Giangiorgio Satragni, La Stampa 8/6/2014, 8 giugno 2014
SE IL CONCERTO SI BEVE COME UN APERITIVO
Il mondo cambia, e con esso anche un poco il concerto classico, che non muta i suoi alti contenuti, bensì inizia a modificare lo stile. L’Europa è più avanti, l’Italia mostra qualche timido segnale, eppure la battaglia è comune: togliere gradualmente alcuni caratteri di ritualità e far capire che la musica colta può esser fruita da tutti, attraendo nuovo pubblico. Una delle maniere più semplici è l’introduzione parlata avanti il concerto, da affiancare al testo del programma di sala: all’estero è ormai prassi, nel foyer o in una saletta a parte, in Italia avviene direttamente sul palco. Lentamente anche qui gli artisti prendono la parola e spiegano la musica: in Germania, invece, si tengono concerti-colloquio o concerti raccontati, dove i pezzi sono via via introdotti da un musicologo o dagli esecutori. Il Konzerthaus di Berlino offre un’ulteriore variante: un incontro con gli esecutori dopo il concerto, senza contare che è ormai abitudine internazionale, da noi invece rara, che gli artisti firmino autografi al termine della serata.
Con l’abbinamento della musica al cibo il tempo dei suoni si accorcia: in genere sono concerti che superano di poco l’ora, hanno luogo senza intervallo e sono abbinati ad aperitivi, lunch o brunch. L’orario muta in funzione gastronomica, le vettovaglie sono comprese nel biglietto, come all’Unione Musicale di Torino, ma altrove no, come per il Lunchkonzerte dei Berliner Philharmoniker. Vi sono poi casi in cui la nuova formula interagisce con i contenuti: è la musica lounge che s’incrocia alla programmazione di una serata. Può essere fruita prima o nell’intervallo, come per RaiNuovaMusica a Torino, oppure dopo: accade così alla Tonhalle di Zurigo o per una serie speciale del Deutsches Symphonie-Orchester a Berlino, ovvero i Casual Concerts, con biglietto unico ed economico, scelta libera del posto, orario più tardo e dj set dopo la musica sinfonica. L’inizio ritardato catturerebbe anche da noi il popolo della notte, già accade in un festival plutocratico come quello di Lucerna alle 22.30.
Un maniera di coinvolgere dall’interno gli ascoltatori è farli cantare con i professionisti: è decisamente un’abitudine nordica o americana. Gli amatori preparano i brani a lungo e separatamente, ma con lo stesso maestro del coro professionista, cui si uniscono in seguito nelle prove regolamentari e nel concerto: un campione di questa formula, e anzi di per sé, è Simon Halsey, sommo direttore dell’altrettanto sommo Rundfunkchor Berlin.
Non mancano poi concerti per determinate fasce di pubblico, ovvero le famiglie con bambini piccoli, cui vengono dedicati programmi di minor durata, a volte estrapolati dal cartellone principale, come all’Accademia di Santa Cecilia a Roma. Ma non di rado sono gli stessi bambini a esser parte o realizzare in tutto il concerto o lo spettacolo, come accade al Regio di Torino. Esistono poi luoghi alternativi in cui portare la classica, specie nei musei, facendo anche interagire la musica con l’arte: a Berlino la Staatsoper colloca i suoi Lunchkonzerte nel blasonato Bode-Museum, l’associazione Rive-Gauche di Torino ha portato nuove musiche tra i dipinti della Gam. Un capitolo a sé è quello del look, che in alcuni casi è una ribellione all’ingessamento nell’abito da sera: le violiniste Viktoria Mullova e Patricia Kopacinskaja sono arrivate a suonare scalze.
Giangiorgio Satragni, La Stampa 8/6/2014