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 2014  giugno 07 Sabato calendario

LA GINECOLOGA ENTRA IN CARCERE

"Un paio di orecchini in plastica gialla, grandi e a clip, di un vistoso gusto anni Ottanta. Uscendo dalla cella adibita a studio medico, una giovane marocchina se li sfilava posandoli fra le mani di un’altra donna, che li indossava rapidamente sistemandosi i lunghi capelli biondi prima di entrare per la visita.
Adele osservava dalla sua scrivania, e la scena le è rimasta negli occhi come improvvisa rivelazione del senso del suo ingresso in questo mondo parallelo scandito da sbarre e da destini spezzati: «Per le detenute, la visita ginecologica del sabato si era trasformata in un appuntamento speciale, al quale presentarsi in ordine, curate, con vezzi femminili che stavano dimenticando».
Pontedecimo è un edificio chiaro consumato dal tempo, a una quindicina di chilometri a nord dal centro di Genova. Un corridoio interminabile sospeso nel vuoto conduce al blocco delle celle. I panni lavati penzolano alle finestre.
In questa casa circondariale che contiene 159 detenuti, fra cui 77 donne in gran parte non italiane, Adele Teodoro è arrivata per caso nel 2011.
Ginecologa napoletana trapiantata a Milano, seppure innamorata della sua professione e della sua bimba di nove anni, Gaia, da tempo avvertiva un vuoto al quale non riusciva ad attribuire un nome: «Volevo dare di più, fare qualcosa di utile per puro volontariato, ma non sapevo in che modo».
L’idea si accende quando incontra l’allora direttrice di Pontedecimo, Maria Milano d’Aragona, che la invita a visitare il carcere. E insieme s’inventano un progetto pilota di prevenzione sanitaria unico in Italia: un ciclo di visite ginecologiche alle detenute, con screening, pap-test, ecografia transvaginale e diagnosi precoce.
Adele acquista a rate, di tasca sua, un apparecchio ecografico portatile, e due sabati al mese va a Pontedecimo. Perché se per i detenuti c’è la possibilità di curarsi, manca del tutto la prevenzione, che pure concederebbe alla sanità penitenziaria un risparmio di risorse pubbliche: un altro tassello mancante del nostro sistema carcerario che nel 2013 è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani “per trattamento inumano e degradante” dei reclusi, con multe che potrebbero costarci centinaia di milioni. «la prevenzione serve, poiché la popolazione carceraria è a rischio sanitario» spiega la dottoressa.
«Io ho incontrato ex prostitute, tossicodipendenti... Durante le primissime visite, ho diagnosticato ben tre tumori alla cervice dell’utero, che sono stati asportati con interventi in day hospital. E poi vaginiti, cisti ovariche ed endometriosiche: disturbi facilmente curabili se scoperti in uno stadio pre-clinico ma che, se trascurati, possono diventare emergenze ginecologiche».
Per esercitare in carcere da volontaria, Adele Teodoro fonda un’associazione e la chiama Gravidanza Gaia: un omaggio alla sua professione e, insieme, alla sua bambina. Intanto le detenute di Genova si passano parola, le nuove entrate chiedono subito di essere visitate dalla “dottoressa di Milano” e a poco a poco ci si accorge che il valore del progetto va oltre la visita ginecologica nella stanzetta al secondo piano.
«È un percorso di conoscenza e cura di sé» osserva Maria Milano d’Aragona, che oggi è Provveditore alle carceri della Regione Liguria. «Il carcere è mortificazione del corpo e ancora di più per le donne, che rappresentano una percentuale minima dei detenuti italiani (2.524 su 59.683 al 30 aprile scorso, ndr) e dunque si ritrovano dentro un sistema pensato al maschile. Le donne non instaurano dinamiche di cameratismo: hanno bisogno della propria privacy, dei loro oggetti, e dietro le sbarre tutto questo è negato. Ma abbiamo constatato che l’appuntamento del sabato giova a loro e alla vita del carcere: le detenute si sono sentite prese in cura, ascoltate, e questo ha smussato le tensioni e le ha distratte dai soliti discorsi ossessivi da cella su processi e reati. E poi era importante, per me, presentare loro un modello in carne e ossa di donna colta, professionista e impegnata nel sociale, distante dai loro cliché di femminilità legata a sfruttamento e violenza”.
Oggi che, insieme a Io donna, Adele è tornata a Pontedecimo per incontrare le nuove detenute e invitarle alla visita, la riabbracciano alcune già conosciute e ascoltate. Sono quelle con le pene più lunghe: una splendida ragazza egiziana che ha ucciso il compagno per gelosia; un’italiana dagli occhi azzurri e tristi che ha provocato una lesione spinale al figlio neonato, scuotendolo per farlo smettere di piangere, mentre il marito minacciava di uccidere lei e il piccolo.
«Non chiedo mai dei reati» precisa la dottoressa «sono loro a volersi aprire con me, per essere accolte completamente. In tutte ho incontrato la sofferenza di aver lasciato fuori i propri figli e ho pensato che, forse, una madre che commette un delitto ha visto un baratro davanti a sé. Forse se qualcuno l’avesse aiutata...».
Per il suo impegno in carcere, Adele Teodoro ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica, e ora si prepara a portare il suo progetto anche nel carcere milanese di San Vittore.
«È una buona pratica potenzialmente esportabile ovunque» chiarisce. «Bastano un direttore e una Asl disponibili, altre ginecologhe desiderose di dedicare un po’ di tempo al volontariato, e dei benefattori che ci aiutino ad acquistare i necessari apparecchi ecografici».
L’entusiasmo delle detenute, di certo, non mancherà. E forse, quando usciranno, avranno in corpo meno rabbia.