Lorenzo Tomasin, Il Sole 24 Ore 8/6/2014, 8 giugno 2014
IN GIRO PER L’ITALIA DEI DIALETTI
Due professori di filologia romanza, a Berna e a Zurigo, due giovani allievi desiderosi di viaggiare e innamorati di un’Italia, quella degli anni Venti del Novecento, ancora agricola, popolare, arcaica. Custode di storie e tradizioni antichissime che affioravano sulle labbra dialettofone di milioni di contadine e contadini. La lunga vicenda che portò alla pubblicazione, tra il 1928 e il 1940 dell’Atlante linguistico dell’Italia e della Svizzera meridionale non è interessante solo per linguisti ed etnologi: è una pagina della storia italiana quasi irrecuperabile con altri mezzi.
Un secolo fa, i filologi svizzeri Karl Jaberg e Jakob Jud concepirono il progetto di un atlante linguistico dell’Italia dialettale. Nel giro di qualche anno, i due individuano nei loro allievi Paul Scheuermeier e Gerhard Rohlfs le persone più adatte all’impresa. Zaino in spalla (si trattava di arrivare fino a località sperdute), i due partono armati di quaderni, penne e di una macchina fotografica. L’idea di base, semplificando al massimo: si attraversa il territorio intervistando i parlanti dialettali – con preferenza per quelli meno colti e più "sinceri" – chiedendo loro come si chiamano le cose del vivere quotidiano: dal lessico familiare alla natura, dal lavoro dei campi all’allevamento, dai cibi ai vestiti, dalle malattie alla superstizione. Possibilmente, si prende visione diretta delle cose, le si fotografa o le si disegna, registrando la forma peculiare che esse hanno in ciascun luogo. E si riporta tutto su una carta geografica. Risultato: la carta trottola, tanto per dire, riporterà tutte le decine di nomi dialettali registrati per il comune gioco fanciullesco, corredati da disegni che ne illustrano le diverse forme nelle varie regioni. L’esempio non è scelto a caso, riguardando uno dei molti oggetti comuni nell’esperienza infantile fino al secolo scorso, che rischiano di risultare se non sconosciuti, almeno peregrini ai parlanti di oggi, i quali nel frattempo hanno dimenticato anche i dialetti.
Ovvio che lo stesso valga per gli arnesi della vita contadina, del cui oblìo ci si potrà fare una ragione in termini più pratici, pensando all’utilità di trattori e motozappe. Ma scoprire la varietà di nomi riservati solo un secolo fa da parlanti analfabeti alla via Lattea – della quale c’è rischio che oggi chi non ha una laurea in astronomia semplicemente ignori l’esistenza – dà la misura della distanza che ci separa da un mondo in cui quella cintura di stelle, divenuta invisibile nel chiarore delle notti postindustriali, portava nomi come la via di San Giacomo (la via t son giaku, in Piemonte) o di San Giuseppe, la Strada romana (cioè: "per Roma", in Trentino), la Via del Paradiso (Appennino tosco-emiliano), la Carrara de santu Martinu (Salento). Il risultato della ricerca di Scheuermeier e Rohlfs (cui s’aggiunse un terzo raccoglitore per la Sardegna, Max Leopold Wagner) consiste – o: consisteva, fino alle novità degli ultimi anni – in otto enormi tomi che pesano ciascuno come un bambino, per un totale di 1.705 carte più un appendice e un indice (a sua volta, un ponderoso volume). È ancora oggi la bibbia dei dialettologi – non solo italiani – e degli studiosi di etnografia e tradizioni popolari, che solo qui possono trovare ciò che la storia del Novecento ha definitivamente – e letteralmente – cancellato dalla faccia della terra.
Ma di tutto ciò al pubblico più vasto che di quell’Italia è la continuazione attuale non resterebbe praticamente nulla, se ai pesanti tomi di carta non si fossero aggiunti, da qualche tempo, anche i più agili, e universalmente accessibili, strumenti dell’informatica. L’Atlante di Jaberg e Jud (di solito chiamato Ais, atlante italo-svizzero) è infatti consultabile da qualche settimana in un sito internet, allestito in anni di lavoro da un ingegnere del Cnr di Padova, Graziano Tisato (www3.pd.istc.cnr.it/navigais-web/): grazie alla raffinata trasposizione in linea delle vecchie carte, chiunque può ora navigare alla scoperta dei nomi del fienile, della pagnotta, dell’orzaiuolo o del grillotalpa in tutti i dialetti italiani dal Canton Ticino al Canale di Sicilia. Come si chiamerà l’arcobaleno a Lucera (arkevèrgene, letteralmente «arco vergine»)? Come si diceva «fare il malocchio» a Castagneto Carducci (dare la malìa)? E il nome del calabrone a Cerea (el matonsìn)?
Non basta. Dei due più giovani raccoglitori, Rohlfs era probabilmente il più ferrato in linguistica (sarà lui, alcuni decenni dopo, a pubblicare la fondamentale Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti), ma Scheuermeier aveva una inarrivabile sensibilità di reporter. Così, durante le campagne di raccolta del materiale nell’Italia del Centro-Nord, il giovane Paul scrive un diario avvincente, raccontando avventure e disavventure e ritraendo i suoi spesso bizzarri informatori. Ma soprattutto, scatta migliaia di foto, che solo negli ultimi anni sono state raccolte in volumi relativi a singole aree regionali, e infine anch’esse caricate in un archivio on-line (6.530 foto caricate), allestito all’Università di Berna e diretto da Bruno Moretti. Vi scorre una lunga serie di oggetti desueti della vita contadina, assieme a migliaia di facce, luoghi, ambienti di un’Italia rurale ormai irriconoscibile, catturati da inquadrature nelle quali è facile cogliere il gusto artistico assieme alla passione documentaria.
Molti autoritratti, anche, in cui Scheuermeier fa immortalare i suoi dialoghi con contadini e lavandaie, durante i quali il curioso borsista svizzero (che era anche un bel ragazzo: il che, si sa, non guasta mai) conquistava la simpatia e la confidenza degli interlocutori. Quando il maestro, da Berna, gli spedisce un’assistente per aiutarlo nel lavoro, è quasi inevitabile che Paul le chieda la mano. Ma non senza essersi fatto autorizzare dal professore. Storie d’altri tempi, come quelle in bianco e nero restituite dall’obbiettivo della Hasselblad ancora oggi conservata, assieme agli scarponi lisi e induriti di Scheuermeier, a Berna, come un cimelio.
Lorenzo Tomasin, Il Sole 24 Ore 8/6/2014