da una vena umoristica e paradossale che ne disinnesca la carica sinistra. Prendiamo un esempio. Molti ricorderanno la storiella dei coccodrilli di New York che, liberati da un padrone incosciente, vivono e prolificano nelle fognature cittadine. Ebbene, qui sono «gli alligatori mutanti che nelle fogne diventano borsette Hermès». C’è poi la leggenda della Dama Nera, che aggirandosi al Parco Sempione, seduce i malcapitati per poi terrorizzarli la mattina dopo. Non è forse la metafora della notte milanese, secondo l’autore? «La Dama Nera, di notte era bellissima. Al mattino un mostro». Le citazioni si susseguono senza tregua, in un continuo gioco di rimandi. Da Shakespeare a Edgar Allan Poe, da Alberto Savinio a Enzo Jannacci, rivelano in chi scrive una tendenza onnivora alla lettura, cosa che non sembra contraddistinguere molti altri sedicenti scrittori italiani.
La lettura procede scorrevole, purché si sia disposti ad accettare il presupposto per cui il gusto della battuta può avere la meglio sulla linearità della frase. Per costruirsi uno stile chiaramente distinguibile, Pinketts punta il tutto per tutto: prendere o lasciare. Noi, personalmente, prendiamo.Le pagine che ci sono piaciute di più sono quelle dove l’inchiostro è intinto nella parodia. Per esempio nel racconto Il comunista che ballava i latini, dove il protagonista, tal Pedro, alla Festa dell’Umidità rinuncia a ogni fervore ideologico in favore del tango, che esegue con rara maestria. O là dove serpeggia una certa critica alla religione organizzata, con Gesù Cristo nella parte dell’io narrante (A.B.O.) o con un personaggio di nome Natale, perché nato in quel giorno, che tuttavia detesta il proprio nome, e più ancora il diminutivo di Natalino, e che non sopporta le relative festività, al punto da trovarsi a inscenare un «presepe morente».
L’indole irriverente dello scrittore milanese gli ha alienato le simpatie della critica militante e di una parte dell’intellighentia snob, che lo archivia come un battutaro. Magari avendolo letto poco o per nulla e senza dunque accorgersi della sua vena poetica, ancorché celata sotto una scorza di durezza e cinismo. È il caso di Lalalalala Lalalalalà, storia di un pittore «diversamente abile», soprattutto «agli occhi di chi crede che la perfezione consista nella normalità», di un critico d’arte claudicante e di un inquietante figuro in carrozzella. Altre volte l’atmosfera è quella dei fumetti o dei cartoni animati di largo consumo. Silvestro e Titti, Tex Willer, i Fantastici Quattro, in poche parole la cultura non istituzionale di chiunque sia nato negli anni Sessanta.
Per tornare infine alla parola scritta, l’autore ne dà una definizione calzante per sé stesso: «Le parole sono divinità pagane che fingono di assecondarvi per non perdere la fede e la fiducia che avete in loro».