Sergio Rizzo, Corriere della Sera 10/6/2014, 10 giugno 2014
LA CORSA DEI BUROCRATI A CACCIA DI UN POSTO NEL POOL DI CANTONE LA LISTA DEI 213 CANDIDATI
La legge parla chiaro. I componenti dell’autorità anticorruzione devono essere scelti «tra esperti di elevata professionalità, anche estranei all’amministrazione, con comprovate competenze in Italia e all’estero, sia nel settore pubblico che in quello privato, di notoria indipendenza e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione». A far riflettere, semmai, è la procedura: i candidati vengono indicati dal governo ma le nomine sono subordinate al «parere favorevole delle commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti». Il che potrebbe inevitabilmente aprire spazio ad accordi sottobanco fra i partiti. Secondo il ben noto meccanismo: «Due scelti da me, uno da te e uno da lui».
Inutile dire che per la piega che hanno preso le cose, con le inchieste sull’Expo e sul Mose che stanno squarciando il velo su un cancro dalle metastasi diffuse in profondità nel mondo degli affari, della politica e anche dell’alta burocrazia, la faccenda è delicatissima. Così delicata da richiedere tempi di reazione rapidi. Forse più di quelli a cui stiamo assistendo. I termini per la presentazione delle candidature da parte degli interessati sono scaduti il 14 aprile, due mesi fa. In un paese nel quale abbiamo subito il proliferare di authority di ogni tipo, questa è quella che ha avuto la vita più travagliata. E dopo lo spettacolo sconcertante che ci hanno offerto in questi giorni le cronache non è molto difficile capire perché.
L’autorità anticorruzione viene istituita con poche risorse umane e pochissimi soldi sette anni fa, soltanto perché c’è lo impongono gli accordi internazionali. A capo ci mettono il prefetto Achille Serra, che l’anno seguente sceglierà di candidarsi alle elezioni con il Partito democratico passando poi all’Udc. È il 2008, Silvio Berlusconi ritorna a palazzo Chigi, e una delle prime iniziative del nuovo governo è quella di sopprimere l’authority, bollata come inutile. Ma siccome i trattati ne prevedono comunque l’esistenza, le funzioni vengono assegnate alla Civit, meglio nota come autorità anti fannulloni. Si tratta di un organismo che dovrebbe vigilare sulla trasparenza e l’efficienza della pubblica amministrazione, ma lo stato in cui versa la nostra burocrazia dice tutto sulla sua efficacia. Lo capisce immediatamente uno dei suoi componenti, Pietro Micheli, che se la dà a gambe appena può. Nel frattempo l’unica cosa che marcia sono le assunzioni. Si arriva così a oggi. La Civit diventa Anac, che sta per Autorità nazionale anticorruzione, e alla sua testa viene nominato il magistrato Raffaele Cantone. A cui viene affidato un compito da far tremare le vene ai polsi, in un clima non proprio confortevole per chi vuole stroncare la corruzione.
E qui torniamo alle decisioni che governo e parlamento sono chiamati a prendere in questi giorni. Scelte cruciali, visti i precedenti. Le autorità indipendenti, che dovevano rappresentare il baluardo dei cittadini contro i soprusi dei poteri economici e in qualche caso anche del malaffare, hanno in gran parte fallito la propria missione. Un caso per tutti, quello dell’authority per la vigilanza sugli appalti. Organismi che dovevano essere rigorosamente separati dal politica e dai partiti non sono rimasti estranei alle pratiche della lottizzazione, risultando talvolta un comodo approdo per alti burocrati pubblici a fine carriera, spesso esponenti di quella magistratura amministrativa competente a giudicare sui ricorsi avverso le stesse authority, in un conclamato conflitto d’interessi.
Al governo sono arrivate 213 candidature regolarmente pubblicate sul sito. Ma senza i curriculum e i riferimenti anagrafici, così da rendere difficilmente identificabili persone dai nomi piuttosto comuni come il candidato Ciro Esposito. Nella lista non mancano tuttavia numerosi esponenti riconoscibili della burocrazia pubblica. Come il magistrato del Tar Alfredo Allegretta. E il consigliere di Stato Michele Corradino, già capo di gabinetto di Giulio Santagata (governo Prodi), Stefania Prestigiacomo (governo Berlusconi) e Mario Catania (governo Monti). E Carlo D’Orta, già consigliere dei ministri Maurizio Sacconi, Sabino Cassese, Franco Frattini e Franco Bassanini. E Manin Carabba, classe 1937, presidente onorario della Corte dei conti, già capo di gabinetto di vari ministri per un decennio consecutivo ai tempi della Prima repubblica. E Caterina Cittadino, capo dipartimento di Palazzo Chigi. E Stefano Passigli, ex sottosegretario alla presidenza nei governi D’Alema e Amato. E Livio Zoffoli, ex presidente del Cnipa, già authority per l’informatica pubblica. E Costanza Pera, direttore generale del ministero delle Infrastrutture. E Sergio Basile, già capo di gabinetto dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno. E il consigliere della Corte dei conti Ermanno Ranelli. E Diana Agosti, capo del dipartimento delle politiche europee di palazzo Chigi, consorte dell’ex presidente dell’Antitrust ed ex viceministro Antonio Catricalà. E Salvatore Sfrecola, magistrato della Corte dei conti che dirige il giornale online www.unsognoitaliano.it sulla cui home page campeggia il motto di Marco Porcio Catone: «I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori». Nell’elenco dei candidati c’è anche un certo Francesco Merloni. Che sia lo stesso Merloni, 89 anni a settembre, autore da ministro dei Lavori pubblici della famosa legge per stroncare Tangentopoli, subito tradita?