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 2014  giugno 10 Martedì calendario

IL TEMPO SCANDITO DA INIESTA UN DESTRO DA ILLUSIONISTA PORTÒ LA SPAGNA NELLA STORIA

[Un gol, un Mondiale 2010] –

Esiste una generazione di bambini saliti in cima al mondo come sui tubi di ferro di un parco giochi, calciatori capaci di arrampicarsi fin lassù cominciando dalla scuola elementare. Sono tutti spagnoli, e quasi tutti del Barcellona. Andrés Iniesta aveva, come gli altri, i lucciconi quando diventò un orfano bianco: ti prendono alla famiglia (pagando), ti portano in collegio, ti seguono a scuola e col pallone ti insegnano un solo schema, che poi è anche un’idea sociale, un’identità, un modo di essere, e tutto questo si chiama Barcellona. Piangeva Andrés, piangevano la mamma e il papà, poi smisero tutti insieme.
Dopo i maestri olandesi degli anni Settanta, nessuna squadra ha inciso la storia del calcio più del Barcellona di Guardiola: Iniesta, insieme a Xavi, suo gemello di centrocampo, è stato il motore della rivoluzione. Il metronomo, la sua modernità. Esclusi i fantasisti che riempiono occhi e reti, Iniesta è stato probabilmente il miglior giocatore del mondo per molti anni. Ed è stato lui a prendersi quel mondo per consegnarlo alla Spagna, accadde l’11 luglio 2010 a Johannesburg: spagnoli contro olandesi, quasi un Bignami di storia, gol di Iniesta al minuto 116. Partita brutta e durissima, epilogo equo, riassunto dei 17 titoli sportivi che Don Andrés ha vinto con il Barcellona nella sua carriera memorabile ma sottovoce, esempio di geometria e stile, classe e compostezza.
Nel famoso e ormai appassito “tiqui taca”, Iniesta è stato l’ingrediente principale. E che il modello non sia del tutto superato lo dimostra l’estrema suggestione di Prandelli, che con Pirlo e Verratti sta tentando di riprodurre un tiqui taca azzurro d’emergenza. Iniesta è il prototipo del centrocampista moderno: può ricoprire più ruoli, è dinamico, tecnico, intelligentissimo, non disdegna il gol e distribuisce palloni preziosi a tutti. «Un calciatore perfetto», come lo definì sir Alex Ferguson. In quella storica finale, Iniesta ribaltò la sorte con un’azione viziata da un suo fuorigioco iniziale sul lancio di Torres. L’inglese Webb non se ne avvide, anche perché Iniesta tornò in posizione regolare sull’assist di Fabregas. Quando arriva la palla, Don Andrés l’illusionista la controlla col destro sollevandola appena, poi la lascia rimbalzare sull’erba e infine la calcia di destro, con potenza e precisione. Sa, o forse sente, che l’azione è sporca, teme la bandierina del guardalinee, si volta dopo il tiro per sapere se è tutto a posto: gol convalidato.
La vittoria della Spagna per merito del suo “cerebro” si colloca tra i due analoghi trionfi all’Europeo, nel 2008 (contro la Germania) e nel 2012 (contro l’Italia), triangolo perfetto, mai realizzato. Tre grandissime imprese per ribadire la supremazia di un modello educativo calcistico e di un gruppo: il formidabile scheletro del Barcellona, padrone di molte Champions, irrobustito da qualche altro fenomeno esterno (Casillas, Xabi, Torres, Sergio Ramos, Silva). La sapienza di Del Bosque diede sintesi alla meraviglia.
Resta da capire cosa rimanga di quel progetto: lo spiegherà proprio il mondiale brasiliano, dopo che la Champions ha preferito Madrid a Barcellona. Ma è sempre Spagna. E dentro la Spagna, ancora oggi nessuno è più moderno e più eterno di Andrés Iniesta, illusionista e mai illusione.

Maurizio Crosetti, la Repubblica 10/6/2014