Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 10 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO EXPO E SE C’È SPAZIO ANCHE IL CASO VENEZIA


9 GIUGNO 2014
Milano, 9 giu. (Adnkronos) - "Seguire la vicenda della Maltauro da vicino e con flessibilità, senza preconcetti formalistici, se no si fanno danni maggiori". Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, commenta così, a margine dell’assemblea degli industriali lombardi, la permanenza della Maltauro tra gli assegnatari degli appalti su Expo.
"Se arriviamo un mese dopo la scadenza è una tragedia nazionale", aggiunge Rocca riferendosi alla realizzazione dell’area che ospiterà l’esposizione universale, e lancia l’allarme sullo stato dei lavori: "Oggi - conclude Rocca - credo che siamo vicino allo stallo, a quella velocità in cui l’aereo non può più volare e cade".

VISITA ALL’EXPO
Un milione di metri quadrati, 1.000 operai, 250 mezzi che varcano ogni giorno i cancelli, 160 fra imprese, subappaltatori e fornitori già presenti sull’area. Siamo entrati nel cantiere di Expo a Rho-Pero, alle porte di Milano, dopo la bufera giudiziaria che ha rischiato di travolgere l’Esposizione del 2015, per capire a che punto siano davvero i lavori. In attesa del decreto del governo che dovrebbe permettere alla società di gestione di velocizzare ancora di più il percorso, si tenta di recuperare i ritardi. Perché quando mancano 11 mesi all’apertura dei cancelli sarà necessario correre, per farsi trovare pronti all’appuntamento con il 2015. La piastra, per esempio, l’appalto più importante che servirà a costruire tutta l’ossatura di base del sito espositivo, ha da poco superato il 50 per cento. Secondo le previsioni iniziali doveva essere pronta a luglio di quest’anno: si arriverà a marzo 2015. E poi i padiglioni che realizzeranno i singoli Paesi espositori: le squadre straniere stanno entrando nell’area trasformandola in 60 cantieri nel cantiere. In questo momento sono partiti gli scavi di otto spazi e si attende a breve il via ad altre sette. A spiegare l’avanzamento delle varie opere in costruzione è Alessandro Molaioni, responsabile lavori di Expo spa (Alessia Gallione)


REPUBBLICA.IT
MILANO - Dopo l’allarme del presidente di Assolombarda, Gianfelice Rocca, sul rischio stallo dei lavori ai cantieri di Expo 2015, il governatore lombardo Roberto Maroni rilancia pesantemente: "Rischiamo di andare oltre il 30 aprile 2015 senza aver completato le opere. Il governo si dia una mossa, altrimenti Expo è bloccata. I lavori sono bloccati e francamente non trovo un motivo". La data citata dal governatore è quella del giorno precedente l’inaugurazione ufficiale dell’Esposizione universale di Milano: il 1° maggio dell’anno prossimo.
Condividi
Un’ipotesi che solo un giorno fa il leader dei industriali milanesi aveva detto che sarebbe "una tragedia nazionale". Pur dicendosi ancora convinto che la manifestazione potrà essere "un successo, nonostante tutto anche se molti spargono pessimismo", ma anche ribadendo la sua contrarietà a revocare gli appalti alle imprese, come la Maltauro, che sono state coinvolte nell’inchiesta della Procura di Milano sugli appalti truccati di Expo.
L’uscita di Maroni arriva mentre il governo sta ancora lavorando al decreto annunciato da giorni, che dovrebbe essere approvato venerdì prossimo, per concedere maggiori poteri a Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità anticorruzione voluto dal premier Matteo Renzi come numero uno della task force per accelerare le procedure in vista di Expo. La reazione del governo non si fa attendere. Il ministro Maurizio Lupi (Infrastrutture) dice a Repubblica.it: "Sono assolutamente d’accordo sul fatto che entro questo venerdì bisogna dare i poteri a Cantone. E li daremo". Sulla stessa linea il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. E secondo il ministro degli Interni, Angelino Alfano, "non possiamo fare la brutta figura di consegnare una vetrina sporca o non fare proprio la vetrina. Non possiamo essere il Paese che realizza il grandioso risultato di consegnare opere incompiute o connotate dalla corruzione".
Il nuovo affondo di Maroni è stato durissimo. "Stendo un velo pietoso sull’operato del governo", ha spiegato il governatore, che ha comunque detto di attendere ancora "fiducioso" il provvedimento. Aggiungendo però un avvertimento che ha il sapore di un ultimatum: "Andando avanti così, se passano questa settimana e la prossima, il rischio è di non fare in tempo con i lavori. Lo dico non avendo la responsabilità diretta perché è del commissario di governo Giuseppe Sala, ma lo dico con preoccupazione perché ho le informazioni, come tutti, e i tempi sono questi".
A proposito dell’inchiesta, invece, i pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio hanno formulato parere negativo alle istanze di scarcerazione presentate al gip dalle difese di Angelo Paris, l’ex manager di Expo, e dell’imprenditore vicentino Enrico Maltauro, arrestati più di un mese fa: ci sono ancora aspetti da chiarire e alcune loro risposte non hanno convinti. Il gip Fabio Antezza dovrebbe pronunciarsi a breve sulle istanze.

Da “Il Messaggero.it”
MATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSE MATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSE
Per l’Expo 2015 «rischiamo di andare oltre il 30 aprile (del 2015, giorno prima dell’apertura dell’evento, ndr) senza avere completato le opere»: lo ha detto il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, interpellato dei cronisti a margine della seduta del Consiglio regionale. Maroni ha detto di attendere «fiducioso» il decreto del governo su Expo, annunciato per il prossimo venerdì ma ha aggiunto che «andando avanti così se passano questa settimana e la prossima» il rischio è di non fare in tempo con i lavori.
ACCORDO EXPO GIUSEPPE SALA ENRICO LETTA ROBERTO MARONI GIULIANO PISAPIA ACCORDO EXPO GIUSEPPE SALA ENRICO LETTA ROBERTO MARONI GIULIANO PISAPIA
«Lo dico - ha continuato il governatore - non avendo la responsabilità diretta perchè è del commissario di governo, ma lo dico con preoccupazione perchè io ho le informazioni, come tutti, e i tempi sono questi». Maroni ha concluso invitando «il governo a darsi una mossa, altrimenti siamo qui bloccati, Expo è bloccata, i lavori sono bloccati e francamente non trovo un motivo».

SHANGHAI - Continua il viaggio di Matteo Renzi in Asia. Dopo il Vietnam, dove il premier ha visitato gli stabilimenti della Piaggio e della Ariston, ora è il turno della Cina. A Shanghai ha visitato il padiglione italiano dell’ultima Expo del 2010, rimasto aperto al pubblico, ha incontrato la comunità d’affari italiani della capitale economica cinese e ha assistito alla presentazione del terzo padiglione cinese all’esposizione del 2015. Domani volerà a Pechino per incontrare i vertici del governo cinese.

ll presidente del Consiglio prosegue nella sua opera di promozione del made in Italy in Oriente. E delinea gli obiettivi dell’Expo 2015 in programma a Milano: "L’Expo deve essere l’occasione per l’Italia per raccontare se stessa. L’Italia è più grande delle cose negative che vengono dette. Dobbiamo usare l’Expo per scrivere una pagina nuova del racconto del made in Italy" afferma Renzi a Shanghai. Il premier lancia la sfida per l’export italiano: "Ci sfidiamo a fare di più. Noi non siamo qui per riportare a casa le aziende, ma siamo qui per portare più Italia all’estero". Riferendosi poi al valore dell’export italiano in Cina, ancora troppo basso, il presidente del Consiglio ha ammesso: "E’ segno che qualcosa che non va da parte nostra".

In precedenza Renzi aveva concluso la tappa in Vietnam del suo tour asiatico visitando gli stabilimenti di due gruppi italiani che sono stati "pionieri" nel Paese, quelli della Piaggio e della Ariston Thermo, mentre nella capitale vietnamita Hanoi il presidente del Consiglio e la sua delegazione hanno avuto un incontro di due ore con gli imprenditori italiani a ’Casa Italia’, in cui hanno discusso delle opportunità e delle sfide per investire in Vietnam. Allo stabilimento Piaggio di Vinh Phuc il premier è stato accolto dal presidente del gruppo Roberto Colaninno, che si è detto "orgoglioso" per la visita del premier, un riconoscimento "ai manager e ai tecnici che dal 2008 a oggi hanno realizzato il progetto Piaggio Vietnam" e a tutti coloro che hanno lavorato alla diffusione della Vespa. Nello stabilimento asiatico, il terzo del gruppo per dimensioni con 850 dipendenti, sono stati prodotti 410mila veicoli. Renzi, primo capo di governo italiano a recarsi in Vietnam dall’allacciamento delle relazioni diplomatiche nel 1973, ha poi visitato il nuovo stabilimento della Ariston Thermo aperto ad aprile nella provincia di Bac Ninh, dove è stato accolto dal presidente onorario, Francesco Merloni, e dall’ad Leonardo Senni. L’impianto del gruppo anconetano leader nel riscaldamento di acqua e ambienti copre un’area di 50.000 metri quadrati e dà lavoro a 300 persone.

VIETTI SU EXPO
ROMA - "Sono passate molte settimane dall’inchiesta Expo, se il governo vuole fare un provvedimento eccezionale, lo faccia, ma no annunci cui non seguono fatti". A chiedere che l’esecutivo non si limiti a proclami è il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, a margine di un convegno sulla mafia a Palazzo dei Marescialli. Poco prima, intervenendo Radio Anch’io, il vicepresidente ha ribadito la stima in Cantone, ma ha messo in guardia contro l’llusione che a poter combattere la corruzione possa essere "un uomo solo", perché "serve un sistema anticorruzione".
Parola d’ordine: prevenzione. "La corruzione - ha aggiunto - è un sistema: per contrastarla occorre il ripristino della moralità, controlli preventivi, e la parte sulla prevenzione della legge Severino". Per Vietti nella lotta alla corruzione bisogna puntare soprattutto alla prevenzione. "La magistratura interviene a valle, quando i buoi sono scappati. Bisogna ripristinare un sistema in cui le barriere anti-corruzione operino prima che i guai si verifichino".
Norme più semplici. Insomma "prima delle manette vengono il senso civico e l’etica pubblica e va ricostruito un apparato di controlli amministrativi e procedurali a monte", osserva il vice presidente, che fa notare come invece si sia andati in senso opposto, sbagliando, con l’abolizione dei segretari comunali e dei Coreco. Ma serve anche "un sistema normativo più elastico: bisogna evitare regole farraginose e eccessive e poi, volta per volta, ricorrere a deroghe in nome dell’ eccezionalità dell’evento", ha aggiunto Vietti.
Tangentopoli alle spalle. "Tangentopoli ce la siamo lasciati definitivamente alle spalle", dice Vietti, respingendo il paragone tra gli ultimi casi di corruzione e la stagione di Mani Pulite. All’epoca c’era - ha spiegato in mattinata nel corso di "Radio anchio" - "un sistema con relazioni organiche tra partiti e mondo imprenditoriale. Oggi, invece, abbiamo fenomeni meno organici, in alcuni casi riconducibili a singole individualità; e anche dove sembra esserci un collegamento con i partiti,si tratta di casi estemporanei".

VIAGGIO DENTRO EXPO
Un milione di metri quadrati, 1.000 operai, 250 mezzi che varcano ogni giorno i cancelli, 160 fra imprese, subappaltatori e fornitori già presenti sull’area. Siamo entrati nel cantiere di Expo a Rho-Pero, alle porte di Milano, dopo la bufera giudiziaria che ha rischiato di travolgere l’Esposizione del 2015, per capire a che punto siano davvero i lavori. In attesa del decreto del governo che dovrebbe permettere alla società di gestione di velocizzare ancora di più il percorso, si tenta di recuperare i ritardi. Perché quando mancano 11 mesi all’apertura dei cancelli sarà necessario correre, per farsi trovare pronti all’appuntamento con il 2015. La piastra, per esempio, l’appalto più importante che servirà a costruire tutta l’ossatura di base del sito espositivo, ha da poco superato il 50 per cento. Secondo le previsioni iniziali doveva essere pronta a luglio di quest’anno: si arriverà a marzo 2015. E poi i padiglioni che realizzeranno i singoli Paesi espositori: le squadre straniere stanno entrando nell’area trasformandola in 60 cantieri nel cantiere. In questo momento sono partiti gli scavi di otto spazi e si attende a breve il via ad altre sette. A spiegare l’avanzamento delle varie opere in costruzione è Alessandro Molaioni, responsabile lavori di Expo spa (Alessia Gallione)


Fabio Tonacci e Francesco Viviano per “la Repubblica”
VENEZIA .
«Letta è l’assicurazione sulla vita!», esclama Piergiorgio Baita davanti ai magistrati. Sono le 16.30 del 17 settembre scorso, e l’ex amministratore delegato della Mantovani, il testimone chiave su cui si regge tutta l’inchiesta sulle tangenti del Mose, ha appena riempito un altro verbale, il quinto consecutivo, con accuse pesantissime contro l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro di Silvio Berlusconi, Gianni Letta. Richieste di favori, appalti agli amici, ore di telefonate con Mazzacurati, pure l’ombra dei soldi.
I verbali, in forma
integrale, fanno parte di quella montagna di carte, 16 faldoni e 110mila pagine, che racchiude tutta l’indagine veneziana. Letta al momento non è indagato ma sarà sentito presto dai pubblici ministeri in qualità di testimone informato dei fatti. Ha tanto da spiegare. A cominciare dal perché gli uomini del Consorzio Venezia Nuova lo considerassero, tutti, «l’assicurazione sulla vita» e «il direttore del traffico».
I DUBBI SUI SOLDI
Che Gianni Letta e il presidente Giovanni Mazzacurati siano molto vicini ormai lo sanno anche i sassi. Rapporto curato «con grande gelosia», specifica Baita, «io non potevo nemmeno avvicinarmi al sottosegretario». Ma di che pasta è fatto, tale rapporto? L’ex amministratore della Mantovani, che dopo essere stato arrestato nel febbraio 2013 ha cominciato a collaborare, alla domanda se siano mai state versate somme di denaro direttamente a Letta, risponde così: «Non ne ho conoscenza, ma in ambito consortile è sempre circolata la voce tra i soci che l’incarico di progettista unico affidato a Techintal, società del Gruppo Mazzi, che era assolutamente fuori mercato, servisse a questo scopo».
Bisogna capire chi è l’ingegner Alessandro Mazzi, in carcere da sei giorni, per seguire il mosaico che sta ricostruendo Baita davanti ai pm, e il suo corollario di addebiti gravi sulla presunta condotta di uno degli uomini chiave dell’ex governo Berlusconi. Mazzi è il titolare della Grandi Lavori Fincost ed è entrato nella torta del Mose, con una quota del 30 per cento, attraverso la Mazzi Scarl, di cui la Technital è una controllata. Ma soprattutto l’uomo vanta, grazie alla famiglia, una «amicizia personale» con Letta. C’è però qualcosa che non va, osserva Baita, in quel subappalto: «Technital nella vita
del Consorzio ha avuto incarichi per oltre 120 milioni di euro in progettazioni, addirittura a tariffa maggiore della tariffa piena… come consorziati ci rimettevamo dei soldi». E lei non si è andato mai a lamentare con Mazzacurati?, lo interroga il pm Stefano Ancillotto, che con i colleghi Stefano Buccini e Paola Tonini, conduce l’inchiesta. «Sì, mi ha detto di non rompere, che va bene così».
LE RICHIESTE DI GIANNI
Letta, per Mazzacurati, è il «direttore del traffico». Una sorta di Virgilio tra i dicasteri romani. Accompagna, indirizza, segnala interlocutori. È il caso di Marco Milanese, individuato quale gancio per arrivare a Tremonti e chiedergli di autorizzare lo sblocco dei 400 milioni del Cipe, di cui Baita ne ha spiegato così l’importanza vitale: «Per alimentare il Consorzio, spese proprie, ci vogliono 72 milioni di euro all’anno, se il Cipe sta fermo un giro è un guaio». Insomma, l’ex sottosegretario di Berlusconi offre all’amico le chiavi per
aprire le porte giuste nei ministeri che contano, l’Economia e le Infrastrutture. Tra i due intercorrono centinaia di telefonate, raccolte dai finanzieri del Nucleo tributario di Venezia, ma non utilizzabili ai fini del procedimento perché riguardanti un parlamentare.
Il contenuto, però, lo lascia intendere Baita, che con la sua Mantovani, colosso delle costruzioni, è entrato nell’affare del Mose nel 2003, sostituendo l’Impregilo: «Dal dottor Letta abbiamo avuto altre richieste, ma non di versamenti diretti di soldi. Lo so perché è stato domandato a
me di farvi fronte. La prima, modesta, di dare un subappalto a una certa impresa di Roma, la Cerami. Gli abbiamo dato a Treporti un subappalto praticamente senza ribasso, in perdita per noi. La seconda, di farci carico dell’esborso…». La seconda pretesa che Letta ha – secondo quanto sostiene Baita – apre tutta un’altra storia.
“FATE LAVORARE LUNARDI”
L’esborso, dicevamo. A vantaggio di chi lo chiede, Gianni Letta? «Mi pare fosse inizialmente di un milione, successivamente di 500 mila euro – dice -
che era la somma che la Corte dei Conti aveva chiesto all’ex ministro Lunardi per l’Anas». Baita ricorda un fatto reale. Pietro Lunardi, nel novembre 2006, in qualità di ministro delle Infrastrutture è stato condannato dal tribunale contabile a risarcire personalmente 2,7 milioni, “responsabilità amministrativa”, per la rimozione dell’allora presidente dell’Anas senza una delibera del Consiglio.«Praticamente – prosegue Baita – noi abbiamo dato a Lunardì 500mila euro non chiedendogli (all’azienda Rocksoil di cui Lunardi è proprietario, ndr) il ribasso sulla
tariffa su una progettazione per la prosecuzione dell’A27 Pian di Vedoia-Caralte di Cadore».
Il magistrato vuole vederci chiaro, chiede lumi sul passaggio dello sconto. «La progettazione – spiega Baita – è soggetta a tariffe professionali, ma non esistono, salvo il caso Technital che le ho detto prima, incarichi dati senza chiedere uno sconto. Quello che avremmo potuto chiedere (alla Rocksoil, ndr) sarebbe stato 500-600 mila euro». Sconto che non ci fu, per fare un favore a Lunardi su richiesta di Letta. E il pagamento, a tariffa piena, fu effettuato subito.
I CONTI DI INCALZA E IAFOLLA
Gianni Letta, è bene ribadirlo, allo stato dei fatti non è indagato. Ma i pm vogliono approfondire qual è stato il suo ruolo in alcuni passaggi critici per la vita del Consorzio Venezia Nuova, quale ad esempio quello dello sblocco dei fondi Cipe. Ha spinto anche lui per ottenere il via libera dal ministero delle Infrastrutture? Si sa che Mazzacurati ha avuto, anche attraverso Marco Milanese, dei contatti con chi poteva far pendere il piatto della bilancia dalla loro parte, e cioè Ettore Incalza, il capo della struttura tecnica del ministero allora guidato da Altero Matteoli, e Claudio Iafolla, che di Matteoli era il capo di gabinetto. Entrambi non sono indagati, saranno però sentiti più avanti dai pm veneti, i quali chiederanno l’autorizzazione per avere i flussi bancari di tutti gli alti funzionari del dicastero delle Infrastrutture. Segnale che anche questa storia è tutt’altro che chiusa.

2. GIANNI LETTA ANNUNCIA QUERELE E DÀ MANDATO A LEGALE
(ANSA) - L’ex sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta ha dato incarico al professor Franco Coppi di "procedere in via legale a tutela della sua reputazione in ordine alle notizie oggi diffuse dalla stampa e ai relativi commenti". Lo rende noto il penalista in relazione a quanto comparso oggi su alcuni quotidiani sull’indagine per gli appalti del Mose.
In una nota Coppi afferma che "quanto insinuato circa richieste o ricezioni di denaro da parte del dottor Letta, per sé o per altri, è assolutamente infondato e sarebbe stato sufficiente considerare in proposito le dichiarazioni rese dal presunto elargitore, signor Mazzacurati, che, anche con riferimento alla vicenda Lunardi, ha escluso in termini inequivocabili di aver ricevuto richieste di danaro da parte del dottor Letta o di aver fatto elargizioni in suo favore o per suo conto".

3. G.LETTA, IO SEMPRE CORRETTO E TRASPARENTE - IN MIO RUOLO ISTITUZIONALE SEGUITO TANTE VICENDE,OVVIE CITAZIONI

(ANSA) - "Non è la prima volta che il mio nome viene evocato o citato in una delle tante inchieste che riempiono le cronache di questi mesi. Ed è ovvio che lo sia, perché negli anni di Governo, mi sono occupato di tante vicende, certo di tutte le più importanti, ma solo per dovere di ufficio e per le responsabilità connesse alla funzione ed al ruolo. Ma l’ho sempre fatto con spirito rigorosamente istituzionale, nella più assoluta correttezza e trasparenza, senza mai venir meno ai principi di onestà, di lealtà e di responsabilità, nel pieno rispetto della legge e dell’ordinamento". Lo afferma Gianni Letta in riferimento a quanto pubblicato da organi di stampa sulle indagini per la vicenda Mose.

Corrado Zunino per “la Repubblica”

Il Galan che ha sempre pianto miseria per comprare il villone di Cinto Euganeo ha chiesto un mutuo con una rata pari al doppio di quella che poteva restituire. Come faceva, e faccia, a onorarlo, è tutto da spiegare. Innanzitutto, alla Procura di Venezia. L’ex governatore “tre mandati” sui soldi non finisce di stupire. Il nucleo tributario della Finanza ha acceso un faro e le intercettazioni sull’uomo quando si è accorto che in dieci anni (dal 2001 al 2011) aveva guadagnato un milione e 413 mila euro e ne aveva spesi 2 milioni e 695 mila. Quel milione e tre non giustificato era, come hanno scritto i tre sostituti procuratori pronti a chiedere l’arresto, una «sproporzione evidente».

villa rodella villa rodella

Sicuramente, Galan per riempire il gap tra l’avere e il dare ha evaso il fisco e, secondo l’accusa, ha poi preso tangenti in denaro dal Consorzio Venezia Nuova per 4 milioni e 831 mila euro. I finanzieri, su mandato della procura, stanno ricostruendo tutti i conti — italiani ed esteri — dell’ex presidente della Regione Veneto.

In questo mare di contraddizioni reddituali, colpisce il contratto ipotecario che Giancarlo Galan e la moglie Sandra Persegato hanno stipulato con Veneto Banca, la stessa che ha concesso un finanziamento di 7,6 milioni a Denis Verdini, coordinatore Pdl. Come da dichiarazione presentata alla Camera nel 2013, il forzista Galan ha certificato un reddito nell’anno precedente di 41.340 euro lordi (29.700 netti), tra i più bassi in Parlamento.

GIANCARLO GALAN E MOGLIE GIANCARLO GALAN E MOGLIE

La moglie Sandra guadagnava il doppio: 88.553 euro lordi, che netti sono 58.516

GIANCARLO GALAN E MOGLIE GIANCARLO GALAN E MOGLIE

euro. Insieme i coniugi — sposati dal 2009 — avevano quindi una disponibilità annuale di 88.216 euro. Bene, il mutuo per la casa è stato stipulato per un milione e 850 mila euro, cifra elevata e da restituire in tempi brevi: otto anni e due mesi, al tasso del 4,21 per cento. Galan ha scelto rate semestrali per sette anni pari a 75 mila euro. Ogni stagione intera la famiglia deve versare 150 mila euro, contro una disponibilità di 88 mila. Da dove li prendono i 62 mila euro mancanti? E sul mutuo imponente c’è anche una rata finale unica da 725 mila euro, roba da dover stipulare un altro contratto solo per pagarla.

la guardia di finanza ispeziona la sezione fallimentare del tribunale civile la guardia di finanza ispeziona la sezione fallimentare del tribunale civile

Nel gennaio 2012, ex governatore, Galan dichiarava: «Sono senza stipendio da tre mesi, per fortuna qualcosina avevo da parte e mia moglie guadagna. Ho due mutui, li paga lei. Sto pensando di vendere la barca. Spero che si facciano le elezioni in questo paese, voglio tornare a fare il politico».
GUARDIA DI FINANZA GUARDIA DI FINANZA
In verità, come si legge nella dichiarazione alla Camera fatta per la XVII legislatura, l’ultima («sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero», si deve controfirmare), il mutuo Galan era co-intestato a moglie e marito, le barche possedute erano due non una, aveva comproprietà e nuda proprietà in quattro case, possedeva un bosco, tre auto, un quad, un trattore. Ancora l’altro giorno la moglie inveiva, nel parco della villa di Cinto Euganeo: «Vengano a vedere i conti invece di tirare fango addosso a mio marito». I finanzieri li stanno guardando, uno per uno.

STELLA SU CANTONE
«Raffaele stai sereno», continua a rassicurarlo Matteo Renzi. Ma Raffaele Cantone ha buone ragioni per essere preoccupato. Molto preoccupato. I giorni passano. Inesorabili. Ne sono trascorsi già trentatré, dalla retata che vide l’arresto di Frigerio, Greganti, Maltauro e degli altri figuri coinvolti nell’inchiesta sull’Expo 2015.



E già trenta dalla scelta del premier di spedire a Milano il giudice campano (già messo a marzo alla testa dell’Autorità anti corruzione da anni abbandonata al ruolo di guscio vuoto) perché ficchi il naso nei cantieri e nelle imprese dell’Esposizione, dove l’angoscia per i ritardi e il tempo che scorre velocissimo s’impasta col timore delle tangenti, dei lavori fatti male, dell’esplosione dei costi.



RAFFAELE CANTONE - Copyright Pizzi RAFFAELE CANTONE - Copyright Pizzi
Sono tanti, 30 giorni. Bastarono ai californiani per riparare l’arcata del Bay Bridge, il ponte che unisce San Francisco a Oakland, crollata per il terremoto del 1989. Non sono bastati a un capo del governo che va di fretta per definire quali poteri avrà quello che dovrebbe essere il suo plenipotenziario sul fronte anti mazzetta.
Lo stesso Cantone, intendiamoci, spiega a tutti che se c’è uno di cui si fida è Renzi. Ma la ragnatela di quello che Charles Dickens chiamava il «Ministero delle Circonlocuzioni» dedito a «immischiarsi di tutto» perché nulla si muova, si è andata via via tessendo fino ad avvolgere con morbide tenaglie ogni svolta riformatrice. Ma chi è, il ragno? Meglio: quanti sono, dove sono, che volto hanno i ragni che con sottile e pignola pazienza sembrano voler infiacchire gli sforzi contro i corrotti?
È questo che Cantone non capisce. Questo che lo intimorisce. Fino al punto di fargli confidare agli amici di avere quasi più paura di questi oscuri tessitori che dei camorristi. Dei Casalesi, dopo anni di sfida frontale, sa tutto. Sa come ragionano, come si muovono, come puntano i nemici. Dei ragni annidati negli interstizi della cattiva politica, della cattiva amministrazione, della cattiva burocrazia, non sa niente. O quasi niente. Ed è difficile combattere un nemico invisibile. Anche se si sa di avere il consenso di tantissime persone perbene.
Per questo lo slittamento, sia pure di pochi giorni, delle regole più dure sulla corruzione e della definizione dei poteri del «supervisore» sull’Expo («urgentissime» ma evidentemente non troppo), non è un bel segnale. Perché mostra incertezze, divisioni e ambiguità sulle competenze che la dicono lunga su come manchi, in questa trincea, il cemento che fa vincere le guerre: la compattezza.
Vale per l’Expo, vale per tutte le grandi opere, vale per il Mose. È stupefacente il silenzio con cui si dà per scontato che il Consorzio Venezia Nuova, benedetto da tre decenni di deroghe e di proroghe e di mancati controlli, debba finire ormai il lavoro iniziato a dispetto del coinvolgimento in un vorticoso sistema di tangenti. Non c’è padrone di casa al mondo che, accortosi che l’idraulico ha fatto il furbo, ha speso una tombola in bustarelle e non ha ancora finito il lavoro, gli confermi la fiducia e gli dia altri soldi.
Non ce n’è uno che non cercherebbe subito altri professionisti, con una gara internazionale e non casereccia, per capire se, come, dove, quanto si è sbagliato. E come eventualmente si possa rimediare. Venezia viene prima degli interessi di un cartello di potentati che, si è visto, purtroppo, non meritava tanta fiducia


ORSONI INCAZZATO (REPUBBLICA.IT)
E poi siamo arrivati al casino organizzato. «Manca solo Alì Babà», «La vostra trasparenza è come l’acqua dell’Oselin», che sarebbe un fiume molto inquinato di Mestre. Erano una quindicina, armati di manifesti e cartelli dai quali risultava una certa fantasia negli slogan e altrettanta aggressività. I soliti noti veneziani, motoscafisti abusivi, reduci dalle breve stagione dei Forconi, scissionisti della Lega Nord, presenze abituali delle proteste contro i campi rom.
Le loro telegeniche urla hanno coperto il vuoto pneumatico e l’indifferenza che gravava sul primo consiglio comunale veneziano dopo l’arresto del sindaco Giorgio Orsoni. «Mai vista così poca gente» diceva sconsolato Beppe Caccia dei Verdi, prima di scambiarsi qualche manata con i contestatori. «Voi dove eravate quando abbiamo fatto le battaglie contro il Mose? Dove eravate quando c’era il vostro Galan?». I solerti vigili urbani hanno evitato scontri ancora più ravvicinati.
L’episodio vale soltanto come indicatore dell’attuale precarietà del governo cittadino, con sindaco ai domiciliari e conseguente paralisi istituzionale, poca responsabilità nei fatti di questi giorni a causa dei suoi scarsi poteri, ma pur sempre un simbolo sul quale lanciare strali e rancori assortiti, tanto più oggi che risulta debole come non mai. A Ca’ Farsetti, storica sede della giunta cittadina, va in scena la rappresentazione posticcia di una indignazione che non c’è nei fatti. Le partite che contano, quelle vere, si giocano altrove.
Giorgio Orsoni è entrato in procura alle undici del mattino, per uscirne solo tre ore dopo, proprio quando stava per cominciare la finta rissa nel suo ormai ex consiglio comunale. La versione più accreditata di questo suo nuovo interrogatorio parla di un incontro di natura quasi «istituzionale», con l’inoltro della richiesta di «poter gestire la misura con gli impegni d’ufficio», ovvero il permesso di poter incontrare vicesindaco e assessori per mandare avanti almeno l’ordinaria amministrazione della città. Ma c’è dell’altro.
L’ormai ex sindaco considera chiusa la sua esperienza politica. Quel che gli interessa è soltanto un rapido ritorno alla rispettabilità, camminare a testa alta per poter ricominciare il suo lavoro di amministrativista. Orsoni è furioso con il Pd veneziano, non solo perché a suo parere non gli avrebbe concesso neppure il beneficio del dubbio.
All’origine delle sue disgrazie, un finanziamento illecito da 450 mila euro, ci potrebbe essere qualcuno che sa ma non dice. L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati racconta di otto diversi incontri mirati a determinate l’importo e le modalità di versamento di un contributo alla sua campagna elettorale.
L’imprenditore sostiene di aver consegnato i soldi «in nero» a Ferdinando Sutto, ex socialista, nei fatti il suo ufficiale pagatore, che gli avrebbe dati a un’altra imprecisata persona incaricata di girarli al futuro sindaco, il quale sostiene di non averli mai ricevuti.
Ammesso e non concesso che Orsoni e Sutto dicano entrambi la verità, l’unica alternativa possibile è quella di un emissario infedele. Il problema, secondo la sua difesa, non è quel che ha ricevuto lui, ma qualcun altro a suo nome. Ieri in consiglio comunale si scommetteva su un pesante intervento pubblico di Orsoni nei confronti del Pd, se e quando tornerà a piede libero.
Gli umori sono questi, tendenti alla cupezza, in un clima di sospetti e paure. Difficile che il sereno venga dalle prime, parziali ammissioni di indagati o arrestati, in una inchiesta che sembra più si configura a cerchi concentrici.
Ieri Patrizio Cuccioletta, ex presidente del Magistrato alle Acque, accusato di aver incassato dal Consorzio uno stipendio annuale da quattrocentomila euro e vacanze pagate in cambio di limitati controlli sull’attività del concessionario unico del Mose, ha riconosciuto di aver ricevuto «qualcosa».
Ma ha aggiunto di averle sempre considerato quegli omaggi come «piccole regalie» che mai avrebbero interferito con il suo lavoro. Giancarlo Galan ha invece fatto sapere di essere pronto a rilasciare dichiarazioni spontanee davanti ai giudici. L’appuntamento potrebbe essere per giovedì.
Ieri il consiglio comunale ha votato un ordine del giorno nel quale si chiede al governo una Commissione d’inchiesta sulle attività del Consorzio Venezia Nuova, il suo scioglimento, il superamento del regime di concessione unica e l’abolizione della figura del Magistrato alle Acque. Ripartire da zero. Forse è l’unico modo per ritrovare l’onore perduto di una città.