Alfredo Castelli, Corriere della Sera 8/6/2014, 8 giugno 2014
OTTANT’ANNI DI AVVENTURE E PIGRIZIA «COSÌ SONO DIVENTATO PAPERINO»
Paolino Paperino ci riceve nel vasto studio della sua bella casa di Anaheim, ai confini della megacittà Los Angeles, nel cui territorio sorge Disneyland. In bell’ordine su uno scaffale i molti premi ricevuti nell’ambito della sua ottantennale carriera, tra cui l’Oscar per il cartone propagandistico Der Fuehrer’s Face del 1942; sulle pareti le foto con dedica dei Mighty Ducks of Anaheim, una delle due squadre locali di hockey fondata dalla Disney nel 1993 e battezzata ispirandosi al suo nome originale, Donald Duck. Appoggiata con cura su una poltrona, una preziosa chitarra firmata da Leo Fender, nativo della cittadina.
Ciò che colpisce immediatamente è l’aspetto giovanile del papero più famoso del mondo, che ha compiuto ottant’anni ma non sembra molto diverso da quello dei disegni animati degli anni 40 e dell’immediato dopoguerra. Dopo esserci stretti cordialmente la mano, Paperino rompe il ghiaccio rispondendo alla nostra domanda inespressa con una calda voce baritonale, per nulla simile a quella a cui ci ha abituato il cinema.
«Noi toon — esordisce —, i personaggi dei cartoni animati e dei fumetti, abbiamo un metabolismo diverso da quello di voi umani, e invecchiamo di un anno ogni quattro anni circa. Sicché, considerando che quando sono “nato” nel 1924 avevo già una quindicina d’anni, ora, secondo i canoni umani, sono poco più che quarantenne» .
Mi scusi, ha detto nel 1924. Ma non è nato nel 1934?
«Nel 1934 sono stato scoperto da Walt Disney, che mi ha lanciato e ha fatto di me un divo internazionale, e che considero come una sorta di padre. Ma erano già anni che facevo la gavetta, con piccole apparizioni qua e là come comparsa. Il mio primo ruolo di un certo rilievo risale al 1924: interpretavo il ruolo di Lazy Duck, «il papero pigro», in una serie a fumetti di Howard Garis illustrata da Lansing Campbell e intitolata Uncle Wiggily» .
«Il papero pigro». Se non erro, ha questo ruolo anche nel cartone Disney che solitamente viene considerato come il suo esordio, The wise little hen...
«La gallinella saggia , già. Passavo il tempo a far niente, ballando e suonando la fisarmonica insieme al mio amico Meo Porcello».
Che fine ha fatto Meo? Sono anni che non lo si vede in giro.
«Una brutta storia di bulimia. Abbiamo lavorato insieme per qualche anno, soprattutto in produzioni italiane e inglesi, ma a un certo punto i produttori hanno detto basta. Nel 2010 abbiamo tentato un rilancio, ma poi Meo è uscito di nuovo dal giro. Pare che sia stato assunto per fare da testimonial pubblicitario da una multinazionale di salumi, ma da allora non se ne sa più niente. Mi mette malinconia a parlarne».
Tornando a lei... Come mai è sempre stato associato alla pigrizia?
«Difficile a dire. Forse è a causa del mio status di papero. A parte quelle del Campidoglio, oche, anatre e paperi non sono mai stati associati a figure gloriose. D’altra parte, questo è il cinema. Stan Laurel sembrava il tonto della coppia Stanlio e Ollio, in realtà era lui la “mente” del duo. Lo stesso vale per Topolino e Pippo...».
Non vorrà dirmi che Pippo...
«Pippo è un genio dello show business . Mi ha aiutato in molte circostanze. Se Topolino è riuscito a sopravvivere fino a oggi, è solo merito suo...».
Pigrizia, scatti d’ira con relativi «quack quack», tendenza a combinare disastri sono dunque una finzione?
«Soprattutto i “quack quack” e la voce chioccia che mi hanno attribuito al cinema. Deve però tener presente che il 1924 era nel pieno periodo del cinema muto, quando lo slapstick, le comiche “delle torte in faccia” piene di cadute e di botte in testa, erano particolarmente apprezzate. Anche se mi infastidiscono, i “quack quack” e la voce chioccia mi sono serviti a superare il momento di transizione tra muto e sonoro, e a perfezionarmi nella dizione e nella recitazione. Sia Disney, sia Pippo sono stati molto comprensivi e mi hanno lasciato il tempo per studiare…» .
Ha frequentato scuole di recitazione?
Nel 1938 è uscito Il lavoro dell’attore su se stesso di Sergeevic Stanislavskij, la cui lettura è stata per me una pietra miliare. Più tardi ho contribuito con Elia Kazan alla fondazione dell’Actor’s Studio. Immedesimarsi totalmente in una parte è molto faticoso, ma ti permette di continuare a essere te stesso pur cambiando totalmente di ruolo».
Si riferisce alle vicende scritte da Carl Barks e da lei interpretate?
«Sì. Un Paperino molto diverso da quello pigro e isterico dei disegni animati. Il protagonista di vere avventure — con veri personaggi a tutto tondo, vere emozioni e vero pathos, pur se sempre venate di umorismo — che hanno ispirato anche il mio amico Steven Spielberg.
Ricordo alcune scene del primo Indiana Jones. Quella dell’enorme sfera di granito che rotola distruggendo tutto ciò che incontra. Sembra presa da una delle sue storie…
«Le sette città di Cibola, per la precisione. Steven è sempre stato un mio fan, come io lo sono di lui. La serie animata Duck Tales è un omaggio a Indiana Jones, tanto che il suo logo ha lo stile di quello dei Predatori dell’arca perduta» .
La serie è interpretata da Zio Paperone e dai suoi nipotini Qui, Quo e Qua. Come mai lei non vi ha partecipato?
«In pubblico chiamo Qui, Quo e Qua “nipoti”, ma in realtà io e mia moglie Paperina li abbiamo adottati dopo esserci sposati senza fare troppo chiasso nel 1938, un anno dopo che mi erano stati affidati. Non ho partecipato alla serie in quanto ero impegnato con alcuni contratti in Italia. Fin dagli anni 40 molte delle opere a cui contribuisco hanno origine qui da voi; mi divertono particolarmente perché a volte collaboro con personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport. Spesso poi devo muovermi anche nei Paesi scandinavi, dove ho una comunità di fan particolarmente agguerrita» .
Altro che pigro, allora! Come se la passano suo zio, sua moglie e i suoi nipoti… voglio dire, i suoi figli adottivi?
«Paperone è piuttosto anziano anche secondo i canoni toon , ma è sempre piuttosto arzillo. Molti si chiedono se possieda davvero tutto quel denaro; purtroppo per lui si tratta di una finzione scenica, ma in ogni caso non se la passa male. Paperina e io siamo divorziati da tempo, ma abbiamo ottimi rapporti; lei si è risposata con Paperoga. Qui, Quo e Qua hanno a loro volta superato la trentina. Qui e Quo sono sposati e mi hanno dato una nidiata di nipotini».