Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 11 Mercoledì calendario

E SILVIO ANDÒ DA HILLARY: PERCHÉ PARLATE MALE DI ME?


DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK — «Perché dite cose simili sul mio conto? L’America non ha un amico migliore di me». In « Hard Choices » (scelte difficili), il libro di memorie pubblicato ieri negli Stati Uniti, Hillary Clinton racconta che uno dei momenti più imbarazzanti nei quattro anni in cui ha affiancato Barack Obama come segretario di Stato, fu quello di un confronto con Silvio Berlusconi, allora capo del governo italiano, infuriato per la pubblicazione da Wikileaks si alcuni cablogrammi dell’ambasciata Usa in Italia. Siamo nel 2010. In quei messaggi, che dovevano restare riservati, la figura del premier veniva ridicolizzata per le vicende personali, i comportamenti stravaganti, gli scandali finiti sui media. L’ex first lady racconta di un Berlusconi che non contesta i fatti ma si mostra offeso, si sente tradito: «Come fate a dire cose simili? Voi conoscete bene me e io conosco la vostra famiglia». Non c’è neanche tempo di chiedersi se la battuta vuole essere un richiamo alla fama di seduttore di Bill: Hillary racconta di un Silvio che la investe con un diluvio di parole. Racconta perfino, con toni accorati, del suo amore per gli Stati Uniti sbocciato fin da quando il padre lo portava, ancora bambino, a visitare i cimiteri di guerra americani e gli parlava di quei giovani morti per liberare l’Italia.
La Clinton commenta che nei «files» diplomatici non c’era nulla di strano, stante la pessima pubblicità di cui godeva il premier italiano. Ma aggiunge che Berlusconi era molto sensibile ai giudizi su di lui negli Usa e «questo mi creava grande imbarazzo. Eravamo ad Astana, in Kazakhstan, a un vertice Osce. Mi scusai ancora spiegando che quelle cose dovevano restare segrete. Non gli bastò. Mi chiese di andare con lui davanti alle telecamere a riaffermare la grande importanza delle relazioni tra Italia e Stati Uniti. Feci quello che chiedeva: pur con tutti i lati deboli della sua personalità, Berlusconi amava sinceramente l’America. E l’Italia era un alleato chiave nella Nato».
Un alleato che un anno dopo, ai tempi della crisi libica, minacciò di lasciare la coalizione che si accingeva ad attaccare il regime di Gheddafi, vietando agli alleati l’uso delle basi militari italiane. Il protagonista anche qui è Berlusconi, l’unico italiano del quale si parla nel libro della Clinton, infuriato per l’atteggiamento del presidente francese Sarkozy che aveva cominciato a bombardare la Libia prima del vertice di Parigi sull’attuazione della risoluzione Onu che autorizzava l’uso della forza contro Gheddafi. Hillary descrive un Berlusconi «caparbio e smanioso di protagonismo quanto Sarkozy che sprizzava indignazione da tutti i pori». Ma che, aggiunge, aveva le sue ragioni: col suo attacco unilaterale Sarkozy aveva fatto infuriare molti alleati. Alla fine il conflitto rientrò e l’operazione venne condotta con la sostanziale guida dei Paesi Nato, ma all’inizio Sarkozy voleva andare avanti da solo. Hillary spiega che Berlusconi vedeva in questo atteggiamento della Francia la violazione di una prassi in base alla quale in caso di intervento Onu la guida delle operazioni veniva affidata alle ex potenze coloniali: la Francia ha coordinato gli interventi in Mali. In Libia doveva toccare all’Italia, ma non fu così. Anche se poi la Clinton riconosce che le sette basi messe a disposizione dal nostro Paese furono essenziali.
Per il resto nelle 600 pagine del libro, Hillary racconta dei suoi innumerevoli viaggi in tutto il mondo e le foto pubblicate la ritraggono con molti leader: Mandela, Putin, San Suu-Kyi. Dell’Italia parla solo in un altro punto, in modo indiretto. Racconta della crisi finanziaria del 2008 e dei tentativi di spingere Angela Merkel a non seguire con troppa severità una politica di austerity che rischiava di costare cara ai Paesi europei più deboli e indebitati come l’Italia. Ma la cancelliera, per la quale la Clinton confessa la sua ammirazione, non mollò.