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 2014  giugno 09 Lunedì calendario

OLTRE IL GIARDINO


Si fa presto a dire “Salotto Buono”. E poi a scoprire con finto stupore che i presunti nuovi salotti non erano tanto buoni, ma semmai “Salotti Marci”. L’ultimo caso è quello della Palladio Finanziaria e del suo dominus Roberto Meneguzzo, accreditato per qualche anno da un’informazione economica stordita quando non asservita, come il nuovo Cuccia, titolare della “Mediobanca del Nordest”. Ora le inchieste sulle tangenti del Mose di Venezia e dell’Expo 2015 di Milano, con annessa la Città della salute, oltre che sull’Unipol e sulle Generali di Giovanni Perissinotto, rivelano nitidamente la vera natura della Palladio Finanziaria e del suo leader Meneguzzo: nient’altro che uno dei tanti faccendieri dalle relazioni a dir poco opache, percettore e distributore di tangenti prelevate da fondi pubblici. Arrestato mercoledì scorso nella grande retata del Mose, Meneguzzo – a quanto rivelano gli inquirenti – era uno dei cardini del malaffare scientifico costruito intorno alla grande opera lagunare, che è già costata a tutti noi circa 5 miliardi e mezzo, l’uomo che movimentava milioni di fondi neri in associazione con altri due gentiluomini: Marco Milanese, ex ufficiale della Guardia di Finanza, ex deputato del Pdl, braccio destro pluri-inquisito dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, e Emilio Spaziante, fino a pochi mesi fa generale vicecomandante delle Fiamme Gialle, capo delle guardie e anche dei ladri. Fu il faccendiere vicentino che, in cambio di denaro, fece sbloccare da Milanese 400 milioni di fondi del Cipe per il Mose. E fu sempre lui che si attivò con il generale Spaziante per bloccare la verifica della parte buona della Guardia di Finanza in corso al Consorzio Venezia Nuova. Correva il 2012 quando Meneguzzo si alleò con la Sator di Matteo Arpe in una controfferta sulla Fondiaria Sai dei Ligresti che Mediobanca voleva dare a Unipol: “l’ariete che prova a sfondare il salotto di piazzetta Cuccia”, scrisse qualcuno. Ma l’ariete perse la partita. E pochi si chiesero quale fosse l’origine delle sue fortune, chi si celasse dietro le fiduciarie e le scatole cinesi del sistema Palladio, che ebbe all’inizio tra i supporter il capo dell’Antonveneta Silvano Pontello e successivamente l’ex rettore della Bocconi Roberto Ruozi, Gianpiero Fiorani, quello della Banca Popolare di Lodi del “bacio in fronte” all’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, e Vincenzo Consoli, numero uno di Veneto Banca. Né sul tipo di rapporti di Meneguzzo con la cupola politico-affaristica veneta nata nel lungo regno da governatore di Giancarlo Galan e dei suoi sodali: da Giovanni Mazzacurati a Lia Sartori, da Piergiorgio Baita della Mantovani all’assessore Renato Chisso, fino al sindaco Pd di Venezia Giorgio Orsoni. Nel frattempo cominciavano i guai sul fronte delle Generali, di cui Palladio era diventata socia all’1,1 per cento con la società veicolo Ferak e al 2,15 tramite Effeti, joint venture tra la stessa Ferak e la Fondazione Crt, insieme alla Finint di Enrico Marchi e Andrea De Vido. Con l’arrivo di Mario Greco e la defenestrazione da amministratore delegato del carissimo amico di Menguzzo Giovanni Perissinotto, la magistratura di Trieste ha aperto un’inchiesta, che è ancora in corso e di cui sono annunciati sviluppi per le operazioni con parti correlate che avrebbero prodotto perdite per centinaia di milioni. Non resta che sperare che questa triste storia ponga finalmente fine alla mistica sconsiderata dei salotti buoni. Che se mai buoni sono stati, non esistono più.
a.statera@repubblica.it

Alberto Statera, Affari&Finanza – la Repubblica 9/6/2014