Davide Maria De Luca, Il Post 10/6/2014, 10 giugno 2014
DOVE VA AUTOGRILL?
L’Autogrill di Villoresi est spunta di colpo, appena passato un bosco di pioppi. Arrivando da Milano sulla A8 rischi anche di mancarlo. Mille metri prima hai pagato il pedaggio, due minuti ed ecco il cartello con il segnale di uscita. Finiscono i pioppi e ti trovi davanti questa cosa alta trenta metri a metà tra un vulcano d’acciaio e un gigantesco decanter per il vino. Si capisce in fretta che non è un Autogrill come gli altri. Villoresi est è costato 15 milioni di euro e ha 150 dipendenti, come un’azienda di medie dimensioni. Ha ottenuto ogni tipo di certificazione per l’impatto ambientale, l’ecosostenibilità, l’accesso ai disabili. Nel terreno sotto l’edificio sono inseriti dei pali speciali che d’estate disperdono il calore e d’inverno lo trattengono. Con questo sistema, spiegano, i consumi per la climatizzazione dell’Autogrill sono diminuiti del 45 per cento. Nel locale i rifiuti biologici vengono accumulati e consegnati a un vicino orto biologico del WWF per la concimazione.
Ma non c’è bisogno di fermarsi all’ingresso ad osservare le targhe che celebrano questi risultati per avere l’impressione di un locale diverso dal solito Autogrill (affollato, troppo caldo o troppo freddo, con gli stretti corridoi tra gli scaffali). L’interno è spazioso e quando entriamo non si nota che ci sono già dentro circa trecento persone: l’edificio è un grande open-space. È stata eliminata la “serpentina”: il percorso ad ostacoli che in quasi tutti gli Autogrill del paese ti costringe ad attraversare una specie di piccolo mercatino di prodotti locali e altre cianfrusaglie prima di raggiungere l’uscita (e magari volevi solo andare in bagno).
Come spiega il direttore, Francesco Di Marsico, l’idea è “fornire al cliente un’esperienza piacevole, tagliata su misura delle sue esigenze”. Questo significa che nel bancone delle bibite, accanto alla Coca-Cola, ci sono bottigliette di esotici succhi di frutta americani che costano cinque euro l’uno. Accanto a Spizzico, dove puoi mangiarti una fetta di pizza per un paio di euro, c’è un ristorante con piatti di salumi e mozzarelle locali da tredici euro. Il caffè puoi prenderlo al bancone, oppure al Caffè Motta, dove i divani sono di pelle e sui tavoli ci sono iPad connessi a Internet.
Villoresi est è il nuovo vanto di Autogrill, la novità da mostrare ai giornalisti e di cui essere orgogliosi, ma non è un modello di business facile da replicare. Secondo Di Marsico, i conti stanno andando bene e il rientro dall’investimento iniziale dovrebbe avvenire entro dieci anni invece che entro i quindici previsti all’inizio. È un periodo molto lungo e Autogrill può permettersi di aspettare perché Villoresi è un’eccezione. Il terreno su cui sorge è di proprietà della società, mentre in quasi tutti gli altri casi gli Autogrill sono edifici in concessione, che ci si aggiudica con una gara. Quando la concessione scade, a volte dopo soli cinque o sei anni, bisogna fare un’altra gara. Quindi, se spendi 15 milioni di euro, rischi che ancora prima di essere rientrato dell’investimento l’edificio finisca nelle mani del tuo concorrente.
Nonostante questo, la scelta di Autogrill negli ultimi tempi è puntare sugli investimenti nei singoli Autogrill in luoghi strategici, sulla qualità e sulla diversificazione dell’offerta. L’ultimo accordo concluso è della fine di maggio. Autogrill aprirà in Emilia, a circa 150 chilometri da Milano, un punto di ristoro in collaborazione con Eataly, la catena alimentare di alta qualità fondata dall’imprenditore Oscar Farinetti. L’idea alla base di questo accordo è la stessa che ha portato alla costruzione di Villoresi est, cercare di coniugare due cose che non sembrano destinate a stare insieme: fare le cose in fretta e farle bene (“raro avviene”, dice il proverbio). Nella ristorazione stradale non si possono aspettare venti minuti per un piatto (e nemmeno dieci a dirla tutta). Ma lo stesso, in un mercato che è molto cambiato negli ultimi anni, Autogrill vuole provare a offrire qualcosa di diverso anche a una clientela disposta a spendere di più per avere un cibo e un servizio di qualità maggiore.
Non è un obiettivo facile, ma è chiaro da tempo che qualcosa nel settore della ristorazione autostradale vada cambiato. Il 2013 è stato il quarto anno di fila in cui i conti della parte italiana di Autogrill hanno registrato un calo. Non è una cosa che ha sorpreso molto gli esperti: il business della ristorazione stradale è legato in maniera diretta all’andamento dell’economia. In un periodo di crisi una delle prime cose su cui si riflette il calo del PIL è la mobilità: la gente si sposta di meno e quindi si ferma anche meno in Autogrill. Nelle ultime interviste che ha dato, Gianmario Tondato, l’amministratore delegato della società Autogrill, ha lasciato intendere che per migliorare i conti dell’azienda Autogrill potrebbe decidere di diminuire il numero di punti vendita in Italia (una strategia che ha già cominciato a seguire, come vedremo più avanti).
Certo, a guardare un grafico delle azioni in borsa di Autogrill tutta questa crisi non si vede. Da un record negativo toccato nell’estate del 2009, quando valevano 2,5 euro, oggi valgono quasi il triplo, circa 7 euro. Ma il motivo è molto semplice: l’Italia non è più così importante per il gruppo. Autogrill fa il 70 per cento del suo fatturato all’estero, dove gli affari sono continuati ad andare molto bene negli ultimi anni. Per questa sua capacità di ottenere buoni risultati anche all’estero, il Financial Times ha definito Autogrill una multinazionale atipica nel panorama “provinciale” dell’Italia. Autogrill opera in oltre 30 paesi e, secondo i suoi amministratori, nei prossimi anni crescerà soprattutto in Cina, India, Turchia, America Latina e Vietnam.
Cos’è Autogrill
Villoresi est può essere un’esperienza diversa dal solito, ma con gli Autogrill in genere gli italiani hanno tutti la stessa grandissima familiarità. Eppure, si tratta di una società di cui si conosce poco e si parla ancora meno. Oggi è la più grande società al mondo nella distribuzione di cibo per trasporto a terra (cioè in stazioni, strade, e aeroporti). Fino allo scorso autunno era anche una delle società più grandi del mondo nel settore dei duty free aeroportuali. Lo scorso ottobre la parte duty free è stata separata da Autogrill anche se le due società continuano ad appartenere allo stesso gruppo: la holding Edizioni, che appartiene alla famiglia Benetton. Prima che i due rami venissero separati, Autogrill era la diciottesima società italiana per fatturato, cioè più grande di Pirelli, di Fininvest, di Parmalat e di Trenitalia (qui l’ultima classifica fatta da Mediobanca). Oggi, con circa 4 miliardi di fatturato, ha perso qualche posizione, ma è ancora una delle più grandi aziende italiane, con 5 mila punti vendita in tutto il mondo e 55 mila dipendenti.
La sua storia è fatta di molti risultati – è uno degli esempi di privatizzazioni di successo – ma anche qualche ombra (come le accuse di aver sfruttato un monopolio) e ha accompagnato tutta la storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, diventando da subito uno dei simboli più noti di un paese che è cambiato moltissimo. La società Autogrill come la conosciamo oggi nacque nel 1947, l’anno in cui De Gasperi formava il primo governo che escludeva i comunisti, in cui l’Assemblea Costituente finiva di scrivere la Costituzione e in cui lo scrittore Primo Levi pubblicò il suo romanzo “Se questo è un uomo”. Quell’anno, sull’autostrada Milano-Novara, terminata nel 1932, otto metri appena di larghezza, apriva la «stazione di ristoro del biscottificio Pavesi», cioè un «locale bar con grande nicchia per camino tipo paesano». Era il primo Autogrill della storia.
Il suo fondatore era un tipico imprenditore dell’Italia del dopoguerra, nonché l’inventore di un altro marchio che ha segnato la storia dell’imprenditoria italia: i biscotti Pavesini. Si chiamava Mario Pavesi ed era il figlio di una famiglia di fornai di Novara. Nato nel 1909, cominciò a lavorare consegnando biscotti e pane in bicicletta. Nel 1937, a 28 anni, aveva aperto a Novara un forno che in pochi anni era diventato una delle principali fabbriche dolciarie del paese. Fu lui ad inventare nel 1945 i biscotti Pavesini (che insieme alla Pavesi ora sono di Barilla). Dopo la guerra Pavesi viaggiò negli Stati Uniti, anche se non parlava una parola di inglese. Rimase impressionato dai “grill room”, i piccoli ristoranti che servivano carne alla griglia ai lati delle grandi interstatali americane. Quando tornò in Italia decise di creare qualcosa di simile e che in più potesse anche funzionare come vetrina per mettere in mostra i prodotti della sua azienda. Sul suo primo locale c’era una grande insegna con scritto “Pavesi”, ma il nome che indicava il nuovo tipo di ristorante autostradale era un altro, una fusione di “automobile” e “grill room”: Autogrill.
Investire nella ristorazione stradale era una scelta azzardata da fare nel ’47, quando in Italia non solo c’erano poche automobili, ma persino poca benzina per andarci in giro. Ma con il boom economico di qualche anno dopo, la scelta si rivelò giusta. In pochi anni, mentre le grandi autostrade cominciavano a diffondersi e a partecipare e sostenere quel periodo di grande sviluppo, di pari passo crescevano i punti vendita con le insegne Pavesi. Dagli Stati Uniti Pavesi ne aveva preso il nome, ma anche altro: una visione futuristica e un po’ ingenua tipica degli anni Cinquanta – che in qualche misura, è rimasta ancora oggi. Già dall’esterno gli Autogrill Pavesi sembravano usciti da un film di fantascienza. Erano costruiti in vetro, cemento e acciaio, con profili attorcigliati, innovativi, che rimasero a lungo tracce di un’estetica a volte affascinante e a volte anacronistica. A Lainate, per esempio, sulla Milano-Laghi, accanto all’Autogrill, vennero innalzate tre enormi arcate di acciaio alte cinquanta metri, che avevano uno scopo puramente decorativo e si vedevano da chilometri di distanza. Molti di quelli che assistettero alla costruzione pensarono che si trattasse di una rampa per lanciare missili (Villoresi est è costruito proprio davanti ai tre archi di Lainate e con il vecchio Autogrill condivide oggi un design piuttosto originale, conservando quell’approccio). Il “futurismo” proseguiva anche all’interno dei locali. Dal menù era esclusa la pasta e qualunque altro alimento pesante che avrebbe potuto rallentare il “dinamismo dell’automobilista”.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, e nel ’57 in particolare, quando venne trasmessa la prima puntata di Carosello, aprirono i primi supermercati, e venne messa in commercio la Cinquecento, l’Autogrill era oramai «lo specchio di un paese che stava crescendo e diventando moderno», come ha raccontato Simone Colafranceschi, che insegna storia contemporanea all’università di Roma Tre ed è autore di “Autogrill, una storia italiana“. All’epoca viaggiare in auto era ancora un privilegio per i più benestanti e gli Autogrill ne tenevano conto. Nel 1959 venne inaugurato a Fiorenzuola d’Arda il primo Autogrill a ponte d’Europa. Il locale aveva una “cocktail lounge”, commesse vestite di blu e nell’edicola giornali internazionali come Le Monde e The Observer (all’inaugurazione partecipò l’allora sottosegretario agli Interni Oscar Luigi Scalfaro, qui c’è il filmato dell’Istituto Luce dell’epoca). Nel frattempo si erano affermati anche diversi concorrenti degli Autogrill Pavesi. C’erano i punti ristoro Alemagna, un’impresa dolciaria come la Pavesi che era stata convinta dal presidente dell’Agip Enrico Mattei ad entrare nel business della ristorazione (alcuni Autogrill hanno ancora oggi la “A” di Alemagna, anche se la società non esiste più). Gli Autogrill Alemagna puntavano su un tipo di ristorazione più essenziale: un semplice bar, con qualche snack, in un locale integrato con la pompa di servizio (quelli che oggi si chiamano “Autobar”). Un’altra società alimentare, Motta, invece seguì la strada opposta: nei suoi locali ci si sedeva e si mangiava la cucina tradizionale italiana. Il suo primo autogrill a Cantagallo viene progettato da Melchiorre Bega, importante architetto dell’epoca, e fu utilizzato persino per organizzarci dei matrimoni.
Un dettaglio che fa notare Colafranceschi è che in Italia gli Autogrill sono arrivati prima dei supermercati, che hanno cominciarono ad aprire nel 1957, ma non si diffusero nei centri città prima degli anni Settanta. Molte delle critiche al consumismo e alla massificazione che negli altri paesi presero di mira i supermercati, in Italia sono state indirizzate proprio agli Autogrill. Come per esempio in uno degli episodi del film “Ro. Go. Pa. G. “del 1963, “Il pollo ruspante,” di Ugo Gregoretti, dove un padre di famiglia, interpretato da Ugo Tognazzi, viene spinto a comprare cibo e dolci proprio in un grande Autogrill a ponte. Non è un caso se gli Autogrill, proprio quelli italiani, sono tra i principali “nonluoghi”, indicati dall’antropologo francese Marc Augé: posti senza un’identità storica, uguali gli uni agli altri, dove le persone si spostano per necessità, ma senza stabilire relazioni tra di loro o creare un’identità locale.
«L’importanza simbolica dell’autogrill resiste ancora oggi», spiega Colafranceschi: «L’autogrill si ama o si odia», può essere il posto dove si mangia un buon panino sulla strada per andare in vacanza, o il posto anonimo e freddo dove consumare in fretta una colazione prima di andare al lavoro. Quest’ultima caratteristica – la freddezza, l’anonimità – prese sempre più piede negli anni Sessanta, mano a mano che la società diventava sempre più di massa. A viaggiare non erano più soltanto le élites, ma tutti gli italiani, che fossero impiegati lombardi diretti alla riviera romagnola, oppure operai del sud che tornavano a casa per le feste (la sociologia degli Autogrill è celebrata in un capitolo de “L’Italia spensierata” di Francesco Piccolo; la malinconia da Autogrill in una famosa canzone di Francesco Guccini). I giornali stranieri cominciarono a sparire, insieme ai cocktail lounge, sostituiti da generici bar e da normali caffè. Il giro d’affari in crescita, però, non migliorò i conti delle tre società che possedevano i punti ristoro. Danneggiate da un’eccessiva diversificazione degli investimenti e dalle prime avvisaglie della crisi del 1973, una dopo l’altra Alemagna, Motta e Pavesi fallirono e vennero rilevate, insieme ai loro punti ristoro, dall’IRI, la grande società pubblica che gestiva le partecipazioni statali. Per molti anni la SME, la finanziaria tramite quali l’IRI gestiva le società, con la sua tipica lentezza burocratica, continuò a lungo a possedere tre società concorrenti che facevano la stessa cosa. Quando la crisi del ’73 cominciò a colpire duramente il settore, finalmente il settore venne razionalizzato. La parte di ristorazione delle tre società venne unificata, venne disegnato il nuovo logo che oggi tutti riconoscono e il 28 febbraio del 1977 nacque la società Autogrill.
I Benetton e Autogrill
Per quasi 20 anni la storia di Autogrill proseguì senza grandi novità. Era un’impresa relativamente modesta, gestita col clientelismo che riguardava quasi tutte le partecipate statali dell’epoca, ma senza scandali eclatanti come accadeva in tante altre società. Nel frattempo il marchio Autogrill, la scritta bianca su fondo rosso, si diffondeva su tutte le autostrade italiane. Il passaggio dalla piccola società di nicchia che serve panini sulle autostrade alla multinazionale della ristorazione avvenne nel 1995, quando l’IRI vendette le sue quote nella società. Si trattò di un processo lungo e complicato, che era cominciato nel corso degli anni Ottanta quando divenne chiaro che lo stato non poteva più permettersi di possedere un enorme mucchio di società impegnate nell’alimentare. Autogrill venne venduta a una cordata formata dalla famiglia Benetton e dalla Luxottica. Pochi anni dopo avvenne uno degli episodi più controversi nella storia recente della società, quando nel 1999 la famiglia Benetton entrò in quella che oggi si chiama Atlantia, una società concessionaria di numerose autostrade.
Su questo è importante una parentesi: per quanto Autogrill sia molto grande e con un fatturato notevole, è pur sempre una società che opera in un mercato concorrenziale, dove fare utili non è affatto facile. Nel 2013 la società ha fatto un utile netto di circa 87 milioni di euro (in calo rispetto al 2012). Atlantia ha un fatturato leggermente superiore a quello di Autogrill, circa cinque miliardi di euro. Si tratta però di una società che, di fatto, opera in regime di quasi monopolio e infatti ha garantito un’utile quasi dieci volte superiore ad Autogrill: più di 700 milioni di euro (il gruppo Benetton, la marca di abbigliamento omonima della famiglia e che ha un fatturato di poco meno di due miliardi di euro, nel 2013 ha registrato invece una perdita di alcune decine di milioni di euro).
Possedere un’importante partecipazione sia nella società che controllava le autostrade, sia in quella che su quelle strade costruiva i punti ristoro, metteva quindi la famiglia Benetton in una situazione di potenziale conflitto di interessi. Per accettare l’entrata di Benetton in Autostrade, l’Antitrust impose una serie di regole su come dovevano essere gestite le gare per l’assegnazione dei punti ristoro lungo le autostrade. Pochi anni dopo, l’Antitrust ritenne che Atlantia avesse violato quelle stesse regole, favorendo proprio Autogrill nella gare per assegnare i punti ristoro. La società venne condannata a pagare una multa di 15,8 milioni di euro. La famiglia Benetton protestò con forza e fece ricorso ai tribunali, che però lo respinsero.
Stando alle parole dell’amministratore delegato, però, la strategia di controllare un numero molto alto di punti di ristoro non ha portato risultati all’azienda. Per migliorare la situazione della parte italiana della società, Tondato da tempo sta pensando di ridurre il numero di punti ristoro nel nostro paese e in parte ha già cominciato a farlo. Nelle ultime gare sono stati messi all’asta tra gli altri 41 punti vendita già controllati da Autogrill, e la società ha confermato la gestione soltanto di 21. L’idea è quella di concentrare le attenzioni della società su un numero di punti vendita situati in luoghi “strategici” e di investire in queste aree secondo il modello di Villoresi est. Naturalmente non sarà possibile inserire ovunque sonde geotermiche nel terreno per risparmiare sul riscaldamento, oppure serpentine nel tetto per ottenere acqua calda dal sole. Ma l’accordo con Eataly fa capire che la società per il momento punta a variare e alzare la sua offerta. In altre parole: diminuire le dimensioni, e quindi il fatturato, ma contemporaneamente aumentare gli utili.
Per quanto Autogrill sia un marchio così legato alla storia italiana, non si può concludere la sua storia e l’esposizione delle sue prospettive future guardando solo all’Italia. Dai bilanci dell’azienda è evidente che ormai l’attenzione è concentrata sull’area del Nord America e del Pacifico, dove la società genera già il 52 per cento del suo fatturato. La parte italiana conta soltanto per il 29 per cento. Oggi, nonostante il nome sia rimasto quello inventato da Mario Pavesi, Autogrill ottiene soltanto il 41 per cento del suo fatturato dai veri e propri Autogrill, mentre il 51 per cento deriva dai punti ristoro situati negli aeroporti.