Stefano Salis, Il Sole 24 Ore 8/6/2014, 8 giugno 2014
IL CENT DA 10 MILIONI $
Questa storia sa di favola, è una specie di sceneggiatura, ma di quelle scritte bene; una caterva di sorprese, con i buoni e i cattivi, colpi di scena, ritorni di fiamma, personaggi poetici e investitori senza scrupoli, guerre e ripicche, ricconi sfortunati e milionari furbastri, e donne del mistero e impostori e millantatori... Questa storia ha un protagonista assoluto e molti comprimari a girargli intorno, comparse, re e villani, tutti alla corte di un innocuo, sgraziato e povero... pezzo di carta ottagonale di 29x26 millimetri. Chi è? Ve lo presento subito e per molti di voi basteranno le 5 indissolubili parole: «British Guiana One Cent Magenta»; sì, il francobollo più raro, costoso, unico, ricercato e avventuroso del mondo.
E, naturalmente, questa storia inizia con un c’era una volta... Quella volta era il 1856. La Guiana britannica è la classica colonia d’Oltremare, rum e zucchero, colori e palme, capitale Georgetown, distretto di Demerara (non sono inutili pedanterie, vedrete). A quell’epoca è già nota in ambito filatelico e lo sarà sempre di più. Non sono poche, infatti, le rarità che ha "concesso" ai collezionisti, a partire dai bizzarri francobolli a "rocchetto di cotone", più o meno circolari, emessi nei primi anni della sua storia postale. Perciò, insomma, questa storia ha pure un preambolo. Nel 1854 i bolli per posta e giornali stanno per finire, nella nostra placida Guiana. Vengono stampati a Londra e riforniti via mare: parte l’ordine, ma di bolli, due anni dopo, nemmeno l’ombra: non è che la Guiana sia in cima ai pensieri della madrepatria. Il direttore delle poste decide quindi di fare in casa, chiedendo permesso al Governatore e aiuto allo stampatore della gazzetta locale. E nascono così questi bolli quadrati, molto, molto, modesti: valore facciale uno o quattro centesimi, quattro come i colori base, un galeone al centro, il motto della colonia. Non piacciono a nessuno, ma qualcosa si deve pur usare. E sia, allora, usiamoli! Manco a farlo apposta, la nave con il rifornimento dei bolli attracca in porto ai primi di aprile, uno o due giorni dopo che l’emissione provvisoria ha ricevuto il via libera. Talmente brutti e inconsueti erano quei pezzetti di sottile carta, che il direttore delle poste dà ordine ai suoi sottoposti di fiducia di firmare ogni singolo pezzo, a ulteriore garanzia di autenticità. Il 4 aprile 1856, un francobollo da un centesimo, color magenta, siglato da E(dmund) D(alzell) W(ight), viene annullato con il timbro del distretto di Demerara. È affrancato su una lettera destinata a Andrew Hunter. I francobolli provvisori sono ritirati e distrutti il giorno dopo, ma il nostro One Cent ha iniziato il suo viaggio verso il futuro.
Sta a casa di Hunter, in un cassetto, fino al 1873, quando suo nipote, collezionista di francobolli in erba, tale Vernon Vaughan lo trova, lo ritaglia e mette nel suo album. Qualche tempo dopo, decide di venderlo a Neil McKinnon che lo terrà per cinque anni. Intanto, l’esistenza di quell’unico esemplare viaggiato, di quell’emissione provvisoria, di quella remota colonia britannica già nota per i bolli, non passa inosservata ai filatelici e comincia a far rumore. E, sempre venduto a prezzi crescenti, arriva inevitabilmente nelle mani di Philippe de la Rénotière de Ferrari, il più importante collezionista di francobolli di sempre. Che lo compra nel 1878 e lo tiene fino alla sua morte, nel 1917. Ma, nel 1922, il One Cent va all’asta: la collezione de Ferrari – in quel momento di proprietà dello stato francese come ricompensa di guerra (pensa te) – viene dispersa. Qualcosa come 200mila francobolli, venduti in 4 anni (!) da Drouot. Il 6 aprile 1922 è il turno del magenta. È record, come sempre ogni volta che cambia proprietario: tra i contendenti, in asta, ci sarebbe anche re Giorgio d’Inghilterra (è l’unico francobollo che manca alla collezione dei reali inglesi; ed è la Royal Philatelic Society ad attestarne l’autenticità), che però non vuole oltrepassare la cifra di 30mila dollari di allora. Ma il vincitore dell’asta, Hugo Griebert, non si gode la vittoria. Il giorno dopo, il magnate dell’industria Arthur Hind, pure presente all’asta sebbene non sia collezionista, lo porta a fare una passeggiata, al termine della quale, con un’offerta di 60 mila dollari, intasca il francobollo. Hind lo custodisce fino al 1933. Nel tempo del suo possesso – storia troppo bella, mai verificata – un anonimo lo contatta. «Ho un altro One Cent!». I due si incontrano e Hind glielo compra, per una cifra considerevole. Poi, davanti alla faccia allibita del venditore, si accende un sigaro. Brucia il "nuovo" francobollo ed esclama: «C’è un solo British Guiana One Cent Magenta». Ecco le prime pagine dei giornali, da «Time» in giù, ogni volta che lo si vende. La vedova di Hind, dopo mille peripezie legali, riesce a dimostrare che il bollo ora è suo. Anche lei lo cede, a un ingegnere, F.T. Small, che lo compra solo per specularci. E per speculazione lo compra, nel 1970, la cordata di filatelici che fa capo a Irwin Weinberg. Sarà costui, con tanto di scenografica valigetta ammanettata al polso con dentro il prezioso One Cent, a esporlo in giro per il mondo, facendo della filatelia (anche) uno show. E sarà lui, che lo aveva comprato per 280 mila dollari, a rivenderlo, nel 1980 al miliardario John E. du Pont, erede dell’impero chimico (al momento dell’acquisto si firmerà Rae Mader, anagramma di Demerara), per 935 mila dollari. Du Pont lo espone, una notte (trova la banca chiusa) dorme con il francobollo sotto il cuscino, poi finisce in cella, una storiaccia, lasciamo perdere, muore...
Questa storia, però, non è una sceneggiatura. È, naturalmente, realtà. E questa storia non è nemmeno finita qui. Chissà quali sorprese riserverà.Perché il 17, nelle sale di Sotheby’s a New York, ecco che il mitico e solo British Guiana One Cent Magenta, stavolta periziato e studiato con infrarossi e altre diavolerie tecnologiche, torna sul mercato. Quotazione minima, 10 milioni di dollari. Molti? Troppi? È l’unico esemplare esistente, il santo Graal della filatelia, la Monna Lisa dei francobolli. Se fosse venduto (e pare non esserci dubbio), aprirà un altro capitolo del suo viaggio terreno e racconterà ancora episodi succosi. Come scrivono gli americani alla fine di un episodio: to be continued. A suon di milioni, a suon di emozioni.
Stefano Salis, Il Sole 24 Ore 8/6/2014