Gian Micalessin, Il Giornale 11/6/2014, 11 giugno 2014
LA RISCOSSA DEGLI ISLAMISTI ORA AL QAIDA HA UNO STATO
Su Mosul sventola bandiera nera. Da ieri la seconda città irachena è nelle mani dei miliziani dello «Stato Islamico dell’Iraq e Siria» ovvero della variante di Al Qaida che già controlla Falluja, Ramadi e Samarra. Ma i successi dell’Isis vanno ben oltre il triangolo sunnita e il settentrione iracheno. La formazione guidata dal misterioso Abu Bakri al Baghdadi, oltre a far tremare il governo del premier Nouri Al Maliki e minacciare la stessa capitale irachena, da due anni combatte anche al di là della frontiera siriana. Là, oltre a governare la città di Raqqa, dove un anno fa sequestrò il prete italiano Paolo dell’Oglio, detta legge su vaste zone intorno ad Aleppo e Qamishli. Insomma mentre l’America di Obama, la Francia di Francois Hollande, l’Inghilterra di David Cameron e l’Europa di Angela Merkel sognavano di armare i ribelli, deporre Bashar Assad e sottrarre l’Ucraina al «malvagio» Putin, a cavallo tra e Iraq e Siria prendeva liberamente forma il primo bozzolo di Califfato Islamico. Un Califfato pronto a diventare l’incubo dei cristiani nord iracheni e il nuovo centro d’attrazione per migliaia di apprendisti terroristi islamici con passaporto europeo. Con Osama Bin Laden in vita Al Qaida non era mai arrivata a tanto, ma la scomparsa del padre fondatore di Al Qaida è l’unica giustificazione per le sonnacchiose distrazioni di un Occidente ansioso di rimuovere il ricordo dell’11 settembre e del terrore islamista. A questo panorama di desolante distrazione ben s’allinea un governo italiano indifferente e apatico di fronte alle mosse di quelle milizie al qaidiste che dopo aver preso il controllo dei confini meridionali della Libia, vera cornucopia del business dell’immigrazione, spingono decine di migliaia di disgraziati verso le nostre coste. Ma il caos libico, il tracollo iracheno e le gesta siriane dell’Isis sono solo alcuni degli scenari su cui si articola l’offensiva jihadista. E neppure i più inquietanti. Soprattutto se paragonati a quanto ribolle nel pentolone afghano pakistano. L’attacco all’aeroporto di Karachi rivendicato domenica dai talebani pakistani del Ttp (Tehreek-i-Taliban) e replicato ieri con un assalto all’Accademia Aeronautica, a poca distanza dalla stazione aeroportuale, sono solo la prima avvisaglia della tragedia che minaccia l’intero sub continente indiano. In Afghanistan, dove tutto è pronto per il ritiro delle truppe americane e dei contingenti Nato, l’Occidente si prepara ad abbandonare al proprio destino un esercito assai meno addestrato e armato di quello iracheno. Un esercito destinato a sciogliersi come neveal sole davanti alle milizie talebane pronte alla riconquista di Kabul. A quel punto un effetto domino capace di mandar a gambe all’aria anche il traballante stato pakistano sarebbe tutt’altro che improbabile. Le connivenze e le complicità dei servizi segreti deviati di Islamabad, che per decenni hanno garantito protezione a Bin Laden e offerto rifugio e armi ai combattenti di Al Qaida e del Mullah Omar, potrebbero favorire una massiccia tracimazione talebana sul territorio pakistano e trasformare i blitz terroristici in insurrezione generalizzata. A quel punto Al Qaida, oltre a controllare due nazioni e un territorio vasto una volta e mezza la Francia, potrebbe puntarealle oltre cento testate atomiche custodite negli arsenali nucleari di Islamabad. E trasformare veramente il ricordo dell’11 settembre in una bazzecola del passato.