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 2014  giugno 08 Domenica calendario

POROSHENKO: “LA CRIMEA È NOSTRA”


MOSCA.
Riuscirà davvero quest’uomo a riportare la pace in Ucraina? La domanda restava a mezz’aria ieri mattina nell’aula della Rada, il Parlamento ucraino, mentre davanti a ospiti e invitati di tutto il mondo Petro Poroshenko, finora conosciuto soprattutto come re del cioccolato, giurava solennemente impugnando lo scettro dei Cosacchi, simbolo di potere da oltre cinquecento anni a Kiev e dintorni.
Ha parlato a lungo il nuovo presidente, il primo dell’era post rivoluzione di febbraio. Alternando l’ucraino al russo, ribadendo risaputi concetti da retorica post elettorale, aprendo qualche spiraglio a interpretazioni differenti e contraddittorie per chi cerca disperatamente tra le righe dei discorsi, perfino nell’esame dei gesti e delle espressioni facciali, di interpretare il futuro prossimo. Sotto lo sguardo degli inviati europei e americani ma anche di quello dell’ambasciatore russo, ritornato a Kiev dopo la fuga del presidente Yanukovich e la vittoria della Rivoluzione, Poroshenko ha di fatto lasciato ogni interpretazione a metà. Da una parte ha accontentato i suoi ospiti occidentali proclamando come fossero novità posizioni già note: «L’Ucraina accelererà al più presto i tempi di integrazione europea, anzi sono pronto a firmare l’accordo già il 27 giugno»; «E’ esclusa ogni soluzione di tipo federale»; «La Crimea tornerà all’Ucraina»; «I ribelli filorussi non hanno altra strada che la resa incondizionata».
Parole decise. Che hanno fatto piacere a molti in aula ma anche a quel migliaio di estremisti di destra che continuano a presidiare le barricate annerite della Majdan con criteri e mezzi militari, rifiutandosi di andarsene finché «le cose non andranno nel verso giusto». Ma in una situazione così difficile, con le truppe regolari che continuano a bombardare le città del Donbass ribelle, causando a detta dei russi, decine di vittime tra i civili, Poroshenko ha anche mostrato buon senso e realismo. Per esempio ha scelto di parlare per un ventina di minuti in russo e di annunciare imminenti elezioni amministrative per l’elezione di governatori locali. Ha offerto amnistie per tutti i combattenti ribelli disposti a cedere le armi. Ha annunciato pur genericamente una visita nell’Ucraina dell’Est: «Verrò lì con delle proposte serie ». Ma è più che sufficiente per dare fiato al clan degli ottimisti. Proprio oggi, del resto, è atteso a Kiev un inviato di Mosca, forse lo stesso ministro degli Esteri Sergej Lavrov o comunque uno dei suoi più quotati collaboratori. Sarebbe un ritorno importante dopo l’ultima tormentata missione alla vigilia del tracollo del regime e alla svolta finale.
A vedere un futuro più rosa degli ultimi mesi ci pensa perfino il Segretario di Stato Usa John Kerry, convinto che si potrebbe presto arrivare almeno a una fase di cessate-il-fuoco. Nessuno dalla parte Occidentale pensa realisticamente che la questione Crimea possa essere riaperta. Così come al Cremlino sembrano ormai rassegnati alla svolta europea della Nuova Ucraina. Ma il nodo fondamentale resta quello delle basi della Nato che Putin vedrebbe come una minaccia diretta alla Russia. Poroshenko che già nei giorni scorsi ha precisato che «la questione non é in agenda» ha accuratamente evitato di parlarne nel discorso di insediamento. Si è limitato, pare, a un distratto accenno a un «percorso atlantico da esaminare», solo nel più rilassato momento dei brindisi del dopo cerimonia.
Basterà per convincere Mosca a frenare i ribelli filorussi? E, soprattutto, quanto Putin può effettivamente controllare una situazione che tra vittime civili, profughi disperati ed eccessi dell’esercito ucraino, sembra sempre più esasperata? A Kiev si brinda e si discute sempre più animatamente. A Est si continua a sparare.

Nicola Lombardozzi, la Repubblica 8/6/2014