l’Unità 6/6/2014, 6 giugno 2014
TAV, STADI, STRADE: I CANTIERI INFINITI PREDA DEI PESCECANI
I soldi ci sono ma non li spendono. I soldi ci sono ma se li rubano. I soldi ci sono anche molti ma le opere no, per motivi vari. E il Paese occidentale che avrebbe maggiore bisogno di infrastrutture (l’Italia) e che è ultimo per investimenti pubblici (sempre l’Italia), resta al palo. Ma solo il paese: intorno a queste opere c’è chi invece accumula, cresce, vive. All’origine c’è la divisione fra spesa corrente e quella in conto capitale: anche in tempi di crisi, bisognerebbe salvaguardare la seconda, che rappresenta una grande leva economica. È più facile bloccare un investimento che intervenire pesantemente nella macchina corrente dello Stato. I dati: nonostante una rincorsa a rivendicare i tagli agli sprechi, a essere falciati dal 2009 al 2013 sono gli investimenti, tagliati del 34%, mentre la spesa corrente primaria è cresciuta dell’l,7%. Il governo Renzi ha deciso di invertire questa tendenza (incidendo sulla spesa corrente e rilanciando lo sblocca-Italia), ma la base di partenza è questa: dieci anni di arretramento sull’asse della crescita: dal 2004 al 2013 i dati Eurostat raccontano che la Francia ha speso in investimenti 606,9 miliardi, la Germania 383, il Regno Unito 367,9, la Spagna 336,1, l’Italia 335,2. Nel 2004 l’Italia era seconda dietro la Francia, adesso è ultima.
Come riportato dal Sole 24ore, fra i problemi non c’è solo la corruzione o la miseria. È un sistema di patologie varie, dove la burocrazia fa la sua parte, costringendo i protagonisti a lottare, più che a fare: «Centoventi modifiche al codice degli appalti negli ultimi tre anni senza un disegno organico, sistemi di deroghe per dare certezza ai tempi di opere – che secondo l’Ance – impiegano mediamente più di dieci anni per arrivare al traguardo. Varianti in corso d’opera che s– econdo l’Autorità di vigilanza sugli appalti – portano a costi aggiuntivi dell’ordine del 27% su appalti integrati e general contractor».
La spesa per investimenti pubblici ormai marginalizzata – «scesa dal 3,1% del Pil del 1991 al 2,4% del 2001 all’l,7% di oggi destinato a calare fino all’l,4% del 2017» – mentre il sistema delle opere pubbliche spreca soldi senza produrre risultati visibili per i cittadini che vedono il mondo degli appalti come qualcosa di separato e autoreferenziale. Il caso dell’Alta velocità fra Torino e Lione rientra fra quelli in cui questa distanza fra progetto e popolazione è più marcata. Intanto, va precisato che Oltralpe sono allo stesso punto: anche se la volontà politica è più condivisa, il tunnel (dalla parte francese è il triplo più lungo) non è ancora cominciato. E come succede nel versante italiano con il cantiere di Chiomonte, esistono «discenderie» più che vere gallerie. I costi a carico dell’Italia, per la parte di collegamento fino a Torino, secondo il dossier presentato all’Unione Europea nel 2010, per il nuovo e per ora definitivo progetto, sono di 35 miliardi di euro. Le spese della Roma-Firenze sono cresciute di 6,8 volte rispetto ai preventivi, quelle della Firenze-Bologna di 4 volte, quelle per la Milano-Torino di 5,6 volte. Dati ufficiali sui quali la stessa magistratura sta cercando risposte: la proporzione applicata alla Torino-Lione porterebbe i costi a livello insostenibile per qualsiasi Stato. E su questi soldi ci sono gli appetiti criminali. L’Unione Europea non lo può dire ufficialmente, ma lo lascia capire quando c’informa dei costi «al chilometro» del Tav: in Italia, le varie tratte (Napoli-Roma, Firenze Bologna, Milano-Torino...e ramificazioni varie) sono costate circa 62 milioni di euro al chilometro. Un costo senza senso, contro gli appena 10,2 milioni di euro al chilometro della Parigi-Lione, i 9,8 milioni di euro della Madrid-Siviglia e i 9,3 milioni di euro della Tokyo-Osaka. La conclusione non è univoca, ma si può azzardare: i costi sono maggiori perché servono troppi anni a concluderle, e perché c’è il pizzo per il malaffare.
Un pezzo di questa mega-infrastruttura che ha permesso di viaggiare più velocemente e in sicurezza su tutta la dorsale (con fermata a Napoli, sotto è il caos...) è fermo da 18 mesi: è il passante di Firenze, la galleria sotterranea che deve liberare la città dal traffico Tav. Tutto sequestrato dalla magistratura, compreso la trivellatrice: le accuse sono quelle simili, in questi casi: associazione a delinquere, truffa, corruzione e smaltimento abusivo dei rifiuti.
In questi anni, ogni grande evento ha pagato il conto. I mondiali di nuoto di Roma 2009, spolpati dalla cricca, con l’infrastruttura più importante, lo stadio del nuoto di Calatrava, tutt’ora incompiuta e abbandonata a Tor Vergata, dopo essere costato 260 milioni di euro (pubblici). E il G8 organizzato a L’Aquila, sull’onda emotiva del terremoto, ma inizialmente previsto sull’isola della Maddalena: quattrocento milioni di euro di denaro pubblico impiegati per 27mila metri quadrati di edifici, 90mila metri di aree a terra e 110mila di mare. Per niente. E ogni anno, la Regione Sardegna paga 500mila euro di Imu per strutture architettoniche di avanguardia in cui, in 4 anni e mezzo, non ha messo piede anima viva.
Davanti a questi sprechi, la reazione è la paralisi, è l’eccesso burocratico che complica i lavori. E quando partono, è la corsa all’ultimo bottino. In Italia sono 372 le opere pubbliche già progettate e mai cominciate. La parte maggiore è quella che concerne la messa in sicurezza del territorio, dove i fondi sono diminuiti del 70% in questi ultimi 5 anni, e quando i soldi ci sono (2,1 miliardi stanziati) sono fermi, e con essi oltre mille cantieri già previsti, e mai avviati. Per la mancanza di certezza sull’erogazione di questi soldi e per la difficoltà a fare riferimento a un’unica cabina di regia, quella che invece Renzi vuole fortemente introdurre, e che risponda direttamente a Palazzo Chigi.
Chissà se avremo prima questo punto di riferimento per questa materia così decisiva per il presente e il futuro di un Paese, o i nastri da tagliare per una delle decine e decine di infrastrutture viarie cominciate e lasciate a galleggiare nel mare magnum dove sguazzano i pescecani. Come fra Salerno e Reggio Calabria, i 450 chilometri inaugurati 50 anni fa, e non ancora terminati.