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 2014  giugno 08 Domenica calendario

AUMENTO DI CAPITALE, GLI ULTIMI SEGRETI DI MPS


A scorrere le 510 pagine del prospetto dell’aumento di capitale da 5 miliardi di Monte dei Paschi di Siena che partirà domani, l’operazione a tratti sembra una mission impossible.
Solo che il protagonista non è Tom Cruise ma una banca che negli ultimi anni ha attraversato una fase tempestosa.
L’acquisto di Antonveneta, tra il 2007 e il 2008, a un prezzo fuori da ogni logica finanziaria e alcune operazioni spregiudicate con derivati dal nome esotico di Alexandria e Santorini, risalenti all’epoca del presidente Giuseppe Mussari, hanno pesato come sui conti, spingendo l’istituto di credito ad alzare bandiera bianca e invocare l’aiuto di Stato nel 2012, arrivato nella forma di 4 miliardi di obbligazioni chiamate Monti bond. Che ora, con l’aumento di capitale, la banca intende rimborsare per un valore nominale di 3 miliardi più i salati interessi (225 milioni solo da gennaio a luglio 2014). Garantisce il buon esito dell’iniezione di capitali un gruppo di istituti di credito capitanati dall’Ubs di Sergio Ermotti, storico amico del presidente di Mps, Alessandro Profumo.
Ma non è detto che tutto fili liscio. “Nonostante sia previsto un impegno da parte dei garanti a sottoscrivere l’aumento - riporta il prospetto - qualora tale impegno dovesse venir meno per qualsiasi ragione, l’aumento potrebbe risultare eseguito solo in parte, comportando l’impossibilità di procedere al rimborso” dei Monti bond “nei termini assunti nell’ambito del piano di ristrutturazione” autorizzato dalla Commissione europea. Lo scenario estremo vedrebbe Mps pagare lo Stato non in contanti ma con la conversione in azioni di tutte le obbligazioni da 4 miliardi, circostanza che porterebbe il Tesoro dritto nel capitale con una maxi quota tra il 91 e il 77 per cento, a seconda del prezzo dei titoli. Se invece il gruppo senese dovesse riuscire, con l’aumento di capitale, a rimborsare i 3 miliardi nominali di Monti bond ma poi non fosse più in grado di restituire gli altri 1,071 miliardi, il ministero dell’Economia diventerebbe socio tra il 16 e il 18 per cento.
Il prospetto lascia, inoltre, intendere che le operazioni Alexandria e Santorini, che hanno avuto come controparti iniziali rispettivamente la giapponese Nomura e la tedesca Deutsche Bank, sono contabilizzate a bilancio nel modo più vantaggioso per la banca, cioè non secondo la classificazione di derivati “sintetici” (complessi). Ma “la modalità di rappresentazione contabile è all’attenzione degli organismi competenti”, che “non si può escludere che forniscano indicazioni diverse, con possibili effetti negativi sulla situazione economica, patrimoniale e/o finanziaria”. Nel marzo 2013, Mps ha avviato due giudizi risarcitori dinanzi al Tribunale di Firenze nei confronti sia di Nomura sia di Deutsche Bank, con la quale però a dicembre ha raggiunto un accordo che ha sancito la chiusura “transattiva” dell’operazione Santorini.
Oltre ad Alexandria e Santorini, sui conti di Mps pesa anche “Chianti Classico”, un’articolata operazione immobiliare che lo scorso dicembre ha comportato per la banca il riacquisto di obbligazioni complesse che erano state vendute al grande pubblico. Dopo che nel 2013 è già costata 300 milioni, ora Chianti Classico potrebbe presentare un nuovo conto dello stesso importo legato a verifiche fiscali in corso. Una bella sbornia per il bilancio della banca guidata dall’amministratore delegato Fabrizio Viola.
Viola, si legge nel prospetto, a causa degli impegni presi con la Commissione Ue, si è visto ridurre lo stipendio dai 3,5 milioni annui previsti dal suo contratto (stipulato nel 2012, quando già la banca non navigava in acque limpide) a 500 mila euro. Fortuna che Mps gli ha garantito, con il nome di “importo transattivo”, un premio di consolazione da 1,2 milioni in caso di “sottoscrizione di impegni vincolanti relativi all’aumento di capitale” oppure se la banca dovesse convertire in azioni i Monti bond. Non male come salvagente. Per Viola, naturalmente.

Margherita Barbero, Il Fatto Quotidiano 8/6/2014