Paolo Mereghetti, Corriere della Sera 9/6/2014, 9 giugno 2014
AUTODISTRUZIONE DI UN GENIO TEDESCO
Regista «carsico» per antonomasia, Rainer Werner Fassbinder appare e sparisce nella coscienza critica (e nella memoria) dello spettatore come un corso d’acqua tra le doline giuliane. Osannato in vita — brevissima: 37 anni solo — è stato dimenticato fin troppo in fretta, scavalcato da colleghi più abili di lui nell’adattarsi alle mode e ai gusti. Oltre che naturalmente meno disposti a dilapidare con rabbia il proprio talento e la propria esistenza. Il che, comunque, non ha impedito al regista di Querelle di raggiungere lo scopo che si era dato: «Essere quello che Shakespeare fu per il teatro, Marx per la politica e Freud per la psicoanalisi: uno dopo il quale nulla è più come prima».
A volte iniziative meritorie riaccendono l’attenzione, come quelle recenti del Teatro Stabile e del Museo del Cinema di Torino, ma basterebbe pensare alla difficoltà di reperire molti dei suoi capolavori in dvd per capire come uno degli autori più importanti del cinema moderno sia poco considerato in Italia. Per questo è doppiamente meritoria l’iniziativa del Saggiatore di tradurre la monumentale biografia di Jürgen Trimborn Un giorno è un anno è una vita (traduzione di Silvia Albesano, Alessandra Luise e Anna Ruchat, pp. 532, e 35 ), perché colma un vuoto imbarazzante e può aiutare anche i più giovani a scoprire il valore di un artista davvero grandissimo.
Scomparso nel 2012, a soli 41 anni, Trimborn aveva insegnato a Colonia e pubblicato, tra le altre, le biografie di Leni Riefenstahl e Romy Schneider. Per Fassbinder ha scandagliato in profondità la documentazione esistente, intervistando molte delle persone che avevano condiviso con il regista pezzi della sua vita, a cominciare da Ingrid Caven (che fu sposata per meno di due anni con Fassbinder, omosessuale dichiarato) e dalla sua interprete d’elezione Hanna Schygulla, per proseguire con molti dei suoi colleghi (Wenders, Herzog, Kluge, Schroeter, Schlöndorff) e i tanti attori e amici che attraversarono la sua vita. Quella che ne esce è una ricostruzione minuziosissima ma non per questo meno appassionata di una vita vissuta a mille chilometri all’ora, dove alcol, sesso, droghe, cinema, teatro e televisione si intrecciano in maniera indissolubile.
Il libro scava nell’infanzia del futuro regista, mettendo a nudo i traumi affettivi che subì dai tradimenti del padre Helmuth (medico troppo vicino alle prostitute che curava) e dall’egoismo della madre, Liselotte Pempeit sposata Fassbinder e poi Eder, debole nel fisico ma anche negli affetti se un compagno di giochi lo poté definire «il bambino più infelice e triste» mai conosciuto. Ne racconta la precoce scoperta dell’omosessualità (lo disse alla madre a quattordici anni, scatenando nella donna reazioni contrastanti ma non accondiscendenti) e la prostituzione come mezzo di sopravvivenza; ma anche la precocissima vocazione artistica, prima con l’Action-Theater di Monaco e poi cinematografica, con il festival di Berlino che nel 1969 decide di mettere in concorso il suo primo film, L’amore è più freddo della morte , scatenando polemiche a non finire ma anche consacrandone da subito la grandezza.
Trimborn scava con la stessa precisione e attenzione nella sua carriera artistica (44 film tra cinema e televisione, fra cui la monumentale riduzione tv di Berliner Alexanderplatz , 12 testi per il palcoscenico oltre a molte regie teatrali) e nella sua vita privata, seguendo l’inesorabile percorso di autodistruzione che Fassbinder sembrava aver scelto per sé («potrò dormire solo quando sarò morto» rispondeva a chi gli chiedeva di rallentare i suoi ritmi), ma sempre con un rispetto che evita qualsiasi moralismo o atteggiamento scandalistico. Non nasconde certo le sue ossessioni o i modi punitivi con cui «schiavizzava» i suoi collaboratori ma registra anche i meriti e gli apprezzamenti che sapeva conquistarsi con il lavoro e le idee. E soprattutto aiuta a entrare in un’opera che ha sempre messo al centro i legami (di forza, potere, dominio) che finiscono inevitabilmente per stravolgere e soffocare amori e passioni, sia che racconti lo «sfruttamento» che si nasconde dietro i sentimenti (Le lacrime amare di Petra Von Kant , Martha , Effi Briest , Il diritto del più forte ) sia che ricostruisca l’euforia della Germania che vuole dimenticare il proprio passato (Despair , Il matrimonio di Maria Braun , Lili Marleen , Veronica Voss ) sia che affronti i drammi del terrorismo (Germania in autunno , La terza generazione ). Lasciandoci alla fine soprattutto col rimpianto per una carriera troppo breve e l’ammirazione per uno dei pochi veri geni che il cinema abbia avuto.