Fabio Tonacci e Francesco Viviano, la Repubblica 10/6/2014, 10 giugno 2014
MOSE, NELLE CARTE SPUNTA GIANNI LETTA
ROMA.
Nelle carte dell’inchiesta sul Mose spunta anche il nome di Gianni Letta. E, mentre il Consiglio di Stato nomina una commissione d’indagine sulle decisioni sospettate, nella prima assemblea municipale di Venezia senza il sindaco Orsoni, ai domiciliari, scoppia la bagarre.
Rissa in consiglio comunale a Venezia
VENEZIA.
«Letta è l’assicurazione sulla vita!», esclama Piergiorgio Baita davanti ai magistrati. Sono le 16.30 del 17 settembre scorso, e l’ex amministratore delegato della Mantovani, il testimone chiave su cui si regge tutta l’inchiesta sulle tangenti del Mose, ha appena riempito un altro verbale, il quinto consecutivo, con accuse pesantissime contro l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro di Silvio Berlusconi, Gianni Letta. Richieste di favori, appalti agli amici, ore di telefonate con Mazzacurati, pure l’ombra dei soldi. I verbali, in forma integrale, fanno parte di quella montagna di carte, 16 faldoni e 110mila pagine, che racchiude tutta l’indagine veneziana. Letta al momento non è indagato ma sarà sentito presto dai pubblici ministeri in qualità di testimone informato dei fatti. Ha tanto da spiegare. A cominciare dal perché gli uomini del Consorzio Venezia Nuova lo considerassero, tutti, «l’assicurazione sulla vita» e «il direttore del traffico».
I DUBBI SUI SOLDI
Che Gianni Letta e il presidente Giovanni Mazzacurati siano molto vicini ormai lo sanno anche i sassi. Rapporto curato «con grande gelosia», specifica Baita, «io non potevo nemmeno avvicinarmi al sottosegretario». Ma di che pasta è fatto, tale rapporto? L’ex amministratore della Mantovani, che dopo essere stato arrestato nel febbraio 2013 ha cominciato a collaborare, alla domanda se siano mai state versate somme di denaro direttamente a Letta, risponde così: «Non ne ho conoscenza, ma in ambito consortile è sempre circolata la voce tra i soci che l’incarico di progettista unico affidato a Techintal, società del Gruppo Mazzi, che era assolutamente fuori mercato, servisse a questo scopo».
Bisogna capire chi è l’ingegner Alessandro Mazzi, in carcere da sei giorni, per seguire il mosaico che sta ricostruendo Baita davanti ai pm, e il suo corollario di addebiti gravi sulla presunta condotta di uno degli uomini chiave dell’ex governo Berlusconi. Mazzi è il titolare della Grandi Lavori Fincost ed è entrato nella torta del Mose, con una quota del 30 per cento, attraverso la Mazzi Scarl, di cui la Technital è una controllata. Ma soprattutto l’uomo vanta, grazie alla famiglia, una «amicizia personale» con Letta. C’è però qualcosa che non va, osserva Baita, in quel subappalto: «Technital nella vita del Consorzio ha avuto incarichi per oltre 120 milioni di euro in progettazioni, addirittura a tariffa maggiore della tariffa piena… come consorziati ci rimettevamo dei soldi». E lei non si è andato mai a lamentare con Mazzacurati?, lo interroga il pm Stefano Ancillotto, che con i colleghi Stefano Buccini e Paola Tonini, conduce l’inchiesta. «Sì, mi ha detto di non rompere, che va bene così».
LE RICHIESTE DI GIANNI
Letta, per Mazzacurati, è il «direttore del traffico». Una sorta di Virgilio tra i dicasteri romani. Accompagna, indirizza, segnala interlocutori. È il caso di Marco Milanese, individuato quale gancio per arrivare a Tremonti e chiedergli di autorizzare lo sblocco dei 400 milioni del Cipe, di cui Baita ne ha spiegato così l’importanza vitale: «Per alimentare il Consorzio, spese proprie, ci vogliono 72 milioni di euro all’anno, se il Cipe sta fermo un giro è un guaio». Insomma, l’ex sottosegretario di Berlusconi offre all’amico le chiavi per aprire le porte giuste nei ministeri che contano, l’Economia e le Infrastrutture. Tra i due intercorrono centinaia di telefonate, raccolte dai finanzieri del Nucleo tributario di Venezia, ma non utilizzabili ai fini del procedimento perché riguardanti un parlamentare.
Il contenuto, però, lo lascia intendere Baita, che con la sua Mantovani, colosso delle costruzioni, è entrato nell’affare del Mose nel 2003, sostituendo l’Impregilo: «Dal dottor Letta abbiamo avuto altre richieste, ma non di versamenti diretti di soldi. Lo so perché è stato domandato a me di farvi fronte. La prima, modesta, di dare un subappalto a una certa impresa di Roma, la Cerami. Gli abbiamo dato a Treporti un subappalto praticamente senza ribasso, in perdita per noi. La seconda, di farci carico dell’esborso…». La seconda pretesa che Letta ha – secondo quanto sostiene Baita – apre tutta un’altra storia.
“FATE LAVORARE LUNARDI”
L’esborso, dicevamo. A vantaggio di chi lo chiede, Gianni Letta? «Mi pare fosse inizialmente di un milione, successivamente di 500 mila euro – dice – che era la somma che la Corte dei Conti aveva chiesto all’ex ministro Lunardi per l’Anas». Baita ricorda un fatto reale. Pietro Lunardi, nel novembre 2006, in qualità di ministro delle Infrastrutture è stato condannato dal tribunale contabile a risarcire personalmente 2,7 milioni, “responsabilità amministrativa”, per la rimozione dell’allora presidente dell’Anas senza una delibera del Consiglio.«Praticamente – prosegue Baita – noi abbiamo dato a Lunardì 500mila euro non chiedendogli (all’azienda Rocksoil di cui Lunardi è proprietario, ndr) il ribasso sulla tariffa su una progettazione per la prosecuzione dell’A27 Pian di Vedoia-Caralte di Cadore».
Il magistrato vuole vederci chiaro, chiede lumi sul passaggio dello sconto. «La progettazione – spiega Baita – è soggetta a tariffe professionali, ma non esistono, salvo il caso Technital che le ho detto prima, incarichi dati senza chiedere uno sconto. Quello che avremmo potuto chiedere (alla Rocksoil, ndr) sarebbe stato 500-600 mila euro». Sconto che non ci fu, per fare un favore a Lunardi su richiesta di Letta. E il pagamento, a tariffa piena, fu effettuato subito.
I CONTI DI INCALZA E IAFOLLA
Gianni Letta, è bene ribadirlo, allo stato dei fatti non è indagato. Ma i pm vogliono approfondire qual è stato il suo ruolo in alcuni passaggi critici per la vita del Consorzio Venezia Nuova, quale ad esempio quello dello sblocco dei fondi Cipe. Ha spinto anche lui per ottenere il via libera dal ministero delle Infrastrutture? Si sa che Mazzacurati ha avuto, anche attraverso Marco Milanese, dei contatti con chi poteva far pendere il piatto della bilancia dalla loro parte, e cioè Ettore Incalza, il capo della struttura tecnica del ministero allora guidato da Altero Matteoli, e Claudio Iafolla, che di Matteoli era il capo di gabinetto. Entrambi non sono indagati, saranno però sentiti più avanti dai pm veneti, i quali chiederanno l’autorizzazione per avere i flussi bancari di tutti gli alti funzionari del dicastero delle Infrastrutture. Segnale che anche questa storia è tutt’altro che chiusa.
Fabio Tonacci e Francesco Viviano, la Repubblica 10/6/2014