l’Unità 9/6/2014, 9 giugno 2014
CASSA IN DEROGA E MOBILITÀ 138MILA ASPETTANO ANCORA
In Italia ci sono oltre 138mila lavoratori che attendono ancora di percepire ammortizzatori sociali del 2013: in media assegni per oltre due mesi. E per fortuna il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha appena sbloccato 400 milioni per saldarne almeno una parte.
Il quadro che viene fuori dalla situazione di erogazione di Cassa integrazione e Mobilità in deroga è sconfortante. Le 19 Regioni e le due Province autonome che hanno il potere di concederla operano in modo totalmente diverso: una giungla di normative e di procedure a partire dai criteri di richiesta per passare alla durata dei trattamenti e alle modalità di autorizzazione ai pagamenti. Per ottenere i dati che trovate in tabella abbiamo impiegato più di due settimane e renderli omogenei è stato alquanto difficile. Leggendoli salta agli occhi una situazione sociale drammatica: se solo alcuni dei 138mila lavoratori sono ancora senza lavoro, stiamo parlando spesso di famiglie monoreddito che sui 600-700 euro della mobilità o i mille scarsi della media della Cig in deroga fondano gran parte della loro sopravvivenza. E se al Nord il dramma viene soprattutto dalle crisi delle piccole aziende - sotto i 15 dipendenti che non hanno la “cassa” ordinaria - lombarde (il picco di cassa in deroga) e venete (il picco di mobilità), al Sud il disagio sociale si unisce spesso a pratiche clientelari con concessioni allegre al limite delle regole, come denunciato anche dagli stessi sindacati - la Cisl in testa.
Una situazione che rende ancor più urgente una regolamentazione unica e nazionale dell’intero strumento degli ammortizzatori sociali, chiesta di fatti a gran voce da tutti i soggetti coinvolti: Regioni, sindacati, governo, Inps. Perché se è vero che fino al 2012 i fondi utilizzati per pagare gli ammortizzatori in deroga erano almeno per un terzo regionali - i famosi Fondi sociali europei - «da due anni le Regioni hanno solo risorse figurative, sono semplicemente un ufficio decentrato dello Stato con funzione amministrativa: tutte le responsabilità e i problemi li gestiamo noi, ma i soldi poi li eroga il governo centrale tramite l’Inps», spiega Gianfranco Simoncini, assessore toscano e coordinatore degli assessori regionali in materia di lavoro. È stato lui - assieme a Cgil, Cisl e Uil che hanno tenuto mobilitazioni e presidi nelle varie Regioni lungo tutti questi mesi - a combattere con i vari governi in questi due anni per riuscire a coprire almeno gli arretrati. «Con i 400 milioni sbloccati dal ministro Poletti noi come Regione Toscana contiamo di chiudere le pratiche 2013 entro giugno e speriamo che l’Inps, che ha già iniziato a pagare alcuni arretrati, possa chiudere tutti i pagamenti entro luglio, mettendo così fine ad una vera vergogna sociale», spiega Simoncini.
Ma nonostante il Jobs act - il disegno di legge delega ora in discussione in Parlamento - abbia messo tra le priorità la riforma degli ammortizzatori in deroga, la situazione si preannuncia ancora più drammatica per l’anno in corso.
E la tabella lo dimostra in modo inconfutabile. Per chiudere le pendenze del solo 2013 le Regioni stimano che siano necessari ben 566 milioni. Ma per farlo gran parte di queste hanno già utilizzato 289 milioni della prima tranche del 2014 - da 400 milioni - stanziata il 22 gennaio.
SICILIA E CALABRIA USANO I PAC
Per non parlare del fatto che alcune Regioni del Sud - su tutte la Sicilia con 108 milioni e Calabria con 26,7 milioni - per pagare gli ammortizzatori in deroga hanno fatto ampio uso dei fondi europei per i Piani di azione e coesione (i cosiddetti Pac) che in teoria niente avrebbero a che fare con cassa integrazione e mobilità, mentre la Sardegna ha deciso di stanziare 52 milioni dei fondi del suo bilancio.
Ecco dunque che per l’anno in corso le difficoltà sono già sicure. I fondi previsti in legge di stabilità sono solo 1,6 miliardi (di cui dunque 800 milioni già stanziati) e il ministro Poletti ha già stimato in 1 miliardo i soldi mancanti per assicurare a tutti i lavoratori coinvolti gli ammortizzatori per il 2014. Meno ottimista Simoncini: «per me servono almeno 400 milioni in più, anche perché per il 2013 arriveremo a spendere fra i 2,6 e i 2,8 miliardi».
Le stime sono comunque difficili da fare per un motivo molto semplice: a giorni lo stesso ministero del Lavoro deve pubblicare il nuovo decreto interministeriale con i nuovi criteri di erogazione degli ammortizzatori in deroga. Criteri unici per tutta Italia e più stringenti - riduzione dei periodi di cassa e mobilità, esclusione di alcune motivazioni, aziende e categorie di lavoratori che possono fare domanda - che quindi dovrebbero ridurre i fondi necessari. La prima versione del decreto messo a punto dall’allora sottosegretario al Lavoro del governo Letta, Carlo Dell’Aringa, è stata modificata anche dopo le richieste delle stesse Regioni e i pareri negativi delle commissioni parlamentari. Fugato il dubbio che il decreto sia retroattivo - «due settimane fa il ministro Poletti su questo ci ha tranquillizzato: il decreto non lo sarà e accoglierà alcune nostre richieste come l’inclusione dei lavoratori in somministrazione», spiega Simoncini - vi è dunque la certezza che il decreto opererà solo dal primo luglio. E dunque per i primi sei mesi dell’anno le normative saranno ancora le vecchie, con la giungla regionale a continuare a dettare legge.
IL FLOP DELLA FORNERO
Il problema deriva dall’occasione fallita da Elsa Fornero: la riforma del lavoro che porta il suo nome ha mancato clamorosamente la possibilità di sostituire la Cassa integrazione in deroga con uno strumento che - come la cassa ordinaria e straordinaria - sia pagata con i fondi di lavoratori ed imprese. Il problema di fondo dell’ammortizzatore creato - su richiesta dei sindacati - da Giulio Tremonti è sempre lo stesso: diversamente dalla Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, quella in Deroga è a carico della fiscalità generale e ogni anno va rifinanziata. E con le carenze di bilancio pubblico, da una parte, e con il boom della crisi specie in alcune zone del Paese (Veneto a Nord e quasi tutto il Sud) il problema di come finanziarlo è stato sempre più un rompicapo per i vari governi succedutisi dal 2009 ad oggi.
Ma per sostituire la Cassa in deroga Elsa Fornero ha puntato sui fondi di solidarietà. Che sono miseramente falliti. Prevedendo poi vere e proprie storture: chi oggi ha diritto a 12 mesi di cassa in deroga passerà a sole 13 settimane. E non allargando le tutele a nessuna delle tante categorie ora escluse: lavoratori in aziende sotto i 15 dipendenti, precari, co.co.pro, partite Iva.
Ecco quindi la necessità di modificare la riforma Fornero - che prevede la cancellazione della cassa in deroga dal 2016 e la progressiva sostituzione della mobilità con l’Aspi - e di accelerare un ridisegno complessivo degli ammortizzatori sociali. «Noi come Regioni da anni chiediamo il superamento degli ammortizzatori in deroga, anche perché o si cambia o saremo costretti a portare i nostri scatoloni di richieste arretrate a Roma. Con il governo Renzi e con il ministro Poletti per la prima volta abbiamo visto un’accelerazione sotto questo punto di vista - sottolinea Simoncini - . Nel disegno di legge delega, il cosiddetto Jobs act, al primo punto si parla di riforma degli ammortizzatori sociali e si prevede di farlo con due strumenti ben precisi: da una parte uno strumento universalistico per i lavoratori delle aziende in crisi, superando la distinzione tra aziende sopra e sotto i 15 dipendenti; dall’altra un altro strumento ugualmente universalistico per chi ha perso il lavoro, allargandolo ai precari oggi esclusi. Se il governo manterrà questo impianto, noi siamo assolutamente soddisfatti e appoggeremo la riforma», chiude Simoncini.
«Al sesto anno della cassa in deroga siamo davanti ad un sistema ormai patologico - spiega Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil - . Come sindacati chiediamo però che l’uscita dalla deroga sia socialmente sostenibile. I nuovi criteri non potranno essere soluzioni tipo lo scalone Maroni o l’innalzamento a 67 anni della Fornero. Serve un periodo di armonizzazione che, sebbene cancelli le storture che ci sono state, non metta famiglie e lavoratori in mezzo ad una strada».