Mattia Feltri, La Stampa 9/6/2014, 9 giugno 2014
PARTITI IN CERCA DI UNA NUOVA VERGINITÀ MA CON POCA MEMORIA DEL LORO PASSATO
Come i bambini: toc, ce l’hai. Ma quelli del Pd non se lo aspettavano. Uno del Movimento cinque stelle, Alessio Villarosa, si era alzato a Montecitorio per dire che tutti quanti avrebbero avuto di che vergognarsi per l’intestazione della biblioteca della Camera a Paolo Borsellino. Rosy Bindi, sorpresa nell’altra parte della barricata, rispose che «nessuno dovrebbe appropriarsi dei nomi di Borsellino e Falcone». Ma pochi giorni più tardi, nel comizio conclusivo a piazza San Giovanni della campagna elettorale per le Europee, Beppe Grillo si prese non soltanto i magistrati antimafia, ma anche quelli di Mani pulite e infine il santino di Enrico Berlinguer; si gridò «la mafia fuori dallo Stato» e si invocò una «pulizia etica». E così il Partito democratico si trovò di colpo, dopo vent’anni di morale impartita, epurato da qualcuno più puro. Ma in Italia ci vuol niente a rimettersi in piedi: i giovani padroni del Pd, dopo gli arresti del Mose, hanno certificato la loro diversità all’interno dell’ex partito della diversità; sul tema della corruzione, «il nuovo Pd non fa sconti a nessuno», ha detto Debora Serracchiani; il Pd trarrà le conseguenze «come già è stato fatto nel caso Genovese (il deputato consegnato alla magistratura, ndr)», ha detto Maria Elena Boschi; e siccome Berlinguer è meglio non lasciarlo in giro, «ora c’è una nuova generazione che vuole prendere in mano la questione morale e segnare una discontinuità col passato». Il povero Nico Stumpo, rimasto quasi in solitaria a respingere le teorie di differenza generazionale («nella vecchia guardia c’è tanta gente per bene come in quella nuova»), aveva appena riproposto quelle sulla differenza antropologica (o almeno culturale): «Il Pd è più attrezzato di altri nel combattere il malaffare».
Una partita difficile, questa. Tante più ruberie si scoprono, e tanti più partiti ne restano coinvolti, tanto più nessuno è disposto ad abbassare i vessilli della sua incomparabile rettitudine. Sul Mattinale di Renato Brunetta si è letto che «Forza Italia è la portabandiera della lotta alla corruzione», e Maurizio Bianconi ha suggerito a Matteo Renzi - «il grande ipocrita» - di spiegare perché i ladri sono fra di loro, anziché minacciare di «prenderli a calci nel sedere». Posizioni forse un pochino temerarie, visto la storia antica e recente del partito berlusconiano. Ma in fondo c’è spazio per tutti. La Lega Nord, già immemore delle mutande verdi di Roberto Cota, dei crodini e delle lauree di Bossi jr, dei diamanti e dei lingotti di Francesco Belsito, si gode l’occasionale innocenza e col governatore del Veneto, Luca Zaia, si prende una rivincita: «Il quadro è inquietante, ancora di più pensando alle lezioni pubbliche che Giancarlo Galan dispensava a tanti di noi». E poi, sempre Zaia: «Il Pd si guardi in casa: ci sono contributi finiti dalle tasche dei signori del Mose alla segreteria del partito». Non aveva nemmeno tutti i torti, visto che il Pd del Veneto gli aveva sollecitato le dimissioni.
Il momento è propizio. E’ propizio per Sinistra ecologia e libertà e per Rifondazione comunista di dire «noi ve lo avevamo detto»: non si fanno le grandi opere, che portano soltanto grandi mazzette, spiegano Nichi Vendola e Paolo Ferrero. E’ propizio per attribuire un’intrinseca carica criminale al governo meticcio: lo fa Grillo («larghe intese in manette») e ancora più chiaramente Giorgia Meloni, leader di F.lli d’Italia: «L’altra edificante faccia delle larghe intese». E così è tutto buono: ecco Renato Schifani deberlusconizzato congratularsi col suo segretario per non avere gridato al complotto della magistratura; ed ecco Edmondo Cirielli, altrettanto decavalierizzato, invocare «punizioni esemplari». E poteva mancare Antonio Di Pietro? Mai! «Ho scritto la storia di Mani pulite e mi viene tanta voglia di ricominciare», anche se «allora me l’hanno fatta pagare». Torna in pista perché «sono state fatte leggi per aiutare i ladri», e voi scordatevi i Razzi e gli Scilipoti, e anche Vincenzo Maruccio, il braccio destro di Tonino che si intascò un milione di rimborsi, e non parliamo poi di Sergio De Gregorio e delle sue prodezze. Di senza colpa, qui, non ne è rimasto uno, e hanno tutti lanciato la loro prima pietra, ultima vaga testimonianza di una consapevolezza comune: è meglio non rubare.
Mattia Feltri, La Stampa 9/6/2014