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 2014  giugno 10 Martedì calendario

LA LEZIONE DI CESARE BECCARIA CANCELLATA DALLE MANETTE FACILI


Sono 250 anni esatti dalla pubblicazione di Dei delitti e delle pene, ma l’anniversario sta passando completamente sotto silenzio. Eppure, poche opere italiane hanno avuto nei secoli scorsi così rapido e duraturo successo a livello europeo. E Cesare Beccaria stesso, che pure era prima di tutto un economista, ha legato per sempre il nome a questo pamphlet chiaro, incisivo, radicale. L’opera fu pubblicata per la prima volta in francese (che era al tempo la lingua dei dotti) a Livorno nell’aprile 1764, in quell’illuminato granducato di Toscana che si sarebbe distinto poco più di venti anni dopo per essere il primo Stato ove la più radicale delle idee di Beccaria veniva messa in pratica: l’abolizione della pena di morte.
Ma c’è un motivo per il quale, in questa Italia attenta ai più insignificanti anniversari, ci si è dimenticati di celebrare un’opera che poneva il nostro illuminismo, soprattutto quello milanese, all’avanguardia? Io credo di sì, e altrettanto farebbe chiunque sol che rileggesse quelle pagine e le rapportasse allo stato della giustizia oggi in Italia e al predominio, in tutti questi anni, di una concezione di essa sostanzialista, e quindi non garantista. La pena, scrive Beccaria, in uno Stato moderno, deve essere «pronta, necessaria, la minima possibile nelle circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi».
L’unica cosa che da noi è pronta è invece la carcerazione preventiva, cioè la messa in galera di individui che poi col tempo si scopre spesso, nell’indifferenza generale, o essere innocenti o essere meno colpevoli di come in un primo tempo si era fatto parere. Il fatto è che gli inquirenti, contravvenendo a quello che per Beccaria è il primo dettato di una giustizia moderna, cioè l’individualità del reato e dell’eventuale pena, costruiscono prima un «teorema» e poi mettono in stato di arresto i presunti colpevoli per estorcere loro quelle prove che non hanno in mano. Anche questo perfettamente descritto da Beccaria, che parlava di un «processo offensivo», ritenendolo a torto (non potendo conoscere il futuro) proprio dell’Ancien Régime. Certo, oggi non c’è più la tortura fisica che Beccaria combatteva, ma quella spirituale e mediatica è altrettanto e più forte. Tutto celato poi dietro
la formula ipocrita della possibilità che il presunto reo avrebbe di «inquinare le prove» (che quindi si ammette di non avere). Il libro di Beccaria fu messo all’Indice dalla Chiesa per aver distinto reato da peccato, ma anche la moderna Chiesa giustizialista non fa sconti: anche se uno ha sbagliato e ha pagato, il segno del peccato lo perseguiterà per tutta la vita. Molto deciso Beccaria è poi su un altro punto: fino alla condanna, l’indagato deve essere considerato innocente: nel dubbio è meglio avere un colpevole in stato di libertà che un innocente in galera. Attuali anche le pagine sul fisco, ove il nostro, che era liberista e antistatalista, mette in luce il carattere estorsivo che le pene pecuniarie possono avere anche se esercitate da un’autorità pubblica. Ma sorprendente è poi quanto Beccaria scrive sulla prescrizione dei reati: è assolutamente favorevole e porta un argomento ineccepibile. Con il passare del tempo, un individuo può cambiare e anche pentirsi e ravvedersi, ma se in questo tempo egli vive nel terrore di una possibile pena in arrivo, state sicuri che egli svilupperà disposizioni antisociali e studierà vie di uscita immorali.
Le leggi devono poi essere chiare, precise e poche in numero. Già allora l’Italia era la patria dei bizantinismi legislativi e degli azzeccarbugli che su di essi prosperavano. Con la sua fede illuministica nel progresso, il povero Beccaria mai avrebbe immaginato a cosa saremmo stati ridotti due secoli dopo dall’elefantiasi burocratica e legislativa. Nel deserto delle celebrazioni, unica eccezione la traduzione, da parte di Carocci, della più importante monografia esistente, quella dello storico francese Philippe Audogean: Beccaria, filosofo europeo (pp. 299, euro 28). Ma anche di essa nessuno parla.