Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 08 Domenica calendario

GERHARD RICHTER


BASILEA
«L’arte è un aspetto della ricerca della grazia da parte dell’uomo: la sua estasi a volte, quando in parte riesce; la sua rabbia e agonia, quando a volte fallisce» (G. Bateson, Stile, grazia e informazione ).
L’affermazione costituisce l’emblema della grande retrospettiva di Gerhard Richter alla Fondazione Beyeler di Basilea, a cura di Hans Ulrich Obrist, fino al 7 settembre. Sessant’anni di attività pittorica dell’artista tedesco, nato a Dresda (nel 1932) e residente a Düsseldorf.
Il percorso espositivo muove da diversi gruppi di opere: da Otto infermiere tirocinanti del 1966 fino a 1-8 Oktober 1-977 del 1988, da Annunciazione secondo Tiziano del 1973 o S. con bambino del 1995. Lavori diversi, ma perenne in Richter è l’attenzione verso la processualità dell’opera giocata tra momento analitico e quello sintetico del risultato raggiunto. Tra ciclo, serialità, singolarità dell’opera, citazione deviata, sconfinamento nell’architettura: l’artista si muove nel perenne conflitto tra distruzione e creazione delle forme.
Chiara è l’estasi che prende innanzitutto l’artista, quello stato particolare e necessario affinché egli possa portare il travestimento dell’immagine nella condizione della epifania. È un’immagine spesso sottratta al flusso della cronaca – basta pensare al ciclo sulla banda Baader Meinhof – e rielaborata nello spazio dell’arte. La nuova figura è portatrice di uno scompenso tra interno ed esterno, nella sua differenza produce uno stato d’estasi che modifica la relazione con la realtà. Infatti l’arte possiede una sua natura che la porta a correggere il gesto prorompente dell’apparizione e a stabilire un rapporto di socializzante contemplazione.
La forma è il tramite della correzione di rotta. Esiste un’inerzia contro cui l’arte si arma, una serenità della comunicazione che essa tende ad alterare mediante uno stato di turbolenza. Richter introduce – contro ogni aspettativa – un elemento allarmante. L’immagine è il perturbante, ciò che determina il segnale di un allarme che attraversa tutto il linguaggio e l’immaginario collettivo.
Quello dell’artista tedesco è illustrato in maniera alterna sia con uno stile figurativo fino al fotorealismo sia con uno stile astratto fino alla smaterializzazione del colore, sempre con un rimando sistematico allo spazio esterno, l’architettura che accoglie l’opera come in Foresta del 2005 e in Cage del 2006.
L’oscillazione tra serialità della immagine e citazione, affermativa sempre di una differenza, è la prova di una coscienza politica dell’artista, consapevole di vivere in una società postindustriale che opera sulla divisione del lavoro, la riproduzione e la moltiplicazione. Sistematica è l’affermazione del ruolo dell’artista che si confronta sempre con la storia, anche quella dell’arte come nel caso di Tiziano, creando un corto circuito tra tempo presente e passato sulla soglia di un figurabile capace di contenere riconoscibilità del soggetto e una felice precarietà dell’astrazione.
Perché l’arte non sopporta l’indifferenza, la distrazione di uno sguardo che si pone in una condizione inerte. Perciò la figura introduce sempre la bellezza che, come dice Leon Battista Alberti, è una forma di difesa. Difesa dall’inerzia del quotidiano e dalla possibilità di scacco da parte di sguardi indifferenti che non restano abbagliati alla sua apparizione. La sorpresa, la proverbiale eccentricità dell’arte, sono i movimenti tattici di una strategia rivolta a consolidare la differenza dell’immagine artistica dalle altre.
«Io domando all’arte di farmi sfuggire dalla società degli uomini per introdurmi in un’altra società» (C. Lévi-Strauss). Questo in Richter non è un desiderio di evasione, un tentativo di sfuggire la realtà, bensì il bisogno di introdursi in un altro spazio, di allargare un varco che normalmente sembra precluso. L’arte corregge la vista corta e introduce una sguardo non più frontale, ma lungo e differenziato, lo s guardo curvo.
Con gli Specchi degli anni Novanta, l’artista apre sempre più l’opera verso l’esterno, capace di riflettere il mondo con l’invito al pubblico di diventare attore scorrevole sulle superfici di vetro che costituiscono i materiali costruttivi. Lo confermano le lastre di vetro di 1-2 Schelben (Reihe) che riprendono la sua preferenza cromatica verso il grigio e superano la struggente produzione del ciclo Candele. Anche la fotografia digitale, con particolari ingranditi al computer, testimonia l’analisi sistematica dell’artista nella sua lunga avventura creativa. L’articolato impiego della pittura conferma la volontà di Richter di mantenere l’opera ancorata al suo sistema linguistico, al suo istinto di relazione garantito dall’etica del processo creativo. In definitiva la mostra illustra in maniera lampante la profonda coscienza metalinguistica dell’artista, la consapevolezza di una soglia invalicabile in cui si confrontano la realtà della vita e la controrealtà dell’arte.

Achille Bonito Oliva, la Repubblica 8/6/2014