Giovanni Pons, Affari&Finanza – la Repubblica 9/6/2014, 9 giugno 2014
QATAR ALLA CONQUISTA DELL’EUROPA AL JAZEERA PUNTA SU MEDIASET PREMIUM PER ENTRARE IN ITALIA E IN SPAGNA
I soldi dei fondi sovrani, dalla crisi del 2007 in poi, sono stati accolti a braccia aperte dai paesi occidentali e hanno permesso di risolvere diverse situazioni critiche, a partire dalle banche. Ma da quando il nome di uno di essi, forse il più aggressivo, è stato associato a un caso di corruzione internazionale, l’immagine ha cominciato ad appannarsi. Stiamo parlando del piccolo emirato arabo del Qatar, indipendente dal 1971, ricco di petrolio e gas naturale, governato dalla famiglia reale Al Thani, che nel 2010 si è visto aggiudicare dalla Fifa i Mondiali di calcio del 2022. Il siluro è partito dal bisettimanale francese France Football con un’inchiesta intitolata “Qatargate”. Il 23 novembre 2010, una decina di giorni prima del voto della Fifa, si tenne una riunione segreta all’Eliseo fra l’allora presidente Nicolas Sarkozy, l’attuale Emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani, il presidente dell’Uefa Michel Platini e Sébastien Bazin allora proprietario del Paris Saint-Germain. In essa si sarebbe deciso che in cambio del pieno sostegno della Uefa alla candidatura qatariota per i Mondiali 2022, l’Emiro si impegnava a effettuare pesanti investimenti in Francia con l’acquisto del Psg (effettuato poi nel 2011), la crescita nell’azionariato del gruppo Lagardère e la creazione di un canale sportivo (BeIN Sport) che facesse concorrenza a Canal+ , invisa a Sarkozy. La dose è stata rincarata una decina di giorni fa dal Sunday Times (di proprietà di Rupert Murdoch) il quale ha svelato dozzine di pagamenti, per un totale di 5 milioni di dollari, effettuati da Mohamed bin Hammam (top manager del Qatar e fino al 2011 vicepresidente della Fifa) a diversi funzionari del calcio mondiale per assicurarsi i voti necessari al successo finale. La parola definitiva dovrebbe dirla l’inchiesta interna della Fifa questa settimana e non è escluso, come ha detto Platini, che si debba rivotare per stabilire la sede dei Mondiali 2022. Se andasse a finire così sarebbe uno smacco clamoroso per il Qatar e la politica espansionistica intrapresa da una decina d’anni. E avere ripercussioni sulla ragnatela di relazioni e investimenti effettuati in Europa negli ultimi anni che ora qualcuno comincia a mettere in discussione per gli effetti che un’invasione così massiccia può comportare per le aziende e i mercati nazionali. Il vento contrario agli emiri del Qatar spira anche dalla Spagna, dove il governo Rajoy pare abbia chiesto alla Telefonica di Cesar Alierta di mettere al riparo il gruppo editoriale Prisa dalle mire di Al Jazeera, la tv all newsposseduta dal ministero degli Esteri del Qatar. Alierta ha obbedito e messo sul tavolo un’offerta da 750 milioni per il 56% di Digital Plus, la pay-tv posta in vendita da Prisa, e altri 350 milioni per il 22% ancora in mano a Mediaset che ora ha un paio di settimane di tempo per decidere se accettare o rilanciare. Il governo ci ha messo del suo chiudendo due dei sette canali Mediaset in Spagna (La Siete e la Nueve) in seguito alla messa in onda di uno spot antigovernativo. Tuttavia se il gruppo Berlusconi riuscisse a far entrare Al Jazeera nel capitale di Mediaset Premium, la scatola dedicata alla pay tv in Spagna e Italia, con le sue ingenti risorse finanziarie alle spalle, potrebbe aprirsi una feroce battaglia per la conquista del mercato spagnolo. Nel quale Al Jazeera aveva già cercato di aggiudicarsi Mediapro, la società che gestisce i diritti delle principali squadre di calcio tra cui Barcellona e Real Madrid, e dove la Qatar Foundation è diventata partner ufficiale del club blaugrana con un contratto di sponsorizzazione quinquennale del valore di 170 milioni. L’insofferenza crescente degli spagnoli verso i soldi del Qatar si misura in queste ore con le dichiarazioni dello sceicco Abdullah Al Thani, cugino di 2° grado dell’ex emiro Hamad, che ha deciso di abbandonare la squadra del Malaga, acquistata nel 2010. Al Thani ha denunciato «mancanza di rispetto, apprezzamento e uguaglianza» da parte delle autorità politiche e sportive spagnole. E si è detto «molto deluso», per l’ostilità nei confronti del suo piano di vendere il centro sportivo del club e lo stadio Rosaleda, e costruire un nuovo stadio e un nuovo centro di allenamento alla periferia di Malaga. La strategia della Qatar Holding, il braccio operativo della Qatar Investment Authority, istituita nel 2005 e di proprietà dello Stato del Qatar con la «missione di sviluppare, investire e gestire le riserve dello Stato e le altre proprietà assegnate dal Consiglio Supremo, in linea con le policy, i piani e i programmi approvati dal Consiglio Supremo», è stata fin qui quella di penetrare i principali paesi europei acquistando asset importanti in diversi settori. Con 115 miliardi di dollari in cassaforte il presidente e primo ministro del Qatar e il suo braccio destro Ahmed Al Sayed in pochi anni hanno fatto shopping di tutti i tipi. Hanno comprato i servizi finanziari in Gran Bretagna salvando Barclays nel bel mezzo della crisi finanziaria. Hanno puntato 2,2 miliardi di dollari sui grandi magazzini Harrod’s (per il 100%) e altri sulla grande distribuzione di Sainsbury. In Germania hanno privilegiato il settore automobilistico acquisendo il 10% di Porsche e per un certo periodo il 17% della Volkswagen spendendo 10 miliardi e più recentemente garantendo una parte dell’aumento di capitale della Deutsche Bank. Ma è con la Francia che i qatarini hanno sempre avuto una relazione privilegiata, sia per la rilevanza politico culturale della Francia in Europa, nel Mediterraneo, in Medio Oriente e in Africa, sia per gli ottimi rapporti con l’establishment e in particolare con Sarkozy, come si è visto nell’affaire per i mondiali. Forti di queste relazioni gli uomini di Al Sayed hanno messo in fila un portafoglio di tutto rispetto, che allinea l’1% di Lvmh, l’1% di France Telecom, il 2% di Vivendi, il 12,8% di Lagardère, il 7% di Vinci, il 5% di Total e il 4,7% di Veolia. E con un occhio agli immobili parigini, un debole per la famiglia Al Thani, che nel giugno 2012 ha acquisito un complesso di lusso in Champs-Elysées Boulevard per 623 milioni di dollari. Con la Francia “testa di ponte” per lo sbarco in Europa, buone presenze in Germania e Gran Bretagna e la Spagna che dà segni di insofferenza, l’ultimo tassello del mosaico qatarino è rappresentato dall’Italia, affamata di capitali esteri anche se politicamente instabile. Il primo colpo di una certa importanza nel Belpaese è stato un capriccio della moglie dell’ex Emiro, che ha fortemente voluto l’acquisto della maison Valentino attraverso il fondo Mayhoola dedicato agli investimenti diretti della famiglia reale. Poi la Qatar Holding ha puntato 700 milioni in Sardegna rilevando le attività più preziose della Costa Smeralda dall’immobiliarista Tom Barrack che a sua volta le aveva comprate dall’Aga Khan. Quindi l’Emiro ha spinto sull’acceleratore siglando una joint venture al 50% con il Fondo Strategico Italiano (Cdp) in cui i due partner possono versare fino a un miliardo a testa per investimenti nei settori dell’alimentare, dei grandi marchi e dell’abbigliamento. Infine è rispuntata la vecchia passione per l’immobiliare e Qatar Holding ha investito un miliardo per il 40% di Porta Nuova real estate, il complesso di grattacieli milanesi in zona Garibaldi-Porta Nuova sviluppato dalla Hines. «Gli investitori del Qatar sono partner straordinari per l’Italia», dice Manfredi Catella, ceo di Hines Italia. «Accettano quote di minoranza e non sono opportunisti, guardano allo sviluppo e al lungo periodo. In Italia abbiamo bisogno di investitori di questo tipo, capitale intelligente e non speculativo». La campagna d’Italia, dunque, non pare finita qui. Nel mirino c’è l’ospedale ex San Raffaele di Olbia dove l’Emiro potrebbe cercare di fare ciò che non è riuscito a Malaga, cioè trasformare l’area intorno all’ospedale in un polmone verde in grado di ospitare attività di riabilitazione, preparazione e stage per le diverse squadre di calcio oggi in mano agli esponenti del Qatar o altri. A ciò si sono aggiunte le voci secondo cui Al Jazeera Sport (la filiale italiana aperta nel 2010) fosse intenzionata a partecipare all’asta per i diritti delle partite di calcio di Serie A, inserendosi nella disputa senza esclusione di colpi tra Mediaset e Sky. Il timore è risultato infondato anche se la tv qatarina potrebbe aver risparmiato le risorse in vista dell’accordo a più ampio raggio in Mediaset Premium, che le permetterebbe di entrare con un sol colpo in due mercati. D’altronde perché stupirsi, lo sport rappresenta un campo prioritario d’azione individuato dalla famiglia reale del Qatar, per permettere al Paese di costruire consenso in tutto il mondo, e in particolare in Occidente, intorno al suo soft power. Soldi usati in chiave ideologica, verrebbe da dire, basta leggere il programma di pianificazione economica a lungo periodo contenuto nel “Qatar National Vision 2030”. Ma tutto ciò potrebbe subire un brusco stop se i Mondiali del 2022 verranno riassegnati a causa dello scandalo sollevato dai giornali francesi e inglesi. Qui accanto, un’immagine della Costa Smeralda, uno degli investimenti della Qia.
Giovanni Pons, Affari&Finanza – la Repubblica 9/6/2014