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 2014  giugno 09 Lunedì calendario

GLI ULTIMI CASELLANTI “GUARDAVAMO PASSARE L’ITALIA”


RIMINI
Passava anche davanti a loro, il treno dei signori. «Era il Settebello, il più veloce di tutti. Appena il tempo di vedere la veranda in testa al convoglio, il flash delle facce dei viaggiatori di prima classe che guardavano il panorama, ed era già passato. Aveva una striscia verde, sulle fiancate. Era bellissimo. E noi lì davanti alla garitta, cappello in testa che se non stavi attento volava via, e la bandiera rossa arrotolata in mano».
Hanno cento ricordi, gli uomini che guardavano passare i treni. «Era un mestiere duro, quello del casellante. Non per la fatica. In fin dei conti si trattava di girare una manovella per abbassare le sbarre prima dell’arrivo di un convoglio. Il problema vero era stare svegli, soprattutto con il buio. Ma il nostro in fondo era un bel mestiere». Sergio Morri, classe 1948 e Antonio Savioli, classe 1944, riminesi, sono stati «guardiani» — questa la qualifica, equivalente a quella di manovale — di caselli ferroviari fino al 1992.
Gli ultimi casellanti sono stati «rottamati» dalle Fs nel 1999. Alcuni, in pensione, sono rimasti a vivere nei caselli ma adesso è arrivato il momento dell’addio, per «fine locazione». Sulle linee che dalla Lunigiana portano alla Versilia è arrivato l’ordine di Ferservizi di lasciare le case. Troppo vicine ai binari, meno di quattro metri e mezzo: sarebbero travolte in caso di deragliamento. C’è chi aveva ristrutturato il casello a proprie spese e adesso non sa dove andare. «Dovranno mandare i carabinieri», dicono le cento famiglie che vivono a fianco dei binari fra Toscana e Liguria e altre 332 sparse in tutta Italia.
«L’orologio — raccontano i due casellanti riminesi — era importante. Quando abbiamo iniziato, nel 1972, su alcune linee non c’era ancora il quadro elettrico, con luci e suoneria che avvertita dell’arrivo del treno. Allora avevamo solo l’orario ferroviario e c’era l’obbligo di chiudere le sbarre cinque minuti prima. Se c’era ritardo, non sempre ci avvertivano. E allora tenevi chiuso per dieci, venti minuti e ti prendevi gli accidenti di quelli che aspettavano sulle auto o sui trattori. “Sergio, ti decidi?”. “Antonio, è ancora lunga?”. Da quando siamo andati in pensione, l’orologio non lo portiamo più. Questa, per un ex casellante, è la vera libertà».
Erano importanti, i guardiani delle sbarre. Anche famosi. “Vecchio casellante / che fermo te ne stai / non vedi che il mio amore / fugge via lontano…”, cantava nel 1959 Claudio Villa in “Binario”.
Franca Rame è una “casellante ferroviaria” nella Canzonissima del 1962. «Contenta? Basta che guardi indietro quelli che stanno peggio di noialtri…». Georges Simenon, ne L’uomo che guardava passare i treni del 1938, racconta “l’emozione furtiva, quasi vergognosa”, che turbava Kees Popinga “vedendo passare un treno, un treno della notte soprattutto, dalle tendine calate sul mistero dei viaggiatori”.
«Per noi i treni della notte — raccontano Sergio Morri e Antonio Savioli — erano i merci e i primi locali che portavano pendolari assonnati. E tanto sonno l’abbiamo patito anche noi». Turno in terza, si chiamava. Inizio di lavoro ore 13, fine lavoro alle 21.
Poi si ricominciava alle 6 per arrivare alle 13. La sera stessa, dalle 21 alle 6 del mattino. Un giorno di riposo e via col nuovo turno di terza. «Una garitta di due metri per due. C’era una stufetta elettrica. Vietato portare una sdraio, una radio, un piccolo televisore… Le Ferrovie controllavano, se sgarravi ti punivano, se facevi bene a fine anno di davano un biglietto: “Nota di qualificazione per l’anno 1978. Matricola 8217. Comportamento: Lodevole”. E con quel biglietto potevi sperare in un piccolo aumento».
Erano pericolosi, i passaggi a livello. Ce ne sono ancora 4.057, sui 16.700 chilometri di linee gestite da Rfi, ma sono tutti automatizzati, salvo 1.134 su linee minori, gestiti da privati che magari hanno la chiave per alzare le sbarre e passare da una parte all’altra del loro podere. In questi anni sono stati eliminati — con sottopassi o cavalcavia — 1.791 passaggi a livello, con una spesa di 1.300 milioni. Altri 52 saranno eliminati in questo 2014. «Ogni guardiano — dicono Sergio Morri e Antonio Savioli — di solito controllava tre passaggi a livello. Stavi nella garitta di centro e comandavi anche quelli prima e dopo di te. Ecco, funzionava così. Le luci sul pannello elettrico — dalla fine dei ‘70 — segnalavano l’arrivo del convoglio. Tu dovevi uscire, girare l’argano per abbassare le sbarre e poi rientravi in garitta e spingevi il pulsante che mandava il “consenso” al treno».
Sulla linea Bologna-Rimini passavano 130 treni al giorno. «Durante le feste, per Ferragosto o a Natale, c’erano anche una trentina di straordinari. In fondo noi siamo stati fortunati: siamo stati assunti quando i guardiani erano già diventati dipendenti delle Ferrovie, sia pure con stipendi più bassi dei macchinisti. Ci hanno dato anche una divisa. Ferie e malattie pagate e biglietti per viaggiare gratis».
I tempi più duri erano già passati. Fino alla fine degli anni Cinquanta i casellanti erano chiamati “assuntori”: facevano un servizio per le Fs ma restavano “esterni”. Controllavano i passaggi a livello e in cambio avevano l’alloggio nel casello e un salario minimo. I caselli erano quasi autosufficienti: avevano l’orto, il pozzo, il forno per il pane, una stufa a legna o a coke. Le Ferrovie fornivano l’avvisatore acustico (la tromba), la bandiera rossa, la lampada di segnalazione. Nessuna divisa, niente ferie e pensione. Potevano però chiamare un familiare come coadiutore. Nell’Italia del 1959 si contano 7.173 assuntori fissi, 938 assuntori stagionali (da marzo a ottobre), 3.389 coadiutori fissi e 137 stagionali. Solo con la legge 1236 del dicembre 1959 si annuncia un futuro migliore.

Jenner Meletti, la Repubblica 9/6/2014