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 2014  giugno 08 Domenica calendario

KIEV E MOSCA, ORA LA SFIDA È RIPARTIRE


ODESSA.
Si ritrovano la domenica mattina, in cima alla scalinata Potëmkin. Dopo un po’ partono in auto, con le bandiere giallo-azzurre dell’Ucraina ai finestrini. Qualche moto si accoda, una signora alza il pollice e dice "urrà". Sono pochi.
Dall’altra parte della città, il fronte opposto ha il suo sacrario a Kulikovo Pole, il Palazzo dei sindacati ancora nero dell’incendio in cui il 2 maggio una violenza orchestrata da fuori - ne sono tutti convinti - si è impadronita anche di Odessa. Nelle fiamme sono morti in 48, "odessiti" ma simpatizzanti per Mosca. Tra i lumini, qualcuno alza un tricolore russo.
In realtà a Odessa, modello di quello che vorrebbe essere l’Ucraina, le linee della divisione in due campi, pro-Mosca e pro-Kiev, sono più sfumate. «Quello che è successo per noi è stato uno shock - dice Aleksandr Voloshin, studente di ingegneria -. Odessa è una città neutrale. Cerchiamo sempre la via di mezzo, il compromesso». «Qui abbiamo tutti amici o parenti russi - aggiunge Jurij, insegnante di educazione fisica costretto da uno stipendio troppo basso a diventare autista -. Io, per esempio, non sto né da una parte né dall’altra, non voglio l’annessione alla Russia ma neppure essere depredato da quelli di Kiev. Vogliamo solo vivere in pace, e lavorare».
«Multilingue, orgogliosa del suo passato multiculturale, a proprio agio con la cultura russa ma felice di stare fuori dalla Russia», così lo storico Charles King descrive Odessa. In questa città ucraina che parla soltanto russo senza darci peso, il legame è innegabile: fu Caterina II a volere Odessa, cugina meridionale di Pietroburgo, per dare uno sbocco al mare all’espansione dell’Impero degli Zar.
E un porto è abituato a veder incrociare le razze attorno a sé: dopo la grandezza della prima metà ’800 - Odessa porto franco esportatore del grano russo - il declino ha segnato la bellezza triste dei palazzi del centro, ma non ha mai spezzato - neppure con l’indipendenza - un filo diretto tra le due economie. Grano e petrolio, metà dei commerci che attraversano Odessa sono ancora legati alla Russia. Per questo la crisi con Mosca può colpire duramente in città: «La situazione è pesante - spiega Marco Sartori, imprenditore immobiliare milanese qui dal 2006 -, l’Ucraina subisce questa battaglia tra due fazioni opposte, e l’incertezza incide sull’economia». Mentre Odessa «è una città che aveva voglia di fare di tutto tranne che la guerra». E ora questo mercato, che prima della crisi attirava per le potenzialità nel settore alberghiero, commerciale, degli uffici, si ritrova con i cantieri bloccati: «Soffriamo per l’incertezza che ha intimorito gli investitori, sono preoccupati», ammette Sartori. L’altra grande risorsa è il turismo. «Dopo l’annessione della Crimea alla Russia - dice Aleksandr Voloshin - speravamo di attirare noi più turisti dal resto del Paese. Ma ora ci preoccupiamo che non vengano proprio più».
Come sopravvive un’economia in conflitto con l’economia da cui dipende? Odessa è l’emblema dell’intero Paese. «Ma davvero abbiamo creduto che in questa situazione le compagnie statali russe non avrebbero cancellato gli ordini? - si meraviglia a Kiev Oleg Ustenko, direttore del Centro di economia mondiale e relazioni internazionali dell’Accademia delle Scienze ucraina - bisogna essere realisti!». I suoi calcoli parlano chiaro: «Metà del nostro Pil dipende dall’export, che va in Russia per il 25%. Significa che il 12,5% della nostra economia dipende da Mosca. E tra gennaio e marzo, le esportazioni in Russia sono crollate del 30%».
L’Ucraina fornisce i tubi per i gasdotti russi, i vagoni per le Ferrovie di Stato. Metalli, prodotti chimici, grano, ma anche più alto valore aggiunto: macchinari che la Russia acquista per il 75% dell’export, né potrebbero avere altri sbocchi. «Le autorità qui dicono che vogliono proibire la vendita di produzioni militari alla Russia - dice il politologo Mikhail Pogrebinsky - ma anche se in cambio la Nato si offrisse di comprare buona parte della nostra produzione, non sarebbe compatibile con i loro standard tecnici, gli aerei e gli elicotteri. Nessuno comprerebbe».
Un vicolo cieco. Perché oltre a cancellare gli ordini, la Russia ha alzato un muro di barriere tariffarie, requisiti tecnici, cambiamenti normativi che si traducono in code infinite di camion alla dogana, giorni di attesa che magari possono essere sostenibili per una grossa compagnia di acciaio o mobili, ma non da un piccolo commerciante di frutta e verdura. «In Europa - osserva Ustenko - dite che aprirete i confini per noi, per compensare. Scherzate? Nei calcoli di Bruxelles, l’Ucraina potrebbe aumentare le esportazioni in Europa di 1-2 miliardi di dollari, da qui a fine anno. Noi siamo grati, ma non è niente: perdendo il mercato russo - export per 20-25 miliardi - perdiamo molto di più».
La via d’uscita, sostiene l’economista, «sta in noi, il problema sta in Ucraina. Per esportare in Europa, sfortunatamente per noi, devi essere all’altezza degli standard europei». Ma il business ucraino non ha mai scommesso sul Paese, investendo in patria il minimo indispensabile per mantenere in vita le compagnie. Il resto, all’estero. «Ecco perché abbiamo un settore metallurgico o chimico così antiquati», dice Ustenko. Che però si mette nei panni degli oligarchi ucraini: con qualunque governo, in 23 anni di indipendenza, l’Ucraina è sempre stata inospitale per gli investimenti. «Se non siamo noi a fare i compiti, nessuno li farà al nostro posto. Serve un cambiamento radicale: lottare contro la corruzione, ridurre le barriere amministrative al business». E poi affrontare il problema del Sud-Est in fiamme, dove presto o tardi le imprese senza più contratti saranno costrette a licenziare. «Bisogna negoziare la fine delle operazioni militari. Smetterla di parlare e basta: non siamo la Russia, non abbiamo gas o petrolio, fare giochetti tra Russia e Stati Uniti ed Europa non ci porterà a nulla. Siamo noi che dobbiamo fare i compiti, e questo è il messaggio che passerò al nuovo governo».
Il nuovo governo, il nuovo presidente Petro Poroshenko che si è insediato ieri a Kiev. Gli hanno dato fiducia: «È uno razionale - nota Pogrebinsky - deve per forza trovare un accordo con l’Est, con Mosca e Berlino, e ascoltare gli americani. Piano piano, riuscirà a riavere soldi e ordini dalla Russia, e anche aiuti dal Fondo monetario». Sembra l’Ucraina pragmatica di Odessa dove Vadim, ingegnere in pensione, guarda le finestre bruciate di Kulikovo Pole e propone la sua terza via: «La gente di Odessa non vuole dividere l’Ucraina o andare con la Russia. Ma vuole un’Ucraina che della Russia sia amica».

Antonella Scott, Il Sole 24 Ore 8/6/2014