Vera Schiavazzi, la Repubblica 9/6/2014, 9 giugno 2014
DONNE COSÌ SINGLE, COSÌ FELICI
Zitella, parola italiana sostituita prima da nubile e poi da single, parola dalle origini gradevoli, perché deriva da zita, ragazza, in molti dialetti del Sud, e zita significa anche fidanzata. Ma che diventa giudizio e scherno quando è usato per le donne non sposate, di qualunque età. Oppure l’inglese spinster, che il Guardian ha appena denunciato come discriminatorio nelle parole della sua editorialista Claudia Connell: “Ogni volta che ho festeggiato il mio compleanno, dai 35 in poi, qualcuno mi ha chiesto perché non mi ero ancora sposata! Basta”. La rivolta delle inglesi è anche quella delle italiane. Non c’è paragone con “scapolo”, o single quando applicato ai maschi, due parole che possono apparire quasi affascinanti. L’Italia è un paese dove — come fotografa l’Istat — vivere da soli è ormai la forma di famiglia più diffusa: vive solo il 13,6 per cento della popolazione sopra i 15 anni, 7 milioni ai quali, tra il 2000 e il 2010, se ne aggiungono altri 2. Le donne che vivono sole sono il 15,5 per cento sul totale di 28 milioni (ovvero oltre 4 milioni) contro l’11,6 per cento dei maschi, e diventano il 38 per cento quando si superano i 64 anni. Vedove? Non solo, perché oltre il 25 per cento è fatto da signore (signore, ladies, madame, come vorrebbero essere chiamate) che non si è mai sposato. La svolta è avvenuta nel 2010, quando i single, nel loro insieme, sono saliti del 39 per cento, mostrando così una tendenza di massa, nella stessa Italia dove un matrimonio su 3 finisce col divorzio.
Le ragazze nate alla fine del secolo scorso, millennials, come amano chiamarsi, si sono messe sulla scia: le ha raccontate il “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo di Milano. “Vorresti un figlio nei prossimi tre anni?” era una delle domande, e il 64 per cento delle intervistate ha risposto con un secco “no”. È la generazione che ha già visto separarsi i genitori, quella che non vede più, nel semplice fatto di trovare un compagno, la garanzia del “vissero felici e contenti”. Lontano il tempo in cui si viveva in attesa del principe azzurro, tutte ammalate della sindrome di Cenerentola, come ben spiegò, nel suo volume cult “Dalla parte delle bambine”, Elena Gianini Belotti oggi le giovani donne credono che la parità vada conquistata sul campo, e che nessuna azienda o professione o partito politico sia disposto a regalarla loro mentre stanno a casa a cucinare. La “rivolta delle zitelle”, tuttavia, non è soltanto legata alle statistiche, alla mancanza di una parità autentica o alle scarse opportunità di carriera. Ma anche al piacere di stare da sole (e di essere libere), al non volersi accontentare, alla fine di una società patriarcale che guardava con sospetto chi non si batteva con le coetanee per conquistare un marito, per essere la più bella della festa o per farsi invitare quando a tavola c’era anche uno scapolo.
Ora le zitelle d’Italia escono allo scoperto, creando blog, come Il club delle zitelle, scrivendo libri, come “Le scelte che non hai fatto” (di Maria Perosino, già autrice di “Io viaggio da sola”, in uscita per Einaudi il 17 giugno), chiedendo di essere chiamate semplicemente “signore”, come tutte le altre. E ricordando che sono proprio loro, le donne single e felici di esserlo, quelle che hanno alimentato generazioni di professioniste italiane: una ricerca recentissima della Fnomceo, la Federazione degli Ordini dei medici italiani, dice che il 30 per cento delle donne medico non ha figli, mentre per i colleghi maschi la percentuale precipita al 13 per cento. Ma la scelta alla sliding doors, figli o carriera, matrimonio o lavoro stabile, non basta più alle donne sole che decidono di restarlo e che si sentono o dovrebbero sentirsi libere di farlo, in una società che non vede più né il matrimonio né i figli al centro dei suoi valori. Ora chi non vuole sposarsi, chi vive bene in solitudine, chi non sente alcuna vocazione alla maternità chiede rispetto: “Siamo l’unica minoranza che non si è ancora ribellata”, scrive Connell, e ribadisce Adele, una delle blogger di “Amore di zitella”: “Mi chiamo Adele Reale, ho cinquant’anni e sono una zitella.
Mi chiamo Adele, ma potrei chiamarmi Mae Chest, Josephine Lafitte, Inge Bidermehier, Lola Cervantes, Naj Chen, potrei persino chiamarmi Antonella Cavallo come la mia autrice; i miei cinquanta ce li ho e non me li toglie nessuno. A dire il vero, potrei averne quaranta o anche trentacinque, non farebbe alcuna differenza.
Zitella, questo sì, la differenza la fa eccome!. A rendere difficile la vita di donne altrimenti appagate è lo stigma sociale, quello che circonda le donne sole più di qualunque altra forma di famiglia: «Lasciatemi dire a chi come voi porta con orgoglio una fede al dito, a chi la sta per infilare e a chi sa che presto accadrà; ai portatori sani di sguardi di invidia, di pietà, di compassione, di rimprovero o di monito — come quelli di mia madre — ai vari: “Tu pretendi troppo”, “Sei troppo selettiva”, “Sei esigente”, “Tu sì che hai capito tutto dalla vita”, “Stai troppo bene così”, “Ma ti piacciono le donne?”, “Sei troppo indipendente”, “Goditi la libertà”. In altre parti del mondo va anche peggio: nella Cina che rimpiange le politiche anti-natalità, per esempio, le donne non sposate si chiamano leftover, letteralmente “avanzi”, sheng nuin ideogrammi. E Leta Honger Fincher, sociologa cinese, ha denunciato il loro dramma: spesso si sentono costrette a cercare un marito qualsiasi (un marito finto, come i finti fidanzati proposti su Facebook alle ragazze italiane, come raccontato nell’articolo accanto) nonostante una carriera promettente e una buona autonomia economica, perché altrimenti l’isolamento sociale sarebbe troppo forte.
In Italia, la pressione è meno forte, prevale l’idea della decisione: «Credo che sia un 49 per cento, la scelta che mettiamo da parte per un soffio — racconta Maria Perosino, che nel suo nuovo libro confronta i propri passaggi esistenziali di donna senza figli a quelli di amiche d’infanzia, intervistate da lei, che invece li hanno fortemente voluti, insieme a un marito — Le cose che lasciamo indietro, fidanzati che non diventano mariti, amori che finiscono, bambini ai quali abbiamo pensato ma che non sono nati, fanno parte delle nostra storia. Che però è andata diversamente, senza che la si debba rimpiangere». Ma le domande indiscrete di amici e parenti disturbano, e molto, come rivela l’ultima indagine italiana di Meetic, il più grande sito di incontri: il 69 per cento è infastidito dalle domande sul suo status sentimentale, il 43 per cento mette in cima all’elenco «perché sei ancora single?», seguito da «dovresti provare a essere meno selettiva» (raccomandazione rivolta soprattutto alle donne). Un terzo non gradisce essere invitata insieme a altri single, mentre il 74 per cento preferisce non rispondere e lasciare che l’inquisitore si renda conto del “disagio” che ha provocato. Ma l’11 per cento si alza e se ne va: basta zitelle, spinster, vieille fille (in francese) e santerona (in spagnolo). La vita è mia e la decido io, e pazienza se, come avverte l’ultimo rapporto di Coldiretti, la libertà costa cara, fino al 66 per cento in più per cibo e affitto: vivere soli costa 320 euro al mese soltanto per il cibo e le bevande, contro i 240 delle famiglie di 2/3 persone, colpa delle confezioni troppo grandi e dell’impossibilità di riciclare gli avanzi. In molte pensano che ne valga la pena, e tengono sul comodino Emily Dickinson e Barbara Pym.
Vera Schiavazzi, la Repubblica 9/6/2014