Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 09 Lunedì calendario

TREMONTI RESPINGE I SOSPETTI “MALEDETTO IL GIORNO IN CUI INCONTRAI MILANESE”


Tremonti ha passato una brutta domenica. L’hanno chiamato all’alba per avvertirlo che il tam-tam mediatico lo addita quale destinatario della maxi-tangente (presunta) percepita da Milanese, suo assistente ai tempi del ministero. Il prof pare non abbia nemmeno voluto leggere gli articoli su di lui: se li è fatti raccontare per sommi capi, dopodiché ha staccato il telefono. Ferito. Quasi incredulo che lo si voglia accostare alla «banda del Mose», tra l’altro tutta gente abituata a vivere oltre i propri mezzi laddove Tremonti conduce un’esistenza notoriamente parsimoniosa: come avvocato dichiara un reddito da 980mila euro annui eppure per le pulizie di casa, a Pavia, ingaggia una domestica a ore. I pochi in grado di comunicare con lui, lo raccontano del tutto ignaro. Della super-mazzetta, e pure dell’iter che nel maggio 2010 portò il Cipe a finanziare alcune grandi opere tra cui, per 400 milioni di euro, il Mose: «Non me ne occupai io, che in quel periodo avevo ben altro cui pensare...». Se ne fece carico Milanese, come del resto accadeva per mille faccende piccole e grandi. L’ex finanziere era diventato il suo braccio destro, al dicastero di via XX Settembre lo consideravano un «alter ego» nonostante si dessero rispettosamente del «lei». Tremonti gli aveva dato fiducia. Come nel film di Verdone, ora l’ex ministro maledice il giorno in cui l’ha incontrato e ha commesso lo sbaglio,quello sì davvero imperdonabile per un uomo di governo, di conferirgli così tanto potere.
Sono già tre volte che Milanese lo mette in cattiva luce. La prima fu quando Paolo Viscione, imprenditore nei guai col fisco, sostenne di aver chiesto soccorso al suddetto in cambio di una Ferrari, di una Bentley e di 4 orologi, uno dei quali sarebbe dovuto finire al polso di Tremonti (nessuno però ce lo vide mai). L’incidente numero due fu provocato dalla famosa casa in via di Campo Marzio, data in affitto a Tremonti dal solito Milanese: pure lì c’erano stati scambi di favori con privati. Il ministro non ne risultò al corrente. Ma quando la cosa venne fuori scoppiò uno scandalo. Tremonti preferì evitare l’umiliazione del processo per finanziamento illecito patteggiando una pena pecuniaria. Il suo curriculum politico ne fu danneggiato.
Il nuovo guaio sembra ancora più serio: ben 500mila euro percepiti da Milanese, in contanti e dentro una scatola da scarpe. Questa, quantomeno, è l’accusa formulata nei suoi confronti. Da qui gli interrogativi, echeggiati prepotentemente sui media: possibile che il suo capo (e inquilino) non ne sapesse nulla? Come mai, allora, quelli del Consorzio Venezia Nuova erano così convinti di veicolare i soldi al ministro? E quest’ultimo, cosa promise al «Doge» Mazzacurati quando i due si videro, pochi giorni prima che la presunta mega-mazzetta venisse versata? Tutte domande che i pm non mancheranno di girare a Tremonti. Conoscendo però già la risposta, anticipata ieri dal prof agli amici: «Ebbi quel colloquio con Mazzacurati perché tutti insistevano a farmelo incontrare, mi dicevano che era importante. E del resto non si potevano negare i finanziamenti per completare il Mose, nemmeno Prodi se l’era sentita di bloccarli...». Nulla di nuovo. Però, attenzione: per quanto si siano fin qui dimostrati severi, i pm non l’hanno indagato. Né hanno spedito il suo fascicolo al Tribunale dei ministri, come per l’ex titolare delle Infrastrutture, Altero Matteoli. Tantomeno hanno chiesto al Senato di poterlo arrestare, strada scelta per Giancarlo Galan. Dopo 3 anni di indagini, lo sentiranno come persona informata dei fatti: cioè il minimo sindacale. E ciò induce a credere che, di tutto il sottobosco ministeriale, sappiano molto più loro, i magistrati, di quanto Tremonti a suo tempo si fosse mai reso conto.

Ugo Magri, La Stampa 9/6/2014