Giorgio Meletti, Il Fatto Quotidiano 8/6/2014, 8 giugno 2014
“IO LA CONSULENZA GLIEL’HO TOLTA”
[Intervista a Mauro Fabris] –
Se lei vuol parlare di tangenti parliamone, però prima le dico la cosa più preoccupante: lo Stato sta spendendo 5,5 miliardi di euro per un’opera unica ma non è in grado di rivendersela in giro per il mondo perché non ha proprietà del know how e dei brevetti che ha finanziato. Le pare poco?”. Mauro Fabris, ex parlamentare mastelliano, ex sottosegretario ai Lavori pubblici, è da un anno presidente del Consorzio Venezia Nuova. Lo hanno chiamato a sostituire Giovanni Mazzacurati, per decenni padre-padrone del progetto Mose (“Ma non lo avevano ancora arrestato,sapevochela situazione era grave, ma non così tanto”).
Scusi, ma di chi sono i brevetti pagati da Pantalone?
I vari pezzi delle ditte che li hanno sviluppati, il sistema nel suo complesso di nessuno. Il consorzio è nato con aziende in maggioranza pubbliche,poi il Mose è stato privatizzato.
Non si può neppure commissariare.
No. E le dico, magari potessero. Io comunque ho un solo obiettivo: finire l’opera, la cui utilità è stata riconosciuta dallo stesso procuratore Carlo Nordio. E poi chiudere baracca. Stiamo rispettando tempi, costi e anche l’ambiente. A dispetto degli ecologisti gufi, come si usa dire,quest’anno sono tornati quattromila fenicotteri in laguna. Il governo poi prenda le sue decisioni, noi saremo sempre d’accordo.
Piergiorgio Baita, ex capo della Mantovani (che ha il 43 per cento di Venezia Nuova), arrestato l’anno scorso e già fuori dallo scandalo perché ha patteggiato, parla di imprese concusse dal Consorzio, che avrebbe succhiato un miliardo per le sue spese. Non voglio discutere con Baita. Al consorzio spetta il 12 per cento dell’importo dell’opera, più un’altra piccola retrocessione concordata con le imprese negli anni passati. In tutto fanno circa 700 milioni in 30 anni.
E le tangenti sono uscite da questo gruzzolo?
Quando mi sono insediato ho chiesto una due diligence. Poi anche i magistrati sono venuti a setacciare tutto. È tutto formalmente a posto, anche se i magistrati hanno scoperto cose che segnano una distanza tra forma e sostanza. Quello che ho notato è una certa generosità con la città di Venezia, dove ora tutti cadono dalle nuvole.
Lo dica in cifre.
I dipendenti di Venezia Nuova erano 180 e adesso sono 120. La struttura costava 30 milioni all’anno e adesso ne costa 20. Naturalmente ho provocato forti malumori. Ho azzerato le cosiddette liberalità, milioni di euro a pioggia sulla città.
Come una Fondazione bancaria. Ecco perché dicono che ha fatto arrabbiare l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola.
Purtroppo ho dovuto tagliare i 400 mila euro che ogni anno il Consorzio regalava al Marcianum, il cosiddetto polo-pedagogico che fondò da Patriarca di Venezia. Il presidente è Gabriele Galateri, presidente anche delle Assicurazioni Generali. Gente forte. Ma ho tagliato tante regalie, quella alle Orsoline, quella alla casa del clero... Io sono un buon cattolico e adesso ho paura di andare all’inferno.
L’ha pensato da solo o ha ricevuto segnali in tal senso?
Ho cominciato a temerlo dopo l’arrabbiatura del Patriarca attuale, Francesco Moraglia.
Confessi. Quanto altro dolore ha provocato?
Ho tolto i finanziamenti al teatro La Fenice, ho più che dimezzato le consulenze, costavano 6-7 milioni l’anno.
C’era anche Marco Milanese, braccio destro di Tremonti?
Ho tagliato anche lui.
Anche lei aveva una consulenza.
Attraverso la società di cui è azionista mia moglie facevo consulenza per Mazzacurati, l’ho eliminata il giorno stesso della mia nomina a presidente.
Anche lei ha avuto il suo dolore.
Piccolo, 120 mila euro l’anno. Mi ha fatto più male scoprire che erano stati versati 2 milioni al comune per l’America’s Cup.
Il sindaco Orsoni è appassionato di vela.
Sì, al punto che doveva fare le regate per due anni di seguito, e qui hanno fatto contratti per due anni. Poi l’America’s Cup è andata a Napoli e a me sono arrivati i decreti ingiuntivi di chi aspettava il contributo.
Torniamo alla teoria delle aziende concusse dal Consorzio, come se fosse un carrozzone politico. Ma a lei chi l’ha chiamata per fare il presidente?
Le aziende del Consorzio, è ovvio, sono loro le padrone. E non mostravano spirito di rivalsa verso una struttura opprimente. Il problema semmai era la conflittualità tra loro, e hanno chiamato me e il direttore generale Hermes Redi perché conoscevamo bene questa realtà. Non hanno fatto una piega di fronte alle le mie condizioni.
Quali?
Basta con le mance alla città. E poi la più importante: il Consorzio si sciolga quando sarà finito il Mose. Qualcuno voleva restare a Venezia per l’eternità, per gestione e manutenzione delle dighe mobili. La mia risposta è che ogni euro risparmiato con i miei tagli, visto che non possiamo distribuire utili, torna allo Stato. A fine corsa conto di restituire 40 milioni.
Giorgio Meletti, Il Fatto Quotidiano 8/6/2014