Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 11 Mercoledì calendario

QUELLO SPOT CHE FA BENE


Hanno appena messo a segno un colpaccio: dopo l’ultima campagna di Pubblicità Progresso, 50 mila italiani in più sono diventati donatori di organi. Un risultato celebrato anche dal presidente Napolitano e dal ministro della Salute al Quirinale. Non succede spesso che uno spot abbia un risultato così chiaro. Eppure si era verificata la stessa cosa oltre 40 anni fa, quando Pubblicità Progresso nacque e lanciò il suo primo spot. Era il 1971 e, come ancora accade soprattutto in certi periodi, c’era una grave carenza di sangue negli ospedali. Improvvisamente, gli italiani, che erano cresciuti con Carosello e scenette rassicuranti di Calimero e mamme sorridenti, si trovarono di fronte a una scena cupa, nella quale un chirurgo dopo un intervento si toglieva la mascherina dal viso e si rivolgeva direttamente allo spettatore: «...questo bambino, 8 anni, vivrà, se ci sarà sangue abbastanza. Non c’è mai sangue abbastanza e sapete perché? Perché nessuno trova mai 5 minuti per donarlo...» Un pugno nello stomaco, che funzionò: nei mesi seguenti gli ospedali raccolsero il sangue di cui avevano bisogno. Era nata l’associazione Pubblicità Progresso, allora realizzata dall’associazione delle agenzie pubblicitarie e dagli editori: ognuno metteva qualcosa, i pubblicitari mettevano il lavoro e gli editori, compresa la tv che allora era solo la Rai, davano gli spazi gratis.
LA SVOLTA INFORMATICA
Da allora Pubblicità Progresso, che era un marchio, è diventata per molti un’espressione con la p minuscola, quasi un modo di pensare. In realtà nel ’99 fu Alberto Contri (ex pubblicitario, esperto e docente di comunicazione, ex membro del Cda Rai), ancora oggi presidente, che la trasformò in una Fondazione per raccogliere risorse e mettere in campo più iniziative. Proprio quell’anno ci fu un’altra campagna di svolta, la campagna per l’alfabetizzazione informatica: «Il nostro cacio lo vendiamo anche in Canada!» diceva il contadino che aveva appena scoperto le meraviglie di Internet. «Allora il ministero dell’Istruzione inserì l’informatica tra le materie scolastiche e nelle imprese spuntarono ovunque corsi di informatica. Ma soprattutto - racconta Contri orgoglioso - l’Ibm copiò il format e fece una pubblicità uguale».
La pubblicità progresso è entrata spesso nelle nostre vite: «Chi fuma avvelena anche te, digli di smettere» è uno slogan di tale successo che forse nessuno si ricorda più dove l’ha sentito la prima volta. Era il 1975 e fu l’inizio di una nuova sensibilità sociale e medica. L’altra campagna di cui Contri va orgoglioso è quella sui disabili del 2004, per la quale Lucio Dalla scrisse la canzone “Per sempre presente”. Le immagini dei disabili e quella frase finale ”se anche tu fossi come me capiresti il bello della vita”, erano commoventi e allegre al tempo stesso. «Arrivarono 10 mila richieste di genitori che volevano mandare i figli disabili presso l’associazione di recupero che appariva sullo schermo».
L’ULTIMA SFIDA
Ora Pubblicità Progresso affronta una delle sue iniziative più ambiziose: contro le discriminazioni verso le donne. «Oggi le campagne pubblicitarie sono più complicate - racconta Contri - non basta più fare uno spot e dare un’immagine ai giornali, bisogna seguirle tra le persone e nei social network. Abbiamo messo per strada dei manifesti di donne con una specie di fumetto incompleto, nel quale si diceva: “Dalle istituzioni vorrei...” Bè in pochi giorni quei fumetti sono stati riempiti con frasi di un maschilismo becero che non si può immaginare. Tanto per rispondere a chi dice che il problema non esiste». Questa rischia di essere la campagna più difficile di Pubblicità Progresso, anche perché, dagli anni 70, la sensibilità di chi dovrebbe fornire gli spazi sembra cambiata, in peggio: «Sono scandalizzato per esempio dal disinteresse della Rai», accusa Contri.La campagna però ha un proprio sito, sul quale si può trovare una gran quantità di materiale e filmati: “Punto su di te” è lo slogan rivolto alle donne. Ma si spera che lo guardino anche molti uomini.