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 2014  giugno 10 Martedì calendario

MAZZETTE IN ALGERIA, SAIPEM RISCHIA LA CLASS ACTION


Mentre le recenti cronache italiane, dall’Expo di Milano al Mose di Venezia, raccontano storie di mazzette, negli Stati Uniti qualcuno ha pensato bene di tornare al periodo tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013. Quando cioè a guadagnarsi le prime pagine dei giornali dell’ormai ex Belpaese era stato il gruppo di servizi petroliferi Saipem, controllato dall’Eni al 43%, per l’indagine della Procura di Milano, tuttora in corso, su una presunta tangente da quasi 200 milioni di euro pagata ad alcuni politici algerini per ottenere una commessa da 11 miliardi di dollari.
A ripercorrere la vicenda è lo studio legale con base in Florida Drrt, che proprio in questi giorni, con l’aiuto della società finanziaria americana State Street, ha inviato ad alcuni investitori istituzionali italiani un ampio fascicolo su Saipem. L’obiettivo - con tutti i vincoli che in materia la legge italiana presenta a differenza degli Stati Uniti - è dare vita a una “class action”, cioè un’azione legale a tutela di un gruppo di persone che si ritengono danneggiate, che parta proprio dalle vicende algerine.
L’inchiesta della Procura milanese, che aveva travolto l’ex amministratore delegato di Saipem, Pietro Franco Tali, a fine 2012 sostituito dall’attuale numero uno Umberto Vergine, vede tra gli indagati anche l’ex ad della controllante Eni, Paolo Scaroni, appena sostituito da Claudio Descalzi. I pm, scrive Drrt nei documenti preparati per gli investitori, sospettano che in Algeria Saipem “abbia pagato tangenti almeno dal 2007 e fino al 2010 così da assicurarsi una serie di contratti attraverso una società con base a Hong Kong chiamata Pearl Partners Limited e creata apposta per fare transitare le mazzette e ottenere commesse a elevati margini di profitto”. Lo studio legale americano ricorda che “una prima ammissione” degli effetti legati al terremoto algerino è stata fatta alla fine di gennaio 2013, quando Saipem ha lanciato il tanto temuto dal mercato “allarme sugli utili”, ossia una riduzione dei profitti attesi, che puntualmente ha innescato un crollo dell’azione di oltre il 30% in una sola seduta di Borsa. Lo scorso giugno, poi, il gruppo guidato da Vergine ha ulteriormente ridimensionato i guadagni stimati per il 2013, assestando un altro duro colpo all’azione, che alla fine dello scorso dicembre valeva 15,5 euro (ieri s’aggirava sui 20 euro, di nuovo vicina ai massimi annui di 20,8 risalenti all’inizio di giugno del 2013).
La class action cui Drrt sta lavorando in Italia muove dalla considerazione che, nel periodo in cui i vertici della Saipem si sono resi colpevoli degli ipotetici reati di corruzione in Algeria, i prezzi dell’azione sarebbero stati “gonfiati” perché “il mercato valutava che tutti i profitti presenti e futuri generati dai contratti fossero legali e sostenibili”, cosa quantomeno messa in dubbio dall’indagine in corso. Se gli investitori fossero stati a conoscenza dei presunti metodi illegali (cosa che non può che avvenire nel regno della fantasia), gli affari di Saipem in Algeria sarebbero stati considerati “rischiosi” e i relativi guadagni “non sostenibili né affidabili”.
Drrt ha ingaggiato uno studio legale milanese, Craca Di Carlo Guffanti Pisapia Tatozzi, che la affiancherà nella class action. Gli investitori istituzionali che intendono aderire hanno tempo fino a oggi, perché l’idea è quella di mettere in moto la procedura già all’inizio di luglio. Se così fosse, la vecchia vicenda algerina potrebbe portare a Saipem nuovi grattacapi.

Margherita Barbero, Il Fatto Quotidiano 10/6/2014