Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo, la Repubblica 9/6/2014, 9 giugno 2014
“HO RICONOSCIUTO FACCIA DA MOSTRO QUELL’AGENTE ERA IL SICARIO DEI BOSS”
La figlia ribelle di un boss della Cupola ha incastrato l’uomo misterioso che chiamano «faccia da mostro». L’ha indicato come «un sicario» al servizio delle cosche più potenti di Palermo. È un ex poliziotto, forse anche un agente dei servizi segreti. Ed è sospettato di avere fatto stragi e delitti eccellenti in Sicilia.
«Ne sono sicura, è lui», ha confermato Giovanna Galatolo dietro un vetro blindato. Così le indagini sulla trattativa Stato- mafia, sulle uccisioni di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino — ma anche quelle sul fallito attentato all’Addaura e probabilmente sugli omicidi di tanti altri funzionari dello Stato avvenuti a Palermo — dopo più di vent’anni di depistaggi stanno decisamente virando verso un angolo oscuro degli apparati di sicurezza italiani e puntano su Giovanni Aiello. Ufficialmente è solo un ex graduato della sezione antirapine della squadra mobile palermitana, per i magistrati è un personaggio chiave «faccia da mostro» — il volto sfigurato da una fucilata, la pelle butterata — quello che ormai si ritrova al centro di tutti gli intrighi e di tutte le investigazioni sulle bombe del 1992.
«È lui l’uomo che veniva utilizzato come sicario per affari che dovevano restare molto riservati, me lo hanno detto i miei zii Raffaele e Pino», ha confessato Giovanna Galatolo, l’ultima pentita di Cosa Nostra, figlia di Vincenzo, mafioso del cerchio magico di Totò Riina, uno dei padrini più influenti di Palermo fra gli anni 80 e 90, padrone del territorio da dove partirono gli squadroni della morte per uccidere il consigliere Rocco Chinnici e il segretario regionale del partito comunista Pio La Torre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il commissario Ninni Cassarà. «È lui», ha ripetuto la donna indicando l’ex poliziotto dentro una caserma della Dia. Un confronto «all’americana », segretissimo, appena qualche giorno fa. Da una parte lei, dall’altra Giovanni Aiello su una piattaforma di legno in mezzo a tre attori che si sono camuffati per somigliargli.
«È lui, non ci sono dubbi. Si incontrava sempre in vicolo Pipitone (il quartiere generale dei Galatolo, ndr) con mio padre, con mio cugino Angelo e con Francesco e Nino Madonia», ha raccontato la donna davanti ai pubblici ministeri dell’inchiestabis sulla trattativa Stato-mafia Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Un riconoscimento e poi qualche altro ricordo: «Tutti i miei parenti lo chiamavano “lo sfregiato”, sapevo che viaggiava sempre fra Palermo e Milano... «.
La figlia del capomafia — che otto mesi fa ha deciso di collaborare con la giustizia rinnegando tutta la sua famiglia — aveva con certezza identificato Giovanni Aiello come amico di Cosa Nostra anche in una fotografia vista in una stanza della procura di Caltanissetta, quella che indaga sulle uccisioni di Falcone e Borsellino. Dopo tante voci, dopo tanti sospetti, adesso c’è qualcuno che inchioda lo 007 dal passato impenetrabile, scivolato in un gorgo di inchieste con le ammissioni di qualche altro pentito e di alcuni testimoni.
Sembra finito in una morsa, da almeno un anno Giovanni Aiello è indagato dai magistrati di quattro procure italiane — quella di Palermo e quella di Caltanissetta, quella di Catania e quella di Reggio Calabria — che tentano di ricostruire chi c’è, oltre ai boss di Cosa Nostra, dietro i massacri dell’estate siciliana del 1992. E anche dietro molti altri delitti importanti degli anni Ottanta. Ora, con le nuove rivelazioni di Giovanna Galatolo, la posizione dell’ex poliziotto è diventata sempre più complicata. Questa donna è la depositaria di tutti i segreti del suo clan, per ordine del padre faceva la serva ai mafiosi, cucinava, stirava, spesso lavava anche gli abiti sporchi di sangue, sentiva tutto quello che dicevano, vedeva entrare e uscire dalla sua casa i boss. E anche Giovanni Aiello. Giovanna Galatolo parla pure del fallito attentato dell’Addaura, 56 candelotti di dinamite che il 21 giugno del 1989 dovevano far saltare in aria Giovanni Falcone sugli scogli davanti alla sua villa. Erano appostati lì gli uomini della sua famiglia, i Galatolo. C’era anche Giovanni Aiello? E «faccia da mostro» è coinvolto nell’uccisione di Nino Agostino, il poliziotto assassinato neanche due mesi dopo il fallito attentato dell’Addaura — il 5 agosto — insieme alla moglie Ida? Il padre di Nino Agostino ha sempre raccontato che «un uomo con la faccia da cavallo» aveva cercato suo figlio pochi giorni prima del delitto. Era ancora Giovanni Aiello? La sua presenza è stata segnalata sui luoghi di tanti altri omicidi palermitani. Tutti addebitati ai Galatolo e ai Madonia.
Lui, l’ex agente della sezione antirapine (quando il capo della Mobile era quel Bruno Contrada condannato per i suoi legami con la Cupola) ha sempre respinto naturalmente ogni accusa, affermando anche di non avere più messo piede in Sicilia dal 1976, anno nel quale si è congedato dalla polizia. Una dichiarazione che si è trasformata in un passo falso. Qualche mese fa la sua casa di Montauro in provincia di Catanzaro — dove Giovanni Aiello è ufficialmente residente — è stata perquisita e gli hanno trovato biglietti recenti del traghetto che da Villa San Giovanni porta a Messina, appunti in codice, lettere, titoli per 600 milioni di vecchie lire, articoli di quotidiani che riportavano notizie su boss come Bernardo Provenzano e su indagini del pool antimafia palermitano, assegni. Dopo quella perquisizione, gli hanno notificato a casa un ordine di comparizione per il confronto con la Galatolo, ha accettato presentandosi con il suo avvocato.
Il riconoscimento di Giovanni Aiello segue di molti anni le confidenze di un mafioso al colonnello dei carabinieri Michele Riccio. Il confidente si chiamava Luigi Ilardo e disse: «Noi sapevamo che c’era un agente a Palermo che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro». Era il 1996. Poco dopo quelle rivelazioni Luigi Ilardo — tradito da qualcuno che era a conoscenza del suo rapporto con il colonnello dei carabinieri — fu ucciso. Anche lui parlava di Giovanni Aiello? Le confessioni della Galatolo stanno aprendo una ferita dentro la Cosa Nostra palermitana. Non solo misteri di Stato e connivenze ma anche un terremoto all’interno di quel che rimane delle famiglie storiche della mafia siciliana. «Come donna e come persona non posso essere costretta a stare con uomini indegni, voglio essere libera e non appartenere più a quel mondo, per questo ho deciso di dire tutto quello che so», così è cominciata la “liberazione” di Giovanna Galatolo che una mattina dell’autunno del 2013 si è presentata al piantone della questura di Palermo con una borsa in mano. Ha chiesto subito di incontrare un magistrato: «Ho 48 anni e la mia vita è solo mia, non me la possono organizzare loro». Del suo passato, la donna ha portato con sé solo la figlia.
Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo, la Repubblica 9/6/2014