Marco Patricelli, Il Tempo 10/6/2014, 10 giugno 2014
D’ALFONSO, IL GRANDE TESSITORE DELLE STRATEGIE DEL CENTROSINISTRA
Il filotto è stato mancato di un soffio. Se il Partito democratico fosse riuscito in Abruzzo a coronare l’arrembante rimonta di Manola Di Pasquale a Teramo e l’affannosa rincorsa di Lino Ruggero a Montesilvano, il grande manovratore e neo governatore Luciano D’Alfonso, avrebbe dovuto allargare i confini del suo "ego" ben oltre i limiti umani. Limiti che mette alla prova quotidianamente. È stato comunque lui il vincitore della seconda tornata elettorale per i sindaci, perché sua è la strategia, sua l’onnipresenza al fianco dei candidati di centrosinistra, suoi ago e filo del tessitore e ricucitore di pezze a colore e stoffe politiche slabbrate, suoi i sermoni e le arringhe, con quell’italiano involuto e contorto verniciato di eleganza, da marinista fuori tempo massimo. Spesso non si capisce quel che dice, ma lo dice talmente bene che le vecchiette i e suoi irriducibili pasdaran lo adorano. E lo votano e votano pure per chi dice lui. A Pescara ha fatto salire a Palazzo di Città Marco Alessandrini, figlio del giudice Emilio assassinato da Prima Linea nel 1979, quando lui aveva appena 8 anni. D’Alfonso l’aveva voluto come assessore quando reggeva le sorti della città, prima che la magistratura pescarese gli infliggesse un bruciante stop e un calvario di processi con 53 capi di imputazione, dai quali è uscito indenne in primo grado. Dopo l’arresto di D’Alfonso nel dicembre 2008 e le nuove elezioni, Alessandrini era stato mandato allo scontro con Luigi Albore Mascia (sonoramente sconfitto da D’Alfonso a maggio), e ne era uscito assai malconcio. Capogruppo di opposizione, aveva quasi subito passato la mano ed era praticamente scomparso dall’agòne politico. È stato D’Alfonso a riesumarlo col soffio vitale del demiurgo, a spianargli la strada alle primarie e a togliergli di torno potenziali competitori interni uno dei quali, Paolo Blasioli, "rinunciò" più o meno volontariamente a giocarsela nel secondo turno con Alessandrini. Un’altra mano al giovane avvocato civilista l’ha fornita indirettamente il centrodestra, che a Pescara è riuscito in un’operazione scientificamente perfetta di auto-eliminazione. Tafazzismo allo stato puro, sia dal punto di vista squisitamente politico, sia da quello elettorale. Dal primo punto di vista, lo strappo dell’ex presidente della Provincia Guerino Testa è stato un esempio di come non si gestiscono o vengono mal gestite le ambizioni. Testa era passato a Ncd e per una serie di equilibrismi e contrappesi si era autoinvestito del ruolo di alfiere del centrodestra, tanto da far partire la campagna elettorale a colpi di manifesti 6x3 come nuovo sindaco. Con quale gradimento da parte dell’uscente Luigi Albore Mascia, è facile intuirlo. In campagna elettorale, sotto un apparente aplomb, se ne sono dette di tutti i colori, invece di mandare un messaggio chiaro e forte all’elettorato e di punzecchiare il principale competitore. Testa è arrivato quarto, superato pure dalla candidata 5 Stelle, Enrica Sabatini, e Mascia è andato al ballottaggio col centrodestra spaccato. L’operazione di ricucitura è stata più di facciata che sostanziale, nonostante le uscite pubbliche degli ex amici-nemici. Quanta presa abbia avuto sulla platea di centrodestra si è visto sia con l’abnorme astensione, sia col risicato 33% ramazzato alla disperata con le briciole. A questo si aggiunge una sconsiderata campagna di lavori pubblici lanciata a raffica in simultanea a ridosso del voto, che ha fatto sembrare Pescara bombardata e ha fatto inferocire i commercianti, che non sono pochi e che contano in termini di voto, e molti cittadini.
Vinta la guerra, l’armata del generalissimo D’Alfonso dovrà ora vincere la pace e sarà davvero impres a improba mettere d’accordo tutti quelli blanditi, lusingati, corteggiati e sedotti, e che adesso si aspettano qualcosa in cambio. La strategia non ha funzionato a Montesilvano dove Francesco Maragno ha rintuzzato gli attacchi alla disperata di Lino Ruggero, portando il centrodestra al municipio, e mettendo un argine a quella marea di centrosinistra che sulla costa poteva risolversi un una débâcle dalle proporzioni apocalittiche. Nell’isolotto circondato, Maragno ha piantato una bandierina a contrasto con quelle di Silvi e Giulianova. Una scia di centrosinistra con Francesco Mastromauro che si è scrollato di dosso anche l’ombra di Fabrizio Retko, e Francesco Comignani che da posizioni di partenza simili si è lasciato alle spalle Enrico Marini.