Antonio Monda, la Repubblica 8/6/2014, 8 giugno 2014
“I MAESTRI DEL NULLA CERCANO LA LETTERATURA PER ESSERE CELEBRATI”
[Intervista a Geoff Dyer] –
NEW YORK
Quando Geoff Dyer scrisse Amore a Venezia. Morte a Varanasi, il mondo dell’arte contemporanea reagì stizzito per le implicite accuse di vuoto e superficialità contenute nel libro, ambientato alla Biennale di Venezia. I più distaccati parlarono di satira spietata, e ci fu chi mise il testo in parallelo con le denunce di Jean Clair su un mondo sempre più dominato dal mercato e meno interessato al valore autentico dell’arte. Dyer oggi racconta di aver voluto anche narrare il divertimento provato in un luogo dove il lusso e la superficialità hanno preso il posto della riflessione sulla bellezza e il potere catartico dell’arte. Oggi non nasconde la conferma di un giudizio severo, sul quale ritorna dopo la pubblicazione di un articolo sul Wall Street Journal in cui si parla dell’alleanza tra il mondo dell’arte con quello della letteratura, alla luce di romanzi che sempre più frequentemente vedono la presenza di opere o artisti. «È un fenomeno che avevo notato anche io» mi dice in una pausa della tournée di promozione del suo ultimo libro, intitolato Another Great Day at Sea: Life Aboard the U-SS George H. W. Bush . «E spero che non sia un rapporto poco sano: certo è che il mondo dell’arte contemporanea cerca una legittimazione che vada oltre quella con cui si autocelebra. Nel caso specifico, nego nella maniera più assoluta che scrittrici quali Claire Messud, Siri Hustvedt e Rachel Kushner possano avere avuto interessi differenti dalla propria necessità espressiva, ma è evidente che il mondo dell’arte ne abbia tratto giovamento».
In questi anni si è consolidato il rapporto tra arte e moda.
«In quel caso il rapporto è inverso: è il mondo della moda che cerca una legittimazione culturale offrendo in cambio enormi investimenti».
Ritiene che il linguaggio dell’arte possa influenzare quello della letteratura?
«Don DeLillo ha investigato il rapporto tra i due linguaggi con grande finezza. Anche Ben Lerner, in Un uomo di passaggio, contempla capolavori del Prado rielaborando Thomas Bernhard. Il dominio delle immagini ha rigenerato coloro che hanno dedicato la propria espressività alla parola, e John Fowles ha analizzato come gli scrittori assorbano dalle altre forme espressive anche sul piano intimo. Purtroppo queste riflessioni si scontrano con un mondo dell’arte gonfiato come una bolla, nel quale la qualità è marginale».
Jean Clair e Mario Vargas Llosa hanno denunciato un mondo dominato da galleristi, mercanti e critici che valorizzano un’arte fasulla e sempre più incomprensibile, in modo da avere il potere di decidere cosa vale.
«Sono totalmente d’accordo: si tratta dei nuovi sacerdoti di un rito fasullo, se non blasfemo. Ne è segno anche l’ascesa a livelli di star dei curatori, che non sono più coloro che aiutano a comprendere, ma coloro che decidono la linea. Ma anche questi sacerdoti dipendono a loro volta da chi finanzia, e ciò apre le porte a un tipo di corruzione innanzitutto intellettuale. Gli artisti stanno diventando star, e prima dell’effettivo valore quello che importa è la novità o la capacità di scioccare. Ne risulta un’arte banale e vuota che purtroppo trova molti acquirenti: credo che il punto più basso sia stato quando Tracey Emin ha rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale».
A volte si ha la sensazione che l’arte sia alla stregua di un bene di lusso.
«Purtroppo molto spesso non è altro che questo e ha successo proprio perché costosa: aumenta il proprio potere di seduzione. E come tutti i beni di lusso non è stata toccata dalla recente recessione. Un’altra cosa che mi colpisce è la recente moda delle aste: la gente assiste anche se non può permettersi di acquistare per vedere la valutazione incredibile alla quale può arrivare un’opera. Se non fosse inquietante sarebbe comico».
Ma il linguaggio può rimanere puro?
«Sempre più raramente: le pressioni di tipo economico sono sempre più forti. La tendenza è quella di cercare la sensazione, magari sperando in una censura, o una condanna dal governo o meglio ancora del Vaticano. Credo sia esemplare la scena della Grande Bellezza in cui un’artista non sa neanche spiegare cosa stia facendo, e poi quella in cui una bambina è costretta a creare un’opera di fronte a una platea volgare di finti esperti e collezionisti».
Antonio Monda, la Repubblica 8/6/2014