Paolo Mieli, Corriere della Sera 10/6/2014, 10 giugno 2014
LA LIBERTÀ CANTA AL FEMMINILE ATTRAVERSO LE NOTE DI MOZART
Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1732-1799) fu segretario di Luigi XV, istruì alla musica le sue figlie, aiutò i ribelli americani, ideò il diritto d’autore, ebbe vivaci scontri con alcuni maggiorenti del suo tempo, ma soprattutto scrisse una fortunatissima trilogia: Il barbiere di Siviglia (1755), Le nozze di Figaro (1778, ma messo in scena solo nel 1784) e La madre colpevole (1790). Le nozze di Figaro (La folle journée ou le mariage de Figaro) è da sempre considerata una pietra miliare lungo la strada che portò alla Rivoluzione francese per come rappresentò la transizione dal feudalesimo alla modernità e la modificazione dei rapporti sociali nella Francia dell’epoca. La vicenda apparentemente giocosa e innocua del conte D’Almaviva che insidia Susanna, la cameriera della moglie, promessa sposa a Figaro, contiene evidenti elementi di satira contro le usanze di corte e le gerarchie sociali del Settecento.
L’imperatore austriaco Giuseppe II ne vietò la messa in scena, accusando la commedia di seminare l’odio tra le classi sociali. Tant’è che Wolfgang Amadeus Mozart e il librettista Lorenzo Da Ponte decisero — nel ricavarne un’opera (1786) — di attenuarne gli aspetti più corrosivi, togliendo dal testo originario il lungo monologo dell’atto V in cui Figaro denuncia, appunto, le rigide regole della gerarchia feudale. Ma — sostiene Martha C. Nussbaum nel libro Emozioni politiche. Perché l’amore conta per la giustizia , che sta per essere pubblicato dal Mulino — questa è solo apparenza. Secondo Nussbaum, l’opera di Mozart (che l’autrice analizza alla stregua di un testo filosofico cogliendovi anticipazioni di quel che poi si troverà in Jean-Jacques Rousseau, Johann Gottfried Herder, John Stuart Mill, August Comte e addirittura Rabindranath Tagore) è ancora più politica e rivoluzionaria di quella di Beaumarchais. Ed è stato un grave errore considerarla fin qui «meramente domestica» anziché «fortemente politica».
Le nozze di Figaro , ricorda l’autrice, «sono considerate un testo chiave nella storia del liberalismo per il modo in cui vi si immagina la sostituzione dell’antico regime con un nuovo ordine basato sulla fratellanza e sull’uguaglianza». Ma in genere «chi è interessato alla vicenda di Figaro si rifà alla commedia di Beaumarchais e ignora l’opera di Mozart e di Da Ponte». E invece, sostiene con decisione, è «l’opera ben più della commedia il testo filosofico che chiunque rifletta sul futuro della democrazia liberale dovrebbe studiare con attenzione… L’opera, assai più della rappresentazione teatrale, riesce a reggere il confronto con i maggiori interventi filosofici settecenteschi sul tema della fratellanza, e in particolare con quelli di Rousseau e di Herder, perché, a differenza della commedia, ma appunto al pari di Rousseau e di Herder, essa attribuisce un ruolo centrale alla cura delle emozioni, necessarie a fare della fratellanza qualcosa di più di una bella parola». Le nozze di Figaro mozartiane, secondo Nussbaum, a dispetto di quel che Da Ponte disse a Giuseppe II per convincerlo ad autorizzarne la rappresentazione, «è politica e radicale tanto quanto la commedia, e ben più profonda, perché indaga i sentimenti umani che sono i fondamenti necessari di una cultura pubblica di libertà, uguaglianza e fraternità». Le tre parole chiave della Rivoluzione francese.
Stando alla versione corrente, Beaumarchais avrebbe messo in scena «l’opposizione fra un antico regime basato sulla gerarchia e la subordinazione (impersonato dal conte D’Almaviva) e una nuova concezione politica democratica, basata sull’uguaglianza e la libertà (incarnata da Figaro)». Per questo il monologo del V atto in cui Figaro denuncia il privilegio ereditario sarebbe il momento chiave del testo di Beaumarchais; Mozart, avendolo eliminato, avrebbe depoliticizzato l’opera, trasformando il conflitto fra il conte e Figaro in una banale competizione per una donna. Ma Nussbaum ritiene che Mozart non abbia affatto individuato nel contrasto tra il conte e Figaro «il cuore del conflitto politico» e, pur accettando che il conte sia l’emblema dell’antico regime, non abbia dato per scontato che Figaro rappresenti la nuova cittadinanza. Anzi, secondo Nussbaum, «Figaro e il conte sono del tutto simili, tanto musicalmente quanto tematicamente». Di «che cosa cantano quando sono soli? Di onore oltraggiato, di desiderio di vendetta, di piacere del dominio; le energie che muovono questi due uomini non sono diverse, bensì profondamente coincidenti (tanto che un unico baritono potrebbe in teoria, cantare entrambe le parti il cui linguaggio è così simile che si rischia di confonderle)». La cavatina iniziale di Figaro, Se vuol ballare , segue la sua scoperta che il conte ha in progetto di sedurre Susanna. Ma se si sta ad ascoltare semplicemente quello che Figaro canta, non sapremo mai dell’esistenza di un essere umano di nome Susanna. Tutti i suoi pensieri sono «rivolti alla rivalità con il conte», e le sue reiterate negazioni («non sarà, non sarà») anticipano quelle perentorie del conte alla fine dell’opera.
Il conte immagina Susanna posseduta da Figaro, che egli considera «un vile oggetto», ed è questo a tormentarlo, non perché egli provi amore o un desiderio particolarmente intenso per Susanna, ma perché gli risulta intollerabile che gli sia, appunto, preferito un mero «oggetto». Proprio come Figaro, è assillato dall’idea di un altro uomo che ride di lui, insulta il suo onore, lo costringe a vergognarsi. Anche musicalmente, oltre che testualmente, l’aria del conte è affine a quella di Figaro: piena di una furia dirompente che esplode quando la voce arriva alle parole «felice un servo mio», e poi ancora «ah non lasciarti in pace»; la rabbia nella musica è accompagnata da una sprezzante ironia (la frase calante che accompagna «un vile oggetto»). Il libretto, osserva l’autrice, «ci fornisce qualche indicazione sulla similarità fra i due uomini, ma l’arco espressivo della musica va ben oltre nel sottolineare la loro affinità ritmica e di accenti che spazia in entrambi dal disprezzo beffardo alla rabbia furiosa». Mentre sono del tutto assenti emozioni, amore, meraviglia, piacere, ma anche dolore e desiderio.
Secondo la lettura politica convenzionale del testo di Beaumarchais, Figaro diventa nell’atto V «l’apostolo di un nuovo tipo di cittadino, emancipato dalla gerarchia». Il Figaro di Mozart non compie questo passo avanti. Come ha osservato Michael Steinberg, che molto si è dedicato a questo tema, per tutta l’opera (quantomeno fino alla conclusione dell’atto IV) Figaro «balla», musicalmente, al ritmo imposto dal conte: «Egli non ha trovato un idioma musicale suo proprio; e così anche il suo vocabolario politico ed emotivo è una riproduzione di quello del conte», sia in Non più andrai , alla fine dell’atto I (dove impersona «l’autorità con la quale il conte ha appena mandato Cherubino in servizio presso uno dei suoi reggimenti, impostando le sue frasi sul tempo di una marcia militare»), sia in apertura dell’atto IV, quando, desideroso di cogliere Susanna in flagranza di infedeltà, egli canta ancora dell’onore offeso, chiedendo a tutti gli uomini di «aprire un po’ gli occhi» sui modi in cui le donne sanno umiliarli. Ancora una volta, sono gli uomini, non le donne e meno che mai una donna in particolare, i destinatari delle sue parole. Potrebbe darsi che Mozart non sia riuscito a cogliere l’opposizione tra Figaro e il conte che Beaumarchais ci ha proposto. «Ma non corriamo troppo», scrive Nussbaum, «forse, al contrario, Mozart vede qualcosa che Beaumarchais non percepisce: che l’antico regime ha formato gli uomini in una certa maniera, di modo che la loro preoccupazione sia il rango, lo status, l’onore offeso, e che tanto i signori quanto i servi rivelano questa impostazione; ciò che uno non vuol perdere, l’altro desidera ottenerlo. In entrambi i casi, data questa ossessione, non esiste spazio per la reciprocità né men che meno per l’amore».
A conferma di quanto detto, due personaggi secondari dell’opera, Bartolo e Basilio, intervengono a rafforzare questa percezione. Le loro arie (Bartolo nell’atto I, Basilio nel IV) spesso tagliate nelle rappresentazioni, non richiamano nulla del testo di Beaumarchais. Bartolo è, «in termini emotivi», affine sia a Figaro, sia al conte. «Diverso dal punto di vista vocale, essendo un basso, tuttavia egli canta con le stesse espressioni: analoghi scoppi di rabbia e livore, temperati da quel tono malizioso che già conosciamo in Se vuol ballare di Figaro». Quanto al testo, il suo personaggio sembra offrire la teoria generale di ciò che intendono sia Figaro che il conte: «La vendetta, oh la vendetta/ È un piacer serbato ai saggi:/ L’obliar l’onte, gli oltraggi/ È bassezza, è ognor viltà». Quindi la vita «è quasi completamente incentrata sulla competizione fra maschi per ottenere status ed evitare la vergogna, e la cosa più intelligente da fare è giocare la partita fino in fondo». Il comportamento consigliato non solo fa sì che la rabbia e l’umiliazione cancellino l’amore e il desiderio (Bartolo, come Figaro e il conte, non si cura affatto di Rosina, che nel Barbiere di Siviglia ha ceduto al conte con un intrigo di Figaro), ma impedisce anche ogni tipo di perdono o riconciliazione. È questo atteggiamento che porta ai sei «no» consecutivi del conte alla fine dell’opera. Bartolo ci mostra anche qualcosa riguardo alla cittadinanza e alla ragione, perché egli è molto interessato al diritto. La sua convinzione è che il diritto sia uno strumento della vendetta maschile, e chiunque ne sia esperto la spunterà sempre su chi non lo conosce, perché riuscirà in ogni occasione a trovare «qualche garbuglio» con cui sconfiggere il suo nemico.
Basilio, maestro di musica che nella precedente commedia di Beaumarchais, Il barbiere di Siviglia , espone con entusiasmo il potere devastante della calunnia al fine di sconfiggere un nemico, inizialmente sembra capovolgere l’etica di Bartolo, che però in fin dei conti rafforza. Da Ponte lo presenta «come un uomo malevolo e debole, carente delle risorse che ci vorrebbero per competere alla pari con i nobili, e privo anche dell’intelligenza necessaria a gareggiare con un Figaro». La sua aria nell’atto IV, «offre suggerimenti agli uomini che si trovano in questa stessa posizione di debolezza». Esordisce affermando che è troppo rischioso entrare in competizione con i «grandi», dal momento che loro sono destinati a vincere. Sempre. Ma… racconta un episodio della sua giovinezza quando era impulsivo e non sentiva ragioni. «Donna flemma» gli regalò una pelle d’asino che usò per coprirsi dalla pioggia. E, sorpresa, il lezzo nauseabondo di quella pelle bagnata ebbe poi il benefico effetto di tener lontano un animale feroce. Morale: «Così conoscere/ Mi fe’ la sorte/ Ch’onte, pericoli/ Vergogna e morte/ Col cuoio d’asino/ Fuggir si può». Quest’aria, secondo l’autrice, apparentemente «offre un consiglio diametralmente opposto a quello di Bartolo, che ci suggerisce di usare il sapere e il diritto per sopraffare la persona che ha causato la nostra umiliazione; ma la somiglianza è evidente: entrambi vedono il mondo nello stesso modo, come un gioco a somma zero per la difesa dell’onore e dello status. La sola differenza è che Basilio è consapevole che alcuni sono destinati ad essere perdenti, ed egli vuole suggerire loro come limitare i danni». Fin qui gli uomini.
È con i personaggi femminili che entrano in scena i valori della Rivoluzione francese. Susanna e la contessa potrebbero essere rivali: dopotutto il conte sta cercando di tradire la moglie seducendo la futura sposa di Figaro. Ma «il pensiero non le sfiora nemmeno». Esse «capiscono di avere finalità comuni, perché ciò che ciascuna desidera è che i due uomini, Figaro e il conte, diventino mariti innamorati e fedeli mossi da affetto e piacere, anziché da vendetta e gelosia». Come i due baritoni, le due donne condividono un idioma musicale — al punto che possono essere scambiate l’una per l’altra anche dagli uomini che affermano di amarle (è però interessante che Figaro riconosca alla fine Susanna proprio dalla voce, «la voce che adoro»). Qui però Nussbaum non coglie che c’è tra le donne una lieve differenza sotto il profilo della voce: la contessa è un soprano lirico, mentre Susanna è un soprano leggero. In ogni caso, prosegue l’autrice, a differenza degli uomini, le donne utilizzano la loro affinità non per combattersi ma per cooperare e, in particolare, per la complessa messinscena che alla fine svela l’ipocrisia del conte. Osservando la loro intesa «si nota chiaramente che non c’è nulla di tutto ciò tra gli uomini». L’accordo fra le due donne, inoltre, nonostante la differenza di classe, appare come del tutto privo di gerarchie, basato sul vantaggio derivante a ciascuna da un’amicizia condivisa e genuina («Susanna, per esempio, nell’atto III è sorpresa di essere proprio lei — forse non molto istruita — a dover scrivere la lettera al conte per proporre l’incontro»). La reciprocità si vede nella natura dei loro scherzi, senza trucchi maliziosi o beffardi sottintesi; vi è solo solidarietà l’una verso l’altra e lo stesso desiderio di giungere a un buon fine.
Tutto questo è nel libretto, ma, come ha fatto notare Wye Jamison Allanbrook, «la musica porta ben oltre l’impressione di reciprocità e di uguaglianza». Man mano che la contessa detta la lettera e Susanna scrive, «le donne traggono ispirazione dalle rispettive frasi musicali, scambiandosi idee con una sinuosa capacità di risposta e un’immediata consapevolezza dell’altezza, del ritmo e anche del timbro dell’altra». Iniziano «con uno scambio di frasi come in una normale conversazione; con il procedere del duetto, però, la loro intesa diviene più intima e più complessa, il loro avvolgersi l’una nell’altra raggiunge un’intensa armonia. Il loro sodalizio musicale «esprime una sorta di amichevole accordo, che è, potremmo dire, manifestazione di reciproco rispetto, ma anche di un affetto profondo; nessuna delle due cerca di prevalere sull’espressività dell’altra, e ciascuna contribuisce con qualcosa di proprio, che poi è riconosciuto dall’altra e sviluppato ancora.
La promessa del duetto non è la semplice promessa di una libertà come mero rovesciamento delle parti, libertà di umiliare colui che ti ha umiliato. È una libertà che — ha scritto Allanbrook — ci porta oltre l’immagine, fonte di ansia e di insicurezza, di ciò che dovrebbe essere la libertà per gli uomini. È invece la libertà di essere felici, di avere accanto qualcuno uguale a te: la libertà di non doversi preoccupare di chi sta sopra e chi sta sotto. In altre parole, conclude non senza una qualche enfasi Nussbaum, «questa musica ha inventato la reciprocità democratica». Battersi per la libertà senza la fraternità, come fa il Figaro di Beaumarchais, significa solo capovolgere la gerarchia, non sostituirla con qualcosa di fondamentalmente diverso. Se ci deve essere un nuovo ordine, se mai ci sarà a questo mondo qualcosa che assomigli a una politica di rispetto ed equità, dovrà iniziare come il canto di queste due donne, e ciò significherà diventare un nuovo tipo di essere umano, radicalmente diverso. Ne viene fuori che il mondo maschile del Figaro «è una prigione dove ogni uomo passa la vita dominato dall’ansia del rango». La promessa non può che essere quella di rivoluzionarlo. Anche se, ad inficiare l’apoditticità di queste tesi, va osservato che l’anno successivo all’inizio della Rivoluzione francese, vale a dire nel 1790, gli stessi Mozart e Da Ponte misero in scena Così fan tutte , un’opera che — eccezion fatta per l’aria di Despina In uomini, in soldati — è sostanzialmente maschilista e contraddice buona parte delle teorizzazioni di Nussbaum sul rapporto contessa-Susanna. Ma non fermiamoci qui.
È il personaggio di Cherubino, che non canta con voce maschile ed è impersonato da un mezzo soprano, che, sostiene Nussbaum, porta con sé il messaggio positivo dell’opera tutta. In genere Cherubino è descritto superficialmente come un saltimbanco il quale (per come lo aveva presentato Beaumarchais) non ha un ruolo ben definito. Ma è l’unico personaggio maschile in tutta l’opera che esprima interesse nei confronti dell’amore. Ed è il suo idioma musicale, ben più del testo di Beaumarchais, che ci fa intendere che la sensibilità di Cherubino (Voi che sapete ) è poetica e romantica e che il suo slancio nei confronti del genere femminile non è frutto di mera eccitazione. Cantando meravigliosamente, Cherubino candida se stesso alla fraternità, all’eguaglianza e alla libertà. Quelle femminili, beninteso. Tanto che, prima di essere promosso, deve ancora superare la prova decisiva: travestirsi da donna.
«Certo, è la trama della storia che richiede questo trucco», osserva Nussbaum, «ma Mozart collega tale momento ai sentimenti più profondi del cuore». E l’aria di Susanna che lo aiuta a realizzare tale travestimento, Venite… inginocchiatevi , rende il senso di quel che l’autrice intende sostenere. Sostiene che ciò che Mozart vuole dirci, rendendo l’aria così stringente, e allo stesso tempo giocosa, è che «proprio qui, in un intimo momento di tenerezza, vengono gettati i semi del rovesciamento dell’antico regime». A cominciare dall’inginocchiarsi. Nel corso dell’opera quest’azione compare spesso; «in tutte le altre occasioni (fino agli istanti finali) è simbolo di gerarchia feudale: superiorità da una parte, obbe dienza dall’altra». Nel «mondo democratico delle donne, invece, la genuflessione è semplicemente l’atto di mettersi in ginocchio». Ci si inginocchia, come fa Cherubino, di fronte alla persona che ci aggiusta cuffia e colletto. L’inginocchiarsi «non ha valenza simbolica; è soltanto un’azione utile». E con Mirate il bricconcello Susanna spiega che Cherubino è attraente proprio perché, sebbene maschio e appassionato alle donne, non ne è attratto per controllarle e usarle come pedine nelle competizioni con altri uomini. Bensì per poterle amare. Invece del dominio, ci sono fascino e grazia; invece dei complotti per nascondere la vergogna o vendicare l’insulto, ci sono «furbe guardature» che rendono il ragazzo simile alle donne nel loro amore per gli scherzi e i pettegolezzi.
Così, osservando Cherubino, ci rendiamo conto di quanto poco rivoluzionario sia l’apparente radicalismo di Figaro. Non solo perché egli mutua dall’antico regime l’atteggiamento del suo padrone verso le donne, ma per qualcosa di più globale. Figaro semplicemente vede il mondo nello stesso modo in cui lo vede il conte: in termini di ricerca dell’onore e di fuga dalla vergogna. Se il nuovo mondo avrà cittadini come lui, il cammino verso l’uguaglianza e la fraternità non cesserà di essere pieno di ostacoli. Le vecchie gerarchie saranno rimpiazzate dalle nuove, come tanti bastioni a difesa dell’io maschile. Ed è sul personaggio di Cherubino che, secondo Nussbaum, Mozart incontra Rousseau e soprattutto Herder. Entrambi, fa notare Nussbaum, «condividono con Mozart la convinzione che una nuova cultura politica necessiti del sostegno di sentimenti nuovi, ed entrambi ritengono, come lui, che questi sentimenti debbano includere non solo quelli pacati del rispetto e dell’amicizia, ma anche, a sostegno e a stimolo di questi, qualcosa di più come l’amore, diretto alla nazione e ai suoi scopi morali».
Cherubino ha posto le basi di quello che sarà l’«amore civile» che si trasformerà, presto, in «religione civile». Un’«emotività civile» che smuoverà e travolgerà l’Ottocento. Contagiando Mill sul tema delle libertà: «Mozart e Da Ponte compresero che non era sufficiente disporre di buoni documenti fondativi, nemmeno di buone istituzioni» e che la libertà doveva «penetrare nelle pieghe profonde della personalità, allentando i vincoli interiori della rabbia e della paura, vincoli che conducono a forme di dominio gerarchico». Inesorabilmente. «Il Cherubino di Mozart ci offre un’immagine affascinante del cittadino che non cerca di dominare gli altri attraverso un rapporto di tipo gerarchico… ma tende a uno scambio che è insieme giocoso e impegnato».
Sarà Comte a «sviluppare le promettenti prospettive del Figaro», avanzando una riforma della politica di genere che ponga lo spirito «femminino» al cuore della società. Anche se Comte poi si dirà contrario all’uguaglianza uomo-donna. Ma saranno proprie le idee di Comte a diffondersi in India e a far presa su Tagore, padre spirituale del Mahatma Gandhi e di Indira Gandhi. «Tagore e Mozart», scrive la Nussbaum, «sono spiriti affini, entrambi convinti che la cittadinanza abbia bisogno di uno spirito ludico e dell’imprevedibilità individuale». Tesi originali, affascinanti che inducono a ripensare i tortuosi percorsi lungo i quali siamo giunti nella modernità. E il debito che, anche per questo tragitto, abbiamo nei confronti di Mozart e Da Ponte.