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 2014  giugno 09 Lunedì calendario

L’INSIDIA DELLE DEROGHE PER ELUDERE IL DIVIETO DEI SUSSIDI DI STATO


Fra le risposte più sbagliate che Bruxelles potrebbe dare all’insoddisfazione emersa nelle ultime elezioni europee, la peggiore sarebbe quella di pensando di restituire potere agli stati nazionali - alimentare in realtà la possibilità di maggiori sprechi pubblici e ostacolare così l’instaurazione di un mercato veramente concorrenziale e aperto all’interno dell’Unione. In effetti, uno dei cardini di quest’ultimo obbiettivo, è sempre stato il divieto di aiuti di stato distorcenti. Gli aiuti sono tutti quei finanziamenti a favore di imprese o produzioni, sia provenienti dallo Stato centrale, dagli enti locali o dalle imprese pubbliche. I sussidi che hanno un impatto sulla concorrenza e incidono sugli scambi tra gli stati membri sono proibiti e poco importa la forma che assumono: sovvenzione, prestito a tasso agevolato, garanzia contro un corrispettivo non di mercato, vendita di beni, locazione di immobili o acquisizione di servizi a condizioni preferenziali , riduzioni fiscali, partecipazioni al capitale di imprese a condizioni inaccettabili per un investitore privato (remember Alitalia?). Per evitare violazioni, gli aiuti sono sottoposti al controllo preventivo della Commissione, che li autorizza solamente quando rientrano in una delle deroghe previste dal trattato. Un buon modo per aggirare il divieto è dunque quello di aumentare le deroghe oppure di spostare il controllo nelle mani dello stato membro o post concessione del sussidio, perché a quel punto si arriva tardi e in modo occasionale. Purtroppo, le ultime mosse della Commissione Europea sono andate esattamente in questa direzione. Invero, pochi giorni prima la data delle elezioni, l’esecutivo europeo ha emanato un cosiddetto Regolamento di esenzione in cui si presume che alcune categorie di sovvenzioni siano compatibili con il mercato unico in quanto i benefici sociali che esse arrecano sono superiori agli svantaggi derivanti dall’alterazione della concorrenza. La Commissione ha deciso che tali sono gli aiuti alle imprese per l’innovazione di processo e organizzativa; per rimediare alle catastrofi naturali; per l’infrastruttura della banda larga; per la cultura, includendo le opere audiovisive; per lo sport e le infrastrutture ricreative o locali ed infine per le sovvenzioni ai trasporti in regioni “remote”. Si allargano inoltre le precedenti definizioni di finanziamenti esentati (per esempio per le infrastrutture di ricerca o l’ambiente o i siti contaminati) ed infine si alza la soglia oltre la quale i sussidi devono essere notificati. Vige difatti in Europa la regola de minimis, per la quale la Commissione non si cura delle concessioni di aiuto troppo piccole. Quindi, basta alzare i limiti e le elargizioni filano via lisce. In effetti, ad esempio, tutte le soglie quantitative per ricerca e sviluppo sono state ora raddoppiate e per la cultura e lo sport portate a 50 o 100 milioni a seconda del progetto. Se non fosse chiara la portata del cambiamento, basta leggersi cosa dice la stessa Commissione: “in futuro 3/4 delle odierne misure d’aiuto e circa 2/3 degli ammonti totali erogati dagli stati membri saranno esentati”. La percentuale potrà arrivare al 90% se i governi nazionali adotteranno i provvedimenti previsti (in buona sostanza, trasparenza nei conti pubblici, valutazioni oggettive su quanto l’aiuto sia distorcente e più controlli ex post). Insomma, prepariamoci ad una ondata di finanziamenti, sovvenzioni, esenzioni fiscali ad hoc, contributi, sostegni di ogni genere che le autorità nazionali doneranno alle proprie imprese con la scusa di “aumentarne la competitività” o “incoraggiare l’innovazione e la ricerca” sempre e solo a giudizio del burocrate che deciderà al posto del mercato o dell’investitore privato. Per chi come noi italiani ha vissuto l’esperienza di Italia ’90 o dei mondiali di nuoto, tutta questa fiducia sulla presunta bontà dei finanziamenti alle infrastrutture sportive appare bizzarra; ma ci basta ricordare i soldi a pioggia arrivati a film inguardabili (tra cui l’indimenticabile “mutande pazze”), linee di trasporto inutili o infrastrutture locali orribili per capire come il futuro disinteresse dell’Europa agli aiuti nazionali ci porterà meno concorrenza, più distorsioni, sprechi e deficit: perlomeno a Bruxelles, #cambiareverso non è stata una buona idea.
adenicola@adamsmith.it

Alessandro De Nicola, Affari&Finanza – la Repubblica 9/6/2014