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 2014  giugno 09 Lunedì calendario

MOSE, L’OPERA CHE NON PUÒ ESSERE FERMATA


Avanti tutta perché fermarsi non si può più. E allora eccola qui la nave greca «Slavutich 13» lunga 115 metri che ieri mattina in quattro minuti quattro attraversa i 371 metri della conca di navigazione alla bocca di porto a Malamocco dove verranno messe le paratie gialle del Mose per fermare l’acqua alta a Venezia. Paratie destinate ad affondare nei cassoni come quello che sabato mattina alle 6 e 19 si è inabissato alla bocca di porto di Chioggia, a fianco di una gigantesca isola di cemento sormontata da gru alte come case dove gli operai strizzano bulloni. Dopo gli arresti che hanno decapitato il «sistema», non è cambiato quasi niente. Il Consorzio Venezia Nuova è sempre quello, a parte i dirigenti finiti in galera. L’impresa è sempre la Mantovani dell’ingegner Piergiorgio Baita adesso estromesso, quello che oliava i politici meglio dei giunti cardanici che regolano le paratie che vanno su e giù nei cassoni che si riempiono di acqua o di aria a seconda di come tira il mare.
Mauro Fabris che da un anno guida il Cvn tira dritto e non guarda indietro: «Ho un solo obiettivo: finire l’opera». Mica facile se si pensa che il primo bando per il Mose risale al 1976, che Bettino Craxi prometteva che nel 1995 sarebbe entrato in funzione e che il miliardo iniziale di vecchie lire come costi previsti si è alzato come nemmeno l’acqua a Venezia. I lavori veri sono iniziati solo nel 2003. Il fronte dei cantieri è lungo 15 chilometri. Quando saranno messe in opera - 2016 la dead line - ci saranno due barriere mobili alla bocca di Lido, una a Malamocco e una a Chioggia. Quattro barriere formate da paratoie a ventola, a spinta di galleggiamento e scomparsa capaci di fermare un’onda alta tre metri quando il massimo di acqua alta a Venezia è stata di 1 metro e 94. Il costo dell’opera è di 5 miliardi e 493 milioni di euro. I finanziamenti già stanziati dallo Stato ammontano a 5 miliardi e 267 milioni. Quel poco che resta le imprese se lo sono fatto prestare dalle banche. I lavori a oggi sono arrivati all’80% del progetto e allora avanti tutta perché fermarsi non si può davvero più.
I calci nel sedere promessi dal governo a politici e imprese corrotte qui non sollevano nemmeno un’onda piccola così. Dal Cvn sono assai espliciti e abituati come sono fanno due conti: «I cassoni e le paratie e tutto il sistema è stato costruito su misura per il Mose. Non si può riciclare da un’altra parte. Estromettere imprese come la Mantovani vuol dire fermare l’opera. Un’altra impresa con lo stesso know how mica la si trova. E poi costa di più tenere fermo il Mose che finirlo». In ventisei anni da quando se ne parla, di detrattori della Grande Opera ce ne sono stati tanti: politici come l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari che non l’ha mai amata, ambientalisti che si battono contro il Mose e le grandi navi che arrivano ad accarezzare il campanile di San Marco per la gioia dei turisti, esperti che studiano maree e progetti per combatterla. Ognuno ha il suo buon motivo per non volere la Grande Opera, il mostro di cemento e acciaio in Laguna.
Gli ultimi a protestare sono i pescatori di Chioggia e i navigatori da diporto. Da qui a settembre attorno alle paratie di fronte alla bocca di porto, nei week end in cui si lavora alla posa dei cassoni in mare, è steso un cavo di sicurezza che impedisce la navigazione privata. Gianni Boscolo Moretto che guida lo yacht club di Chioggia si lamenta: «Bloccarci nei fine settimana durante la bella stagione vuol dire ammazzare il nostro lavoro». Gli stessi malumori arrivano da Malamocco, ieri off-limits alla navigazione privata, mentre passava la nave greca che testa il canale di navigazione. Su «Il Mattino» l’inglese naturalizzata veneziana Samuel Cocks che da anni si batte per la salvaguardia della città ha più di un mal di pancia per quello che sta succedendo: «Quest’inchiesta ha un impatto devastante all’immagine di Venezia. Difficilmente la gente si fiderà ancora dei pareri scientifici su un’opera come questa, pensando che dietro ci sia sempre qualcosa». Come gli apocalittici che giuravano che nei cassoni di cemento avrebbero messo pure i rifiuti tossici per ancorarli meglio al mare. Senza immaginare che ad affondare il Mose c’era solo un mare di tangenti milionarie.

Fabio Poletti, La Stampa 9/6/2014