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 2014  giugno 09 Lunedì calendario

UN MONDIALE DA «GLOBETROTTER»


Da Higuain a Palacio, da Cuadrado a Lichtsteiner, da Asamoah a Vidal, da Maicon a Kovacic, da Pianic a Mertens, da Honda a Reina, da Gervinho a Klose e a De Jong, fino allo straniero con la quotazione più alta: Paul Pogba, juventino di Francia. Sono queste le stelle, nel firmamento un po’ incerto del campionato italiano, che ritroveremo da potenziali avversari nella Coppa del Mondo 2014, al via giovedì a San Paolo. Fanno parte del contingente di 61 giocatori, di 20 Paesi diversi, che dall’Italia sono tornati in patria non per le vacanze, ma per prepararsi ai Mondiali. A fare il cammino inverso (dall’estero per vestire l’azzurro) sono solo tre atleti, tutti del Paris Saint-Germain: Thiago Motta, Salvatore Sirigu e Marco Verratti. Bastano a raddoppiare il numero di "richiamati" in Italia dal 1930 a oggi, per un totale di 20 edizioni: finora, infatti, i soli Di Matteo, Vieri (nel 1998, rispettivamente dal Chelsea e dall’Atletico Madrid) e Coco (nel 2002, dal Barcellona) erano arrivati dall’estero.
L’Italia mantiene sostanzialmente un profilo autarchico, ma questo sarà il Mondiale più globalizzato di sempre, nel senso che il 64,4% dei calciatori convocati (474 su 736, quasi due su tre) è tesserato per club di Paesi diversi dal proprio. Il trend è in continuo aumento, la soglia del 50% è stata sfiorata nel 2002 e superata nel 2006: fanno sorridere i cinque giocatori "espatriati" che vennero utilizzati nel 1930. «Praticamente – osserva Gianni Menicatti, ricercatore del Gruppo Clas, che con Marcello Spreafico è autore della ricerca di taglio sportivo per Il Sole 24 Ore – quattro-cinque campionati europei finiscono per concentrare quasi tutto il meglio, e non ci sono più Nazionali sconosciute. Se prima i Mondiali erano una vetrina per far scoprire nuovi campioni, adesso possono servire per aumentare le quotazioni».
La Serie A si conferma sul podio dei campionati cui si rivolgono i Ct delle Nazionali altrui: nel 2014 solo l’Inghilterra ha numeri maggiori (100 calciatori "esportati" contro i nostri 61, vale a dire l’8,3% dei 736 convocati a Brasile 2014). A seguire ne troviamo 60 provenienti dalla Germania, 50 dalla Spagna e 37 dalla Francia. E sempre il campionato inglese – che in passato ha rifornito spesso le rappresentative di Eire, Irlanda del Nord, Scozia e Galles – è in testa nella serie storica dei 20 Mondiali, con 606 "prestiti" di stranieri alle Nazionali di tutto il pianeta, contro i 344 dell’Italia, i 295 della Germania, i 279 della Francia e i 264 della Spagna.
Sul fronte opposto è quella argentina, con 138 giocatori tesserati all’estero e utilizzati in biancoceleste per un Mondiale, la Nazionale che più ha "importato". Al secondo posto il Brasile (111) e al terzo il Camerun (108). La prima europea è la Svezia (sesta, con 88). Proprio la Nazionale scandinava aprì un varco, nel 1958, rivolgendosi alla Serie A per prelevare cinque giocatori – Liedholm, Skoglund, Hamrin, Selmonsson e Gustavsson – e dare vita alla squadra che a Stoccolma perse la finale con il Brasile. Nello stesso anno John Charles tornò da Torino (sponda Juve) per difendere i colori del Galles. Facendo un salto in avanti di quasi 60 anni, nel 2014 sono Bosnia e Ghana le squadre che attingono di più fuori dai loro confini, sfiorando l’en plein: in un caso e nell’altro, su 23 convocati 22 non giocano in patria. E a quota 21 si attestano Algeria, Belgio, Camerun, Costa d’Avorio e Uruguay.
«Da un’indagine interessante e originale come questa – dice Claudio Pasqualin, decano dei procuratori sportivi (con clienti come Del Piero, Bierhoff, Vialli, Montero, solo per citare qualche nome) e presidente di Avvocaticalcio – emerge, nell’ambito di una globalizzazione sempre più spinta, il numero rilevante di giocatori di Serie A che vanno ai Mondiali. Ma questo non significa che l’appeal del nostro campionato sia forte. I parametri di valutazione sono altri, a partire dal pubblico negli stadi, che da noi sono spesso vecchi e decrepiti. E poi gli stranieri più forti ormai in Italia non vengono più». Però continuiamo a rivolgerci all’estero... «Un po’ dipende dal fatto che la produzione dei vivai è ridotta rispetto al passato, anche perché non ci sono norme per favorire e incentivare lo sviluppo dei giocatori italiani; un po’ contano gli interessi extra-tecnici che stanno dietro certi trasferimenti. Tutta questa esterofilia, però, è un fattore controproducente per il nostro calcio».

Giacomo Bagnasco, Il Sole 24 Ore 9/6/2014