Erica Dellapasqua, Il Tempo 9/6/2014, 9 giugno 2014
ROMA FA IL PIENO DI RIFUGIATI. MA NON PAGA
Le casse del Comune sono vuote, le cooperative devono ancora incassare i soldi del 2013, eppure il sindaco Marino accoglie 2.581 aspiranti rifugiati chiedendo allo Stato una deroga ai criteri di proporzionalità col numero di residenti che, come da decreto, impongono un tetto di 250 arrivi. Tra poche settimane, e fino al 2016 nell’ambito del cosiddetto bando Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati promosso da Ministero dell’Interno e Anci) tra Roma e provincia verranno ospitati 2.581 richiedenti, distribuiti tra 49 centri di accoglienza. Da gennaio a oggi, solo a Roma, hanno avanzato richiesta di asilo 2.194 rifugiati o presunti tali (Milano si ferma a 419). Complessivamente, stima Roma Capitale, sul territorio comunale sostano circa 5.000 richiedenti e titolari di protezione «da avviare verso un percorso di integrazione». Sempre a Roma, c’è una sola Commissione territoriale incaricata di lavorare tutte le pratiche (in Italia sono appena dieci), la cui competenza è però estesa anche ad altre regioni, come Abruzzo, Marche ed Umbria. Quattro fattori che, assieme, producono un solo risultato possibile: i tempi di permanenza in città, anche dei non aventi diritto, si quadruplicano, così come i costi.
ROMA CHIEDE PIU’ RIFUGIATI
Il Comune (ente gestore) partecipa al bando, finanziato in parte a livello europeo tramite il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, individuando i vari soggetti attuatori, per lo più cooperative, incaricati di proporre strutture e gestire poi l’accoglienza. Su scala nazionale, i numeri dello Sprar sono lievitati nel giro di due anni, gli alloggi sono passati da 3mila ai 16mila attuali, l’intenzione anzi è di toccare i 20mila. Nella Capitale, l’anno scorso, si contavano 250 persone, nulla rispetto alle previsioni per il triennio 2014-2016: Roma si vede assegnati 2.581 posti, più 516 da mettere eventualmente a disposizione. Per continuare il raffronto con altre città, Torino si ferma a 233 arrivi, Milano a 142, Firenze a 65. C’è una disposizione, l’articolo 5 del decreto del Ministero dell’Interno che ha disciplinato le domande di contributo alla rete Sprar, che pone un tetto: «Duecentocinquanta posti - si legge - per una popolazione superiore a 2.000.001 abitanti». Come spiegano dal Servizio centrale del Ministero, però, «alcuni Comuni hanno esplicitamente chiesto di andare in deroga», e Roma è tra questi.
MARINO ACCOGLIE, ROMA PAGA
35 euro al giorno per persona ospitata (compresi abbigliamento, pocket money di 2,50 euro e schede telefoniche) Ministero e Europa ci mettono 35 milioni 732mila euro all’anno, 2014, 2015 e 2016, mentre una quota, 7 milioni 234mila euro sempre ogni anno, dovrebbe arrivare «dal territorio». Il Comune, stando ad accordi informali perché nessuna convenzione coi soggetti attuatori è stata ancora siglata, pagherebbe alle varie coop incaricate di gestire i 49 centri, 28 euro, al giorno per persona, Iva inclusa. La differenza coi 35, circa 7 euro equivalenti a quei 7 milioni, la metterebbero le cooperative. «Ma ancora nessuna convenzione col Comune è stata firmata - obietta Claudio Bolla del consorzio Eriches, che gestisce diversi centri in città - noi siamo pronti, lo Sprar doveva essere attivato a gennaio, invece il Comune ci deve ancora versare i fondi del 2013». Resta una domanda: perché pagare 28 euro anziché 35? Per accogliere più persone, come dimostra la «deroga». Il Campidoglio, del resto, non ha ancora liquidato alla cooperativa Eta Beta (anche qui non è stata stipultata la convenzione) le spese sostenute per gli 89 superstiti della "strage" di Lampedusa del 3 ottobre scorso, accolti dal sindaco Marino: tutti giovani eritrei sotto i 30 anni che, comunque, hanno lasciato il centro allestito sulla Tiburtina dopo due giorni. Chi erano queste persone e dove si trovano ora? Difficile saperlo anche perché, al momento dell’arrivo, nessuno aveva documenti né era fotosegnalato.
CONTROLLI IMPOSSIBILI
Capita, è capitato, che tra lo sbarco e l’arrivo nei centri di accoglienza qualcuno sfugga al "censimento". Loro, i richiedenti protezione, fanno di tutto per evitare i controlli. In base alla Convenzione di Dublino, infatti, queste persone restano «in carico» allo Stato in cui hanno fatto ingresso o avanzato domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, così che se qualcuno, per esempio, dovesse essere "pizzicato" o proponesse analoga richiesta in Germania, verrebbe rispedito qua. Allora le provano di tutte, come l’Attak sui polpastrelli, quando non se li staccano a morsi per rendere invisibili le impronte. Oppure, per mantenere l’alloggio nei centri, si tenta la carta del «nucleo beneficiari vulnerabili», magari con molti figli a carico. Sarà un caso, o forse no, che stando ai dati Sprar 2012/2013 proprio il Lazio - già al secondo posto in Italia dopo la Sicilia per «capacità ricettiva» - sia anche «la seconda Regione a registrare numeri più alti in termini di accoglienza». La Prefettura, da gennaio, per arginare l’ondata di finte parentele ha imposto (costo compreso nel fisso) anche il test del Dna. Ma è più facile a dirsi che a farsi.
ACCOGLIENZA INFINITA
Una sola Commissione territoriale per valutare le richieste di status di rifugiato inoltrate nelle regioni Lazio, Umbria, Abruzzo e Marche. Teoricamente, spiega nel vademecum la Prefettura, la risposta dovrebbe arrivare entro 72 ore dall’audizione, invece i giorni diventano settimane. I ritardi nella valutazione delle domande sono di circa 6, 7 mesi, e poi - in caso di responso negativo, e lo sono la maggior parte - c’è sempre la possibilità di appellarsi: con un buon avvocato che propone ricorsi a raffica, non essendoci limiti, si può arrivare a «sostare» in un centro di accoglienza più di 15 mesi. Senza sapere se davvero si è rifugiati o no.