Tomaso Montanari, Il Fatto Quotidiano 9/6/2014, 9 giugno 2014
RISCHIARE LA VITA PER SALVARE UN QUADRO
Operazione salvataggio è un libro che riesce a dire con forza e con chiarezza la verità più importante (e però più difficile da fare passare) sul patrimonio artistico: e cioè che le opere d’arte non sono importanti in se stesse, ma sono importanti per la relazione che hanno con gli esseri umani.
Salvatore Giannella ha saputo cucire in un unico racconto le storie degli eroi senza uniforme che hanno salvato le opere d’arte italiane e spagnole durante la Seconda guerra mondiale e durante la Guerra civile, e quelle di altri eroi più recenti: i custodi temporanei della memoria storica dell’Afghanistan, i salvatori del fittissimo tessuto artistico della ex Iugoslavia, quelli che in queste ore lottano per difendere l’enorme e cruciale patrimonio della Siria, in gravissimo pericolo. Il messaggio è chiarissimo: queste non sono storie del passato. Chi si è appassionato vedendo Monuments Men di George Clooney deve sapere che quello è solo un prezioso, ma piccolo, tassello di un mosaico in divenire.
IL TESORO ANCORA NASCOSTO
E questo è vero anche in senso letterale. La notizia più clamorosa contenuta nel libro di Giannella è che l’Italia deve ancora recuperare 1653 opere d’arte elencate nel famoso rapporto di Rodolfo Siviero (il più celebre cacciatore di opere d’arte trafugate durante la guerra), e con ogni probabilità ancora disseminate per la Germania e l’Europa dell’Est. E nemmeno il pugno di addetti ai lavori che ne è al corrente, sa forse che da anni nessuno lavora per tentare di riportarli in patria. Il libro contiene una rarissima intervista all’avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli, che fino al suo recente pensionamento è stato a capo della commissione che si occupa del recupero delle opere d’arte esportate illegalmente dall’Italia. E se Fiorilli parla dei successi ottenuti nel contrasto ai furti d’arte recenti, egli denuncia il totale disinteresse nei confronti di quelle 1653 opere inghiottite dalla Germania hitleriana: “Sono in difficoltà a dire queste cose, ma il mio dovere di cittadino me lo impone. I ministri che si sono succeduti alla guida dei Beni culturali non si sono assolutamente interessati di questi problemi, anzi si sono opposti a queste attività. Il neoministro Dario Franceschini si avvale della diretta collaborazione degli stessi personaggi che affiancavano i precedenti ministri. Il che mi fa essere pessimista sul futuro”.
In effetti i politici, ma anche i diplomatici, non hanno alcun interesse a mettere sul tavolo delle relazioni internazionali una questione potenzialmente assai imbarazzante: e così il dossier di Siviero rimane in attesa di tempi e uomini più coraggiosi e più giusti.
Uomini come quelli che, per nostra fortuna, non mancarono durante l’ultima guerra. Quello che esce dal libro con maggior vivezza è Pasquale Rotondi, il grande amore di Salvatore Giannella, che ne ha pubblicato l’avvincente diario degli anni della guerra e gli ha dedicato una puntata della Storia siamo noi. Proprio nell’anno - il 1939 - in cui vara la grande (e per nulla fascista) legge di tutela numero 1089, il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Bottai prepara un piano segretissimo per mettere al sicuro il patrimonio artistico italiano, minacciato dalle bombe ma anche dalle razzie ordinate da Hermann Göring, numero due del regime nazista e avidissimo collezionista. L’idea è scegliere alcune fortezze storiche particolarmente inattaccabili e concentrarci le opere dei musei e del territorio: ma per attuare l’operazione occorre poter contare su soprintendenti e funzionari fedeli, fantasiosi e coraggiosi. Uomini come Rodolfo Siviero, Bruno Molaioli, Emilio Lavagnino, Giulio Carlo Argan e, appunto, Pasquale Rotondi. A quest’ultimo, soprintendente di Urbino, tocca allestire, riempire e sorvegliare la Rocca di Sassocorvaro e il Palazzo dei Principi a Carpegna: tra il 1940 e il 43 questi due luoghi si trasformano nei più favolosi musei della storia umana. A Sassocorvaro si concentrano circa 10.000 opere: l’intero patrimonio delle Marche e una grande parte di quello di Venezia. A Carpegna arrivano ancora opere veneziane (l’intero Tesoro di San Marco, per dire), quelle di Brera da Milano, 43 casse da Roma, contenenti tra l’altro i Caravaggio di San Luigi dei Francesi e di Santa Maria del Popolo.
IN FUGA DA GOERING
Ma dopo l’8 settembre del 1943 anche queste fortezze sono in pericolo. Così Rotondi è costretto a improvvisare, e carica sulla sua Balilla sgangherata le cose che gli sembrano più preziose, tra cui il San Giorgio di Mantegna e un gruppo di Madonne di Giovanni Bellini e Cosmé Tura. Un giorno di ottobre porta tutto a casa, e lo nasconde sotto il letto. La prima notte la trascorre sveglio, con la moglie, a contemplare ammutolito la Tempesta di Giorgione, appesa in camera. E qui si arriva diritti al presente: quanti veneziani, quanti italiani, quanti turisti che si commuovono di fronte a questo picco della creatività umana sanno che devono questa esperienza unica anche a Pasquale Rotondi, che Giannella definisce felicemente uno “Schinlder dell’arte”? È importante ricordarlo con forza oggi, quando le soprintendenze sono al centro dell’attacco più violento della storia repubblicana. Matteo Renzi si è scagliato contro “la casta delle sacerdotesse e dei sacerdoti delle sovrintendenze”, scrivendo che “Sovrintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?”. Ora, da presidente del Consiglio, Renzi sta coerentemente mettendo le premesse per l’abolizione dei ruoli a cui appartenne Pasquale Rotondi. Certo, le soprintendenze hanno sempre avuto come nemico il sottofinanziamento, gli organici scarsi (mentre salvava tutto quel ben di Dio, Rotondi supplicava inutilmente il Ministero: “Non ho un ispettore, non un segretario, non un assistente!”), gli stipendi da fame. Ma non si era mai registrato un simile odio da parte della politica: e il libro di Giannella ci aiuta a ricordare che gli entusiasmi stritolati dalle soprintendenze furono anche quelli di Hermann Göring.
Tra i tanti messaggi attuali di Operazione salvataggio ce n’è specialmente uno che non dobbiamo dimenticare, ed è racchiuso nella storia della salvezza di Borgo Sansepolcro. Nel 1944 il capitano inglese Anthony Clarke aveva solo 28 anni, e si trovava a comandare la squadra di artiglieria incaricata di stanare i tedeschi dalla cittadina toscana. Mentre Clarke guarda col binocolo verso il suo bersaglio, e dopo che aveva già ordinato alcuni tiri, venne assalito da un dubbio: “Sansepolcro non mi era nuova - racconterà poi - Perché conoscevo il nome di quella città?”. Dopo qualche minuto il capitano ricordò che dieci anni prima aveva letto, diciottenne, un libro in cui Aldous Huxley diceva che il più bel dipinto del mondo era la Resurrezione di Piero della Francesca, proprio a Sansepolcro. Terrorizzato all’idea di averlo già colpito, e forse distrutto per sempre, Clarke disobbedisce agli ordini e (rischiando la corte marziale) sospende il fuoco. Il giorno dopo gli americani entrano in città, per fortuna senza conseguenze, e Clarke si precipita a vedere l’affresco di Piero: intatto. Morale: la più efficace difesa del patrimonio culturale è quella che si costruisce con le idee, le parole, i libri. È per questo che siamo grati a Salvatore Giannella, e al suo amore per gli eroi sconosciuti che hanno salvato e continuano a salvare l’arte (e con essa la civiltà e la democrazia) dalle guerre.
Tomaso Montanari, Il Fatto Quotidiano 9/6/2014