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 2014  giugno 06 Venerdì calendario

I MIEI RECORD IN EUROPA E IN TV (INCLUSO L’ADDIO ALLA PENSIONE...)

[Intervista a Lilli Gruber] –

ROMA. Ci sono un paio di eventi, nella vita di Dietlinde Gruber detta Lilli, cui la voce di Wikipedia non rende adeguato merito. La sua entrata trionfale all’Europarlamento, dieci anni fa. E la sua uscita asburgica, tre anni e mezzo dopo. «Presi un milione e 117.984 voti. Battei Berlusconi quanto a preferenze » ci racconta nella sua stanzetta, di una sobrietà atesina, su una strada che si affaccia sul centro di produzione di La 7. A confronto l’attuale primatista Simona Bonafè, con le 288 mila persone che hanno scritto sulla scheda il suo nome, è una principiante. D’accordo, era Lady Tg1, il volto più noto tra i volti noti dell’ammiraglia della tv pubblica («Ma quella è solo una parte della spiegazione»). Però il dato più ingiustamente dimenticato è il secondo. «Mi dimisi a sei mesi dalla scadenza del mio mandato e spiegai le ragioni pubblicamente, in una lettera aperta sul mio sito di parlamentare. Rinunciando alla pensione relativa, qualcosa come tremilatrecento euro, che non erano né sono bruscolini. Ma non mi sarebbe sembrato giusto». Nella Terra dei cachi e dei serial collector di prebende questo gesto merita, ancorché in ritardo decennale, un minuto di raccoglimento. Così, alla vigilia dello sbarco a Strasburgo della nuova leva politica nostrana, abbiamo pensato di fare una chiacchierata con una veterana che nel frattempo è tornata alla sua professione e che, da sette anni senza apparentemente dare segni di stanchezza, conduce Otto e mezzo, una delle più fortunate trasmissioni di approfondimento giornalistico.
Non vorrà sostenere che essere la faccia del principale telegiornale non l’abbia aiutata...
«Certo, ci mancherebbe. Voglio solo dire che Alessandro Cecchi Paone e Iva Zanicchi, allora notissimi, non passarono (neanche stavolta, in quella specie di eterno giorno della marmotta che è, per certi versi, il nostro Paese). Nel mio caso c’era un’idea di affidabilità, da servizio pubblico, e di apprezzamento del coraggio che gli elettori sembrarono percepire nel mio lavoro di inviata. Insomma, non basta che riconoscano il tuo volto».
Che ricordi ha di quella stagione?
«Il periodo tra Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo è stato molto interessante, faticoso e a volte noioso. Soprattutto all’inizio c’è da imparare il funzionamento di una macchina molto complessa. Mi occupai, tra gli altri, del dossier sulla guerra in Iraq e, essendoci stata come cronista, non mi bevevo certo l’idea di esportare la democrazia sulle ali dei cacciabombardieri».
Si occupò anche di immigrazione, materia terribilmente attuale. Il ministro Alfano denuncia che l’Europa ci ha abbandonati su questo terreno. È così?
«L’Europa ha avuto l’intelligenza di capire che l’immigrazione è il super-tema che ci occuperà in questi anni. Succede però che a Bruxelles sono tutti d’accordo sulle ragionevoli misure da prendere ma poi, quando tornano in patria, gli europarlamentari devono fare i conti con le convenienze elettorali e sembrano dimenticarsi tutto. Non per giustificare, ma per spiegare il perché di tanti tentennamenti».
Il fatto che il Pd sia diventato il principale partito di centrosinistra della Ue gli dà davvero una chance, come dice Renzi, di cambiare l’Europa?
«Il 40 per cento è una percentuale che lo fa contare in maniera diversa. E l’assetto uscito dalle urne dà all’Italia una credibilità inedita. Diamo finalmente l’impressione di essere un Paese con qualcuno che ha in mano il timone. Possiamo addirittura azzardarci a pronunciare la parola stabilità. La Merkel se ne rende perfettamente conto».
Sì, ma da lì a cambiare…
«L’affermazione del Front National e di altre forze euroscettiche sono più che una sveglia, un allarme rosso. E l’Unione, per prenderlo sul serio, non può che cambiare passo. Almeno un po’».
Tornando al suo mandato, lei lasciò la Rai denunciando «scarsa libertà di informazione». Ne vede di più oggi?
«Nel 2004 il berlusconismo era nella sua fase conclamata. Lanciando un servizio sulla legge Gasparri la definii legge “tanto discussa”. Qualcuno censurò la valutazione, la cancellò dal testo e io la ri-corressi a mia volta, in diretta. E fui richiamata dal direttore Clemente Mimun. C’era un clima pe sante. Adesso mi sembra migliorato, anche se i partiti sono sempre troppo influenti».
La danno periodicamente di ritorno in Rai: è così? E, in ogni caso, che consigli darebbe a Renzi per riformarla?
«La Rai è un po’ come il primo amore, ma io sto benissimo dove sto, un posto in cui godo di una libertà assoluta: grazie. Quanto ai consigli non richiesti, credo che sia urgente una seria legge di riordino del sistema radiotelevisivo. Però depotenziare la Rai senza ripensare il duopolio farebbe solo un regalo a Mediaset. Tagli, ristrutturazioni, sacrifici: tutto legittimo, ma dentro a un intervento sistematico».
Lei come si è spiegata il dilagante successo renziano?
«Intanto per il coraggio che ha avuto nel far fuori, anche con metodi impetuosi, i maggiorenti del suo partito. Poi nell’unire alla rottamazione una proposta, cosa che mancava a Grillo. Ha capito molto meglio dei suoi predecessori che il successo politico si costruisce prevalentemente in tv, dove risulta molto efficace. Quando intervistai Bill Clinton e mi dette la mano, capii tre cose: che gli piacevano le donne; che emanava empatia; che conosceva i dossier alla perfezione».
E quando l’ha stretta all’ex sindaco di Firenze, che ha capito?
«Anche lui dà l’idea di aver lavorato tanto con la sua squadra per prepararsi alla performance televisiva. È molto veloce. E ti guarda come se, in quel momento, fosse tutto per te. Sa mettersi in sintonia con l’interlocutore. Saluta i tecnici uno a uno. E ciò, in tempi di gradimenti penosi per la politica, colpisce moltissimo.

(La sera prima del nostro incontro Otto e mezzo ha fatto il record stagionale: 8,12 per cento di share, con Cacciari e Scanzi, due tra gli ospiti preferiti della Gruber, e la piddina Picierno. La media è del 5,90, pari a 1.626.000 spettatori. Capita spesso che il programma sia il più visto del palinsesto de La7. Dice la conduttrice: «Cerchiamo, con il mio braccio destro Paolo Pagliaro, di far capire un pezzetto di più sul fatto del giorno». Uno show ragionevole, ragionato, a decibel soprendentemente bassi rispetto alla media televisiva. Wikipedia ricorda la partecipazione, che dà immancabilmente la stura a leggende nere, agli incontri dell’esclusivo club Bilderberg («Giornalisticamente interessantissimo. Ho moderato un dibattito sui nuovi populismi»). E in fondo alla lista dei suoi libri l’encicolpedia mette Berlinguer e l’Italia mai nata (Rizzoli, 2013). Mai sentito, di che parla? «Non ho idea, non l’ho mai scritto. Qualcuno faccia correggere, per favore!»).

Riccardo Staglianò, il Venerdì 6/6/2014